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CAPITOLO 1
Quel buio denso e silenzioso venne gradualmente interrotto dal rumore delle onde del mare; quando a fatica riaprii gli occhi mi trovai ad osservare il cielo azzurro, illuminato dal sole mattutino che disperdeva i suoi caldi raggi solari.
Per un secondo mi chiesi se fossi in paradiso. In fondo l’ultima cosa che mi ricordavo di aver fatto era appoggiare la faccia contro il pavimento del tetto del dipartimento di polizia, distesa in una pozza del mio stesso sangue. Mi rendevo perfettamente conto che la probabilità che non mi fossi più rialzata da quella posizione era più che plausibile.
Poi scartai la possibilità di essere in paradiso per due semplici motivi: per prima cosa non credo che esista nulla di simile; invece, nell’assurdo caso che mi sbagliassi, sono sicura che la mia scala per il paradiso è crollata da tanto tempo, mentre il pedaggio per l’autostrada dell’inferno è già stato pagato. In fondo, se davvero avessi voluto far qualcosa per aprire le porte dei cieli, avrei dovuto implorare Dio di perdonarmi per tutto quello che avevo combinato durante la mia vita. E invece di fare ciò ho sparato in testa ad una ragazza innocente e ho mostrato il dito medio ad Asterion mentre si sgretolava davanti ai miei occhi. Diciamo che non è proprio un bel biglietto da visita.
Comunque ero abbastanza sicura di non essere neppure all’inferno, quindi era il caso di scoprire dove fossi: mi alzai a sedere guardandomi attorno un po’ intontita.
Ero a pochi metri da un mare limpido e trasparente, su una spiaggia di sabbia bianchissima che proseguiva alle mie spalle finendo contro una scogliera che si alzava quasi ad angolo retto; sopra di essa potevo vedere alcuni alberi di dimensioni notevoli.
Quando infine mi alzai in piedi barcollai qualche secondo cercando il giusto equilibrio, quindi osservai il mio abbigliamento: indossavo uno di quei ridicoli pigiami da paziente d’ospedale con una fantasia a quadretti rosa.
Ricordandomi quello che era successo sul tetto della stazione di polizia mi controllai il braccio sinistro: non c’era nessuna traccia di quell’orribile taglio che mi aveva fatto Darren con la sua lama, come del resto erano sparite anche tutte le altre ferite.
Feci qualche passo incerto verso il mare, bagnando i piedi nell’acqua, sentendola tiepida al punto giusto; mi chinai immergendo le mani, quindi mi sciacquai il viso e mi bagnai i capelli, restando poi ad occhi chiusi, rivolta verso il sole.
Forse iniziavo a capire dove fossi: ricordai di essermi incontrata con Lyra su una collina tempestata di fiori coloratissimi con condizioni meteorologiche molto simili a quelle che mi circondavano in quel momento; con un tempismo invidiabile la sua voce giunse dalle mie spalle.
«Ben svegliata!» Mi girai ad osservarla, seduta sulla sabbia con le mani appoggiate e le ginocchia piegate, scalza e vestita con una tunica nera che le lasciava scoperte parecchie porzioni del suo corpo magrissimo e dalla pelle pallida, mentre i suoi lunghi capelli blu erano mossi da una lieve brezza. Sorrisi nell’osservarla: quella ragazza dall’aspetto semplice e quasi innocente aveva travolto la mia vita come una mandria di tori in un negozio di porcellane, sin dalla prima volta in cui mi aveva mandato quelle foto che mostravano la mia morte per mano di JB e i suoi scagnozzi. Da quel momento la mia esistenza era cambiata totalmente, mettendomi di fronte a cose che non avrei mai creduto potessero esistere.
Senza dire nulla uscii dall’acqua raggiungendola e sedendomi al suo fianco, restando ad osservare l’oceano, mentre lei non mi aveva tolto di dosso i suoi occhi scuri neppure per un secondo.
