Estratto |
Capitolo 1 – Dissodare il terreno
Ben prima dell’Evento, e si parla di secoli e secoli prima, venne inventato un meccanismo a dir poco diabolico capace di assorbire ogni stilla d’attenzione e di tempo agli esseri umani. Anziché combattere tale nefandezza, le vittime designate ne furono affascinate: ci si riversarono anima e corpo e guai a esserne privati. Il crudele mezzo di obnubilamento delle masse era chiamato serie televisive e mai invenzione fu più dannosa per l’ingegno umano.
Il perverso meccanismo con cui avveniva il furto del tempo prevedeva di costruire una trama, una storia quanto più lunga possibile, che fosse coerente o meno era secondario, infarcirla di numerosi personaggi, ognuno con un retroscena segreto da svelarsi poco per volta, e aggiungere imprevisti e svolte inconsuete, ma che bene o male erano sempre le stesse per tutte le serie televisive, solo riproposte di volta in volta in modo diverso: il personaggio che si credeva morto, non è morto; il buono si rivela un cattivo e il cattivo vai a scoprire che in fondo ha delle motivazioni mica male; l’ignorante è in realtà una risorsa; c’è sempre un gemello tenuto nascosto da qualche parte che torna all’improvviso; qualcuno perde la memoria o finge di essere chi non è… Insomma, è un po’ come se un domani si scoprisse che il dottor Due Vi, l’uomo geniale che mi ha costruito nei laboratori segreti di Tulipano, ha costruito anche un mio gemello malvagio di cui fino a ieri non sapevo niente.
«Ma è proprio quello che è successo, capitano.»
«E che ti aspetti da questo libro? Un colpo di scena? Ce ne sono stati già abbastanza nel primo volume da vivere di rendita.»
Le serie televisive avevano di malefico che, essendo troppo lunghe e, anzi, mirando a esserlo il più possibile, venivano suddivise in puntate. Per invogliare le persone a non interrompere la visione e continuare così a spillare un poco più di tempo alla volta, gli episodi terminavano con un momento di tensione, che so, nel bel mezzo di un inseguimento o subito dopo la minaccia di aprire il fuoco. La puntata successiva, e questo era il brutto, riprendeva quasi sempre da una scena immediatamente successiva: l’inseguimento era già finito senza che si fosse visto come il protagonista fosse riuscito a cavarsela, la pistola aveva mancato il bersaglio anche se il criminale armato aveva fama di mira infallibile. Così si sviluppava la meccanica di spilla-tempo e ruba-emozioni: la puntata trascorreva piatta fino al finale, che prometteva un gran colpo di scena nell’episodio successivo, il quale invece si rivelava del tutto inadatto alle aspettative.
Che se ne facessero, poi, gli umani del pre-Evento di tutte quelle ore sottratte ai loro simili non è chiaro. La mia idea è che le usassero per pagarci gli scrittori. Oh, sì, scommetto che gli scrittori dell’epoca erano pieni di soldi!
Ma per fortuna questa non è una serie televisiva, qui il tempo scorre veloce, non ci sono pause, e ogni dettaglio è riportato fedelmente. Gli inseguimenti non si fermano a metà per poi saltare rapidamente alla conclusione, le nostre avventure sono riportate con veridicità critica e piena attenzione.
«E ora posso finalmente dirlo: non credevo ce l’avremmo fatta.»
La ciurma si scambia occhiate perplesse. A parte Amy e il ragazzo-bradipo, che ormai sono abituati alle mie uscite gavurende, gli altri sono ancora in rodaggio.
«Capitano, ma lo dici solo adesso?» la contessa sorseggia il tè, «io l’ho ripetuto da quando siamo stati circondati dalla CC5 nel laboratorio della città-rovina di Girasole oltre due mesi fa.»
«Davvero? Io me lo dico tutti i giorni da quando mi avete preso a bordo.»
«Non ti abbiamo preso a bordo, maledetto giornalista, ti sei invitato da solo!»
Molte cose sono cambiate da quando il dottor Due Vi ha esalato l’ultimo respiro tra le mie braccia. La ciurma inizialmente formata da Amy, la bambina con il naso a patata e il fucile sempre carico, e Farinfinfarf, il ragazzo-bradipo che sa solo poltrire, si è arricchita di nuovi elementi, non tutti ugualmente validi, certo, e nemmeno interessanti. E alcuni neppure così nuovi. Insomma, dove sta scritto che devono per forza esserci dei miglioramenti?
«Ma che fai, Capitano? Butti giù un riassunto? Allora io mi presento, sono la contessa Adalgisa Esmeralda Eloisa Torquanda Morabella von Fragola, molto piacere.»
Amy scuote le treccine.
«Se proprio la gente è curiosa di capire cosa stia succedendo si può anche leggere il primo libro, sapete?»
«Nella mia vita ne ho letti addirittura due!» batte le mani felice la contessa. «Tre, se si considera anche l’etichetta del vasetto di yogurt.»
