Era il 2010 quando uscì “Inception”; mi ricordo benissimo il suo impatto che ebbe tra gli spettatori, e forse persino tra chi non l’aveva neanche visto. I temi del film non erano poi così originali di per sé, dato che le due tematiche principali, il “gioco” tra sogni e realtà e la metanarrazione, erano già stati sviscerati, almeno in letteratura, da Borges e Calvino tra i tanti. Quello che fece “Inception” fu di dare una spettacolare rappresentazione visiva al “sogno dentro il sogno” che mostrò al mondo quanto possa essere affascinante un approccio non solo psicologico ma anche “intertestuale” all’analisi dei sogni. Diciamo che i 160 milioni di dollari di budget hanno semplificato il lavoro a Nolan, a cui rimane il merito di aver saputo presentare tematiche tanto complesse all’interno cornice narrativa del thriller, cosa più facile a dirsi che a farsi.

Ed eccoci arrivati a “Un sogno quasi reale” di Simone Ceccarelli, di cui abbiamo già  testimoniato l’interesse per l’indagine sulla psicologia e la scrittura con “Lo strano colloquio”. Certo, stiamo parlando di un romanzo di un autore italiano e non di un blockbuster holliwoodiano, che però mi ha fatto tornare in mente “Inception” non solo perché ne condivide i temi principali, ma per il suo modi di trattarli in modo “giocoso” e di forte impatto, senza però risultare semplicistico o confuso.

Veniamo a noi: siamo a Firenze, nel marzo del 2020 e quindi in piena “prima ondata” di Covid-19; il narratore, tornando a casa con la sua auto nuova per le strade deserte, percepisce un forte senso di straniamento dalla realtà che troverà sfogo con la scrittura, mettendo quindi in nero su bianco un sogno “quasi reale” (forse più realistico della realtà “surreale” di quei giorni) che aveva vissuto, e in cui il lettore sarà “accompagnato” per il resto del romanzo. Un “realismo” che ci fa appunto quasi dimenticare di essere testimoni di un’esperienza onirica, o meglio della sua narrazione, e che è sapientemente sfruttato dall’autore per spiazzare il lettore con momenti di forte straniamento. Così, ci ritroviamo all’interno di un bar, testimoni di due conversazioni a tratti deliranti, ma “quasi reali” e pertanto così appassionanti: prima le recriminazioni di una coppia di una certa età, che dopo forti litigi saprà ritrovare l’amore, o almeno una sua apparenza. E poi, si arriva al nocciolo della vicenda: il fitto dialogo tra uno psicologo e un suo paziente, che a sua volta racconta esperienze oniriche “quasi reali”, molto significative e a tratti disturbanti.

Ecco, raccontandolo così può sembrare che quello di Simone Ceccarelli sia un esercizio di stile fine a se stesso, ma non è così; la complessità narrativa è una sfida per l’autore, che usa sapientemente vari stratagemmi narrativi – tra cui flusso di coscienza, introspezione psicologica e analisi del sogno – per coinvolgere il lettore e intavolare con lui una conversazione.

Sì, “Un sogno quasi reale” non vuole tanto veicolare un messaggio, quanto attivare un dialogo, stimolando chi legge a porsi domande e a dare una sua interpretazione alla complessa – ma accattivante – vicenda di cui è testimone; che, a differenza di altri “romanzi psicologici”, può essere letta come elaborazione concettuale, ma anche come semplice esperienza “evasiva”, nel senso più ampio del termine.

Parlando di interpretazione, nonostante la relativa brevità del testo, la carne al fuoco è tanta: l’autore ci invita a riflettere sul ruolo terapeutico della scrittura, sul rapporto tra autore e lettore, sull’analisi psicologica, sui rapporti di coppia… in conclusione, sull’essere umano in generale, nella sua individualità (nella prima parte del romanzo) e nella sua dimensione sociale (nella seconda). Ma, come anticipato, la nuova opera di Simone Ceccarelli, oltre ad essere “psicologico”, è prima di tutto un “romanzo”, e ciò lo rende appetibile a chiunque legga narrativa contemporanea e sia alla ricerca di una lettura sfidante, ma al tempo stesso coinvolgente e dal buon ritmo narrativo.

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