«Non ho mai avuto una grande passione per il mare.» Dissi con un filo di voce. «Però qui è bello, lo devo ammettere.» Conclusi infine fissandola; lei accennò un sorriso abbassando lo sguardo sulla sabbia bianca.
«Questo posto esiste davvero nel mio mondo. Sono nata non molto lontano da qui, quando ero piccola ci venivo spesso e passavo tanto tempo su questa spiaggia.»
«La guerra ti ha portato via anche questo?»
Lyra sorrise alzando gli occhi al cielo. «Non lo so, non ci torno da quasi dieci anni. Potrebbe essere identico a come l’ho lasciato, ma potrebbe anche non esistere più. Però non lo dimenticherò mai e spesso mi piace ricordarlo. E ho voluto condividerlo con te.» Io sorrisi senza aggiungere altro; lasciai passare diversi secondi prima di riprendere a parlare.
«Non sono morta, vero?» Chiesi poi.
«Certo che no, Valerie, altrimenti non saremmo qui a parlare. Anche se siamo in un’illusione, per parlare bisogna essere vivi.»
«Ricordo di esserci andata parecchio vicina però…»
«E ricordi bene.» Alzai il braccio sinistro, guardandolo in perfette condizioni.
«Anche questo fa parte dell’illusione, vero?» Lyra sospirò, indecisa su cosa rispondere, ma sapeva bene che non ero una stupida ed era inutile mentire.
«Già. Non mi sembrava il caso di mostrarti com’è ora.» Sentendo quelle parole chiusi gli occhi sospirando.
«È inutile girarci attorno, devo sapere in che condizioni è il mio braccio: sarà inutilizzabile?»
«Ci sono buone possibilità che possa tornare pienamente operativo. Sei stata fortunata perché ti ha colpita nella parte esterna, dove non ci sono nervi o arterie importanti. Anche l’osso è stato solo sfiorato, bisogna soltanto ricostruire i tendini e i muscoli. Ma ci vorrà molto tempo.» Tirai un sospiro di sollievo.
«Non importa… Quando ho visto quella ferita credevo di averlo perso. Non oso pensare a come sarà la cicatrice…» Rabbrividii al pensiero. «Già che siamo in un’illusione potevi anche darmi un altro vestito.» Lyra rise alla mia battuta.
«Hai ragione, non ci avevo pensato…» Si scusò senza perdere il sorriso. Passati alcuni secondi ripresi la parola.
«Direi che abbiamo chiacchierato abbastanza di cose di poca rilevanza, che ne dici di spiegarmi perché mi hai trascinata qui? Sono sicura che tu debba dirmi qualcosa.»
«Invece ti sbagli Valerie, non devo dirti nulla di vitale importanza. Volevo soltanto vederti.» Disse fissandomi e sorridendo.
«Vedermi?»
«Esatto. L’ultima volta non ci siamo lasciate proprio nel migliore dei modi.» Ricordai quell’episodio: la situazione alla stazione di polizia era critica, avevo già perso diversi agenti e Darren sembrava inarrestabile, quindi avevo sfogato tutta la mia rabbia contro di lei che continuava a dirmi di aver fiducia in me, nonostante mi sentissi impotente.
«Già, la situazione non era delle più rosee… mi dispiace di averti parlato in quel modo.»
«Non ti preoccupare, non sono affatto arrabbiata con te, anzi. Era un momento difficile per tutti e la tua reazione così dura è stata più che plausibile. E nonostante tutte quelle parole dove dicevi che ti saresti arresa e che non potevi fare più nulla, io sapevo la verità. Non ho mai perso fiducia in te.» Lyra si interruppe per qualche secondo, durante i quali però non dissi niente. «Non l’avevo persa neppure quando ti sei puntata contro quel fucile.» Avevo dimenticato la mia intenzione di suicidarmi: volevo farmi saltare la testa, in modo da farla finita una volta per tutte e non vedere più tutta quella sofferenza e quel sangue. «Sapevo dentro di me che non avresti sparato, e lo sapevo senza usare il mio potere di predizione, non ne avevo bisogno. Lo sentivo e basta, come sentivo che alla fine ce l’avresti fatta.»