«Complimenti, ah-uhm, contessa. Pochi possono vantare un simile, uhm, primato…» il maggiordomo Adalfonchio scuote davanti al ventilatore il corpo flaccido come un budino, «uh, che refrigerio…»
Da quando il dottor Due Vi ha esalato l’ultimo respiro su questa terra, la mia vita è radicalmente cambiata. E non tanto per il tesoro che con grande fatica abbiamo trovato e sottratto agli artigli famelici del vaporsaro Blue Smiley, quanto per la guerra che la terribile CC5 ci ha dichiarato. L’ultimo episodio degno di nota è accaduto circa due mesi fa, quando la Confederazione delle Cinque Città ci ha accerchiato intorno alle le rovine di Girasole. Avevamo appena rinvenuto l’aeronave del pre-Evento e il tesoro di Smiley.
«La parte più bella della fuga» sorride Pher mentre oscilla sulla sedia girevole di Gioacchino, «è stata quando abbiamo fatto brillare gli esplosivi nascosti dagli antichi abitanti di Girasole!»
«Sì, sì, e hai visto come siamo riusciti a schivare l’attacco dei boomerang a localizzazione di scemenze?»
«Anche se in quel momento ce la siamo vista proprio brutta, eh.»
«Abbiamo dovuto mettere il bavaglio al capitano.»
«Ho dovuto imbavagliare quasi tutti» stringe gli occhi Amy, infastidita.
«Ah-uhm, è stato un piacere darle una mano, signorina» si sfrega le mani Adalfonchio.
«E i guerrieri con le lance laser che ci sono piombati addosso?»
«Pare che fossero gli ultimi esistenti al mondo. È stato un onore poterli osservare di persona.»
«A proposito, qualcuno ha poi pulito i corridoi da tutta quella polvere preziosa?» a Gioacchino brillano gli occhi.
«Non ha fatto neppure in tempo a toccare terra!» Pher annuisce compiaciuto.
«Come sarebbe? L’hai pulita? E dove hai messo i detriti?»
«Ma li ho buttati tempo fa, ovvio.»
Festeggiano tutti nel rievocare l’episodio più grandioso della nostra epopea. Persino l’upupa che fino a due mesi fa era stata il terribile pirata Blue Smiley, ora cinguetta e saltella da una spalla all’altra della contessa. Pirata terribile, protagonista di mille leggende per la sua presunta immortalità, ci ha inseguito in ogni dove pur di riappropriarsi della mappa del tesoro che a sua volta aveva sottratto al dottor Due Vi. Ma nessuno batte il capitano Capitano Polluce nella fuga! Deve ancora nascere il vaporsaro in grado di acciuffarmi. Dopo aver eliminato il cadavere che controllava, abbiamo scoperto la vera natura di quel vaporsaro da strapazzo: l’upupa che ora becchetta allegra le molliche offerte dalla contessa.
«Anzi, la cosa migliore è un’altra» sentenzia Gioacchino mentre si arriccia i baffetti a manubrio e si allontana di qualche passo da Smiley, «abbiamo vissuto ogni singolo istante, dall’evocazione fallimentare degli antichi Spiriti Dominatori dell’Aria, all’ipnosi dei Danzatori del Ventre, fino alle api-proiettile a ricerca di fiori da impollinare. Pensate quanto materiale ho per un articolo! E non devo neppure inventarmi niente, per una volta.»
«Hai proprio ragione, caro il mio Fischionti, sono contenta di essermela goduta dal principio alla fine.»
«Veramente sarebbe Visconti…»
«Come ti pare, caro. Odierei con tutta me stessa se, che so, fossimo in un libro e lo scrittore fosse stato sbrigativo nella descrizione dell’inseguimento.»
«O peggio, non l’avesse neppure fatta.»
«Ah-uhm, inaccettabile.»
«Sì, è vero» Ferfinfronfuff sta ancora girando sulla sedia con le gambe ritte e le braccia ballanzucchere strette sui piedi da bradipo, «e quanto abbiamo tremato quando le truppe di Tulipano hanno versato il latte? Stavo per piangere!»
«Uh, a chi lo dici. Ho subito pensato a tutto il budino che ci si poteva fare!»
Vorrei unirmi ai festeggiamenti, lo vorrei davvero. Per l’occasione ho anche rimesso la testa sul collo. Non appena gli ingranaggi della base del cranio si connettono con quelli del torso, tuttavia, le ansie, i dubbi e le preoccupazioni, messe da parte nel momento adurennico dell’azione, tornano di prepotenza ad affliggermi. Che io non sia umano credo sia chiaro a chiunque abbia letto il primo libro delle mie avventure, eppure chi può dire che io non sia almeno in parte umano? Ho un discreto senso dell’umorismo, una significativa avvenenza, una buona dose di coraggio, per non parlare dell’esasperante modestia. Forse che siano proprio questi pregi così numerosi a rendermi troppo perfetto per essere umano?