«Già, ce l’ho fatta. Ho impedito che Asterion mettesse piede nel mio mondo, ma a che prezzo?»
«So a cosa stai pensando ma…»
«Lyra! Non c’è nessun ma! Ho ucciso una ragazza innocente!» Dissi alterandomi; lei restò interdetta, colta di sorpresa dal mio attacco. Lyra rispose solo qualche secondo dopo il mio assalto verbale, prendendo un profondo respiro.
«Ma è stato necessario. Uccidendola hai interrotto il rito e hai impedito ad Asterion di passare nella tua dimensione. La situazione era disperata, hai visto un’alternativa a ciò che stava per accadere e hai tentato il tutto per tutto! Darren l’avrebbe uccisa comunque!»
«Già, bel sollievo saperlo.» Scossi la testa. «In quel momento non avevo pensato a come mi sarei sentita dopo. Mi sono solamente chiesta: "E se Dana la uccidessi io invece di quel mostro? Cosa potrebbe succedere?"»
«E tu sai bene cos’è successo dopo.»
«Già, ma non riesco a pensare ad altro. Per quanto possa essere marcia dentro e per tutti gli errori madornali che ho commesso nella mia vita, non avrei mai immaginato di dover sparare ad una ragazza innocente.»
«Ma devi capire è che non è stato un errore.» Mi girai a fissarla: non avevo mai visto Lyra con uno sguardo simile. «È stato necessario, per il bene di tutti gli abitanti del tuo mondo. Anche tu eri disposta a sacrificarti, solo che invece che a te, è toccato a quella ragazza farlo.»
«Contro la sua volontà.» Dissi mestamente. Lyra chiuse gli occhi.
«Questo non puoi saperlo. Se avesse saputo che con la sua morte avrebbe salvato tutto il genere umano, forse si sarebbe sacrificata volontariamente. Anche perché se non lo avesse fatto sarebbe stata uccisa comunque.»
«Dici delle belle parole, vuoi tirarmi su di morale, ma per quanto tu ti possa impegnare, non ci stai riuscendo. Forse col tempo imparerò a conviverci, ma al momento il ricordo della pallottola sparata dalla mia pistola che le apre un foro in fronte è troppo vivo per non essere nella mia testa davanti a tutto.» Conclusa la frase la fissai nuovamente indicandomi col dito. «Io avevo promesso di salvarla da quel mostro, non di ucciderla. E non ho mantenuto la mia promessa! Come non l’ho mantenuta con tutti gli altri ragazzi prima di lei!»
«Hai fatto il possibile…»
«Ma non è stato abbastanza!»
«Darren era troppo potente, era fuori dalla vostra portata.»
«Questo l’ho già visto da sola, grazie per avermelo ricordato. Era per questo che ero così incazzata con te, perché eri consapevole che non potevo combatterlo ma continuavi a dire che alla fine ce l’avrei fatta.»
«Perché così è stato, nonostante il prezzo che avete pagato tutti. Tu, con tutte le ferite che hai riportato. I sei ragazzi, uccisi dalla furia di Darren. Tutti gli agenti che hanno perso la vita alla stazione di polizia. Tutti voi vi siete sacrificati per impedire che Asterion mettesse piede sul tuo mondo. E se non era per voi, probabilmente già molti altri avrebbero perso la vita, travolti dall’ondata di violenza portata dal demone e dalle sue legioni. È questo a cui devi pensare Valerie, è questo…» Disse muovendo la mano davanti a se, creando un’immagine a mezz’aria sospesa sopra il mare: stupita la fissai, vedendo un parco giochi con diversi bambini che giocavano a palla, che si rincorrevano, che andavano sull’altalena e altri che scendevano dallo scivolo. «Prova ad immaginare cosa ci sarebbe stato in quel parco giochi se tu non avessi ucciso Dana. Provaci, avanti.» Io non seppi rispondere, restando con la bocca semiaperta. «Te lo dico io cosa ci sarebbe stato: fiamme e distruzione. Desolazione e angoscia. Paura e morte. Invece ora ci sono dei bambini che giocano felici.»
«Lyra, io…» Cercai di dire, ma lei mi interruppe.
«Capisco perfettamente cosa provi, è un peso inimmaginabile. Ma non puoi lasciare che la cosa ti distrugga. Sei viva Valerie, e come te tante altre persone che ti devono ringraziare se lo sono ancora.» Annuii poco convinta.
«Ci proverò Lyra, ci proverò.»
«Sono sicura che ci riuscirai, ho fiducia in te!» Disse lei stringendomi le spalle e scuotendomi leggermente.
«Ancora? Non è ora di farla finita con tutta questa fiducia?» Chiesi scherzando.
«Non posso, andrebbe contro quello a cui credo, e non è nel mio stile…»
«Sei proprio incorreggibile…»
«Come te…» Disse infine; dopo quello scambio di parole restammo ad osservare il mare per un po’ in silenzio, perse nei nostri pensieri. Fui io a riprendere la parola.
«Come sta Adam?» Lyra mi fissò stranita, non capendo di chi stessi parlando. «L’agente che era con me alla stazione di polizia. Nel cercare di difendere Dana è stato colpito alla schiena da Darren, non so se è sopravvissuto. È un mio amico, sai nulla delle sue condizioni?»
«Fammi controllare.» Lyra chiuse gli occhi concentrandosi; quando li riaprì sorrise. «Come te passerà parecchio tempo in ospedale, ma se la caverà. Sembra sia stato colpito nel basso bacino, quindi faticherà a camminare anche quando sarà dimesso dall’ospedale, ma i danni non sembrano permanenti.» Tirai un sospiro di sollievo.
«Almeno lui si è salvato.»
«Anche altri agenti sono sopravvissuti. Non molti purtroppo.»
«Ma ora cosa sta succedendo nel mio mondo? È vero che Asterion è stato fermato, ma Darren ha fatto abbastanza danni per non passare inosservato… I sopravvissuti alla stazione di polizia racconteranno quello che hanno visto… e le telecamere di sicurezza, loro non possono mentire… e fuori dalla discoteca, qualcuno aveva visto quello che Darren ha fatto a quella ragazza…» Rabbrividii ripensando a quella scena cruenta, che mi avrebbe perseguitato per sempre.
«Quello che dici è vero, ciò che è successo non rimarrà nascosto e qualcuno si porrà molte domande. Le stesse domande che rivolgeranno a te.» Disse infine indicandomi.
«A me?»
«Esatto Valerie, eri tu a capo delle operazioni nella stazione di polizia, quindi di conseguenza eri quella che ne sapeva più di tutti. Quando ti riprenderai verrai tempestata di domande.»
«E cosa dovrei rispondere?»
«Ormai è dura nascondere la verità, tanto vale raccontarla tutta.»
«Sei sicura che sia la cosa giusta da fare?»
«Tanto non riusciremmo a dare altre spiegazioni a ciò che era diventato Darren, la sua forma demoniaca e la sua resistenza alle pallottole. Non si era mai visto nulla di simile dalla tua parte, dire che viene da un altro mondo mi sembra la risposta più plausibile.»
«Non penso che mi crederanno…» Lyra sorrise.
«Io invece credo proprio di sì, perché non saranno cose che hai visto solo tu, ma anche tanti altri. E dovranno crederti per dare una spiegazione razionale a ciò che è successo.» Annuii poco convinta.
«Mi aspettano un paio di mesi interessanti, tra tutto il tempo che passerò in ospedale e tutte le domande che mi faranno…»
«Questo non posso negarlo. Ma se ti può far felice, pensa che io devo combattere ogni giorno con mostri come Asterion e vedere immagini del futuro che sono composte solamente da morte e distruzione.» Quelle parole mi fecero pensare.