Per quanto gli occhi di tutti brillino d’ammirazione per il sottoscritto, riesco a ostentare quella giusta dose di noncuranza per chiudermi nella mia stanza sulla Floriconda.
«Già che vai in bagno» mi urla Gioacchino, «è finita la carta igienica, ricordati di sostituirla!»
Sono due mesi che giriamo a vuoto. Passiamo di rifugio in rifugio e scappiamo non appena avvistiamo le navi della CC5 all’orizzonte. Ci accampiamo, ci scovano, fuggiamo. Ci accampiamo, ci scovano, fuggiamo. Quei farabutti non ci danno tregua.
Due mesi fa ero uno dei tanti vaporsari che solcano i cieli di questa Terra distrutta del post-Evento, ora sono il primo ricercato della Confederazione delle Cinque Città e piloto un’aeronave che trasporta gli ultimi esemplari di piante superstiti di tutto il mondo conosciuto. Per non parlare, poi, della ciurma di sgunterati bindini.
Siedo alla scrivania della mia stanza privata. La voleva Fisfenfeur, ma è bastato minacciarlo di mandarlo a letto senza cena per farlo desistere. Quel viziato egoista, non capisco cos’abbia che non vada il ripostiglio delle scope.
Mentre rifletto di come sia proprio una fortuna che non esistano più i sindacati, srotolo sul tavolo la mappa dei Mille Deserti. Il nome è di pura fantasia, nessuno ha mai avuto la pazienza di contarli tutti. Di solito ci si addormenta attorno al centinaio.
Le Cinque Città sanciscono per noi vaporsari un limite invalicabile, entro il cui confine gli occhi del capitano della Confederazione vigilano e ogni infrazione alla legge viene punita senza appello. Non c’è bisogno di ricordare chi sia questo nostro infame nemico: Capitano Robotico Modello X-12AE-Castore, mio fratello gemello, costruito dallo stesso dottor Due Vi che tanto ho amato e che ho sempre considerato alla stregua di un padre.
Vatti a fidare degli scienziati.
Studio la mappa piena di segni, uno per ogni nuovo rifugio trovato, e altrettante cancellature, per ogni volta che la CC5 ci ha sguinzagliato addosso la sua flotta. La più piccola duna può nascondere un suggerimento su dove andare, che fare, ma tutto ciò che vedo è solo pericolo. Per come siamo messi, non possiamo fare altro che arrenderci, a meno di sperare in un miracolo.
SBONK!
Qualcuno bussa alla porta.
SBONK! SBONK!
Più che bussare, sono veri e propri tonfi.
SBONK! SBONK! SBONK!
Fastidiosissimi, privi del minimo senso del ritmo.
Ho sempre ritenuto che il bussare alle porte potesse essere catalogata come una forma d’arte al pari dell’ikebanana o di un’altra di quelle strane tecniche giapponesi del pre-Evento.
SBONK. SBONK.
Voglio dire, bussare significa chiedere il permesso di entrare in casa altrui e turbarne la quiete. Bussare è ciò che separa il fuori dal dentro, è un atto di cortesia e rispetto che inconsciamente le persone compiono verso i propri simili, prima di disturbarli. Per meglio dire, bussare è di per sé un disturbo, ma lieve, che si è costretti a compiere per prevenirne uno più grande e imprevisto.
SBONK.
È dunque un rituale e, come tale, dovrebbe possedere delle regole ben precise, una sequenza di movimenti predefinita e codificata, un codice facilmente interpretabile e trasmissibile.
SBONK. SBONK.
Ecco perché questo bussare così aritmico, impaziente, finanche sbruffone e sguaroncello, mi infastidisce così tanto: è irrispettoso della mia quiete, privo di grazia, del tutto incoerente con il rituale di rispetto che dovrebbe rappresentare. Il suo esecutore è decisamente indegno di entrare.
SBONK.
Oltre l’oblò della porta svolazza l’upupa azzurra.
«Avanti!»
Blue Smiley stringe le palpebre a due fessure.
SBONK. SBONK.
Le piume sulla testa sono tutte arruffate, si sta facendo strada un bernoccolo.
«Avanti, ho detto!»
L’uccello mi fulmina con lo sguardo, sparisce. Alzo le spalle, la mia parte l’ho fatta.
|
Nadia_Eilid –
Questo romanzo racconta le avventure della ciurma singolare guidata da Capitano Polluce, un robot quasi umano.
Lo stile dell’autore è davvero unico: la narrazione si sviluppa principalmente attraverso i dialoghi tra i personaggi, che si distinguono per la loro forte personalità (in particolare quella del protagonista).
La trama, pur interessante, passa in secondo piano, poiché l’attenzione viene catturata dalle conversazioni eccentriche e umoristiche. Le illustrazioni, poi, aggiungono una dimensione visiva che arricchisce ulteriormente l’esperienza.
Consiglio questo libro a chi è disposto a mettersi in gioco, a chi ama i dialoghi vivaci e incalzanti, a chi desidera sperimentare qualcosa di originale, divertente e fuori dall’ordinario.