«Forse hai ragione, non starò poi così tanto male.»
«Ti prego, non sentirti in colpa. Ne hai passate già abbastanza. Ora non devi fare altro che riposarti per tornare come nuova.»
«Va bene Lyra. Lo farò.»
«Ora devo andare. Mi ha fatto piacere rivederti.»
«Anche a me.»
«Chissà se un giorno ci potremo vedere di persona, sperando che nei nostri mondi non ci siano più demoni pronti a seminare il panico…»
«Sarà difficile, ma ci proveremo…» Conclusi mentre ciò che mi circondava iniziò a sfocare come era successo le altre volte, perdendo forma e diventando una specie di nebbia nera.
«A presto, Valerie…» Rispose Lyra; l'oscurità si fece sempre più consistente fino a diventare buio completo.
***
Quando mi risvegliai dovetti chiedere per quanto tempo ero rimasta a chiacchierare con Lyra. Mi piaceva pensare di essere stata con lei invece che in coma o in stato vegetativo dovuto sicuramente all’anestesia.
L’infermiera mi disse che avevo dormito per quasi una giornata, durante la quale mi avevano immediatamente operata al braccio, cercando di richiuderlo il prima possibile per evitare danni permanenti. Mi avevano curato anche la ferita alla scapola, provocata da una delle pallottole d’osso sparate da Darren, ma quella era di gran lunga meno grave.
Da quel che mi hanno raccontato, dopo che il capo della setta ha abbattuto l’elicottero sul tetto della stazione di polizia, l’esercito e le altre forze di sicurezza si sono messe tutte in moto, raggiungendo velocemente il luogo dello scontro. Ovviamente era necessario l’abbattimento di un fottuto elicottero per far credere a quegli imbecilli che la situazione fosse gravissima e già fuori controllo. Ma al loro arrivo non trovarono nessun nemico, visto che Darren si era sgretolato davanti ai miei occhi quando avevo interrotto il rito; scoprirono solo i resti della battaglia e della carneficina appena conclusasi.
E fu così che trovarono anche me sul tetto, senza sensi, in una pozza del mio stesso sangue, in bilico tra la vita e la morte. Ma se sono qui a raccontarti questa storia, vuol dire che i soccorsi sono stati efficaci e rapidi.
E così mi trovai a passare giorni e giorni relegata nella mia stanza d’ospedale, con il braccio bloccato da una fasciatura, in modo che non potessi muoverlo e riaprire la ferita.
Non ricevetti molte visite di piacere, ma come aveva previsto Lyra arrivò subito un gruppo di uomini del governo in giacca e cravatta con una vagonata di domande su cosa era accaduto e sul perché ne sapessi più del previsto.
Come aveva consigliato la mia amica dai capelli blu, non feci altro che raccontare la verità, partendo dal rito alla villa e i sei ragazzi, l’omicidio di Darren alla stazione della metro e il suo ritorno, tutti i miei inutili tentativi di fermarlo e impedire che uccidesse i sei ragazzi fino ad arrivare al massacro alla centrale di polizia.
Benché fosse una storia dannatamente incredibile, gli uomini mi ascoltavano senza interrompermi, prendendo appunti e facendo solo qualche domanda quando non erano chiare alcune parti. Per un attimo pensai che sapessero già qualcosa, ma leggevo dai loro volti una grande inquietudine; prendevano ciò che gli raccontavo credendomi senza battere ciglio.
Ero quasi arrivata alla fine della storia, nel punto in cui ero già a terra con il braccio squarciato mentre Darren stava per infilzare Dana. Fu a quel punto che mi fermai. Sapevo bene ciò che era successo dopo, ma al momento lo sapevamo solo io e Lyra.
«E poi? Che cos’è accaduto dopo?» Chiese ansioso un uomo sulla cinquantina, stempiato, coi capelli brizzolati e un paio di baffoni bianchi. Iniziai a tremare: rievocare quella scena mi stava causando un mix di emozioni negative che mi stringevano lo stomaco.
«Avanti, non abbia paura! Sappiamo che sono cose difficili da rievocare, ma ci deve dire cos’è successo!» Disse un altro più giovane vestito di nero. Presi un profondo sospiro.
«Darren si è avvicinato alla ragazza, ha fatto scattare le sue lame e l’ha infilzata, dal basso verso l’alto.» Mimai anche il movimento con il braccio sano, stringendo il pugno e alzandolo verso l’alto. Uno degli uomini più indietro, tanto magro da farmi pensare che fosse malato, calvo e con un paio di piccoli occhiali tondi, prese la parola leggendo dei fogli all’interno di una cartelletta gialla.
«Secondo l’autopsia il corpo della ragazza presenta sì due profonde ferite di lama al torso come ci ha raccontato lei, ma è stata rilevata anche una ferita d’arma da fuoco alla testa.» Concluse alzando gli occhi dalla cartelletta e fissandomi intensamente. «E non devo aggiungere che dall’analisi balistica risulta che sia stata la sua pistola a fare fuoco.» Tutti le persone presenti rimisero il loro sguardo su di me, in attesa di una risposta. Io chiusi gli occhi sospirando mentre la mia agitazione stava aumentando: non me la sentii di raccontare la verità.
«È vero. Le ho sparato per farla smettere di soffrire. Era già stata trafitta da quelle lame, non potevo fare altro per lei.» Sentite quelle parole alcuni dei presenti si guardarono tra loro, mentre quello con gli occhiali chiuse la cartelletta e sembrò disinteressarsi alla conversazione, anche se qualcosa mi diceva che era quello più interessato.
«Comprendiamo la sua azione, tenente. Ora però deve dirci cos’è successo dopo… dalle immagini satellitari risulta che il demone si è… come dire… dissolto?» Espose quello coi baffi.
«È esatto, signore. Il demone ha iniziato a sgretolarsi davanti a me, fino a dissolversi totalmente.»
«E perché secondo lei è accaduto ciò?» Potevo rivelare la verità anche in quel momento, dicendo che Dana era ancora viva e che uccidendola avevo interrotto il rito; l’aver tralasciato il fatto che le avessi sparato prima che Darren la trafiggesse mi faceva sentire già meglio davanti a quegli uomini, ma se avessi raccontato la verità potevano insospettirsi, quindi decisi di far finta di non saper nulla.
«Mi dispiace, non so perché il demone si sia dissolto in quella maniera… dev’essere andato storto qualcosa nel rito, purtroppo ne so quanto voi.» Cercai di sembrare più sincera possibile, senza distogliere lo sguardo. Gli uomini si scambiarono qualche occhiata, sembrando all’apparenza soddisfatti; poco dopo si alzarono, salutandomi uno alla volta e augurandomi pronta guarigione. Tutti lasciarono la stanza, tranne quello con la cartellina gialla, ancora seduto sulla sedia più lontana. Si tolse gli occhiali, li appoggiò sul tavolino che aveva accanto e si massaggiò le tempie, come se avesse avuto un improvviso mal di testa. Quando riaprì gli occhi mi fissò, accennando un sorriso che non riuscii ad identificare. Poco dopo si alzò avvicinandosi a me; durante lo spostamento non lo persi di vista neppure per un secondo.
«Ha fatto bene a tenere la bocca chiusa su quell’ultima cosa.»
«Quale ultima cosa?» Lui sorrise nuovamente.
«Non faccia la finta tonta, sa perfettamente di che sto parlando. È chiaro come il sole che lei ha sparato alla ragazza prima che il demone la trafiggesse, in modo da ucciderla al suo posto e interrompere il rito.» Io lo fissai con ansia: che avesse rivelato la cosa? «Non si deve preoccupare di nulla, l’omicidio di quella ragazza non verrà mai fuori. E come l’ho capito io, credo che anche gli altri sospettino la cosa. Ma sarà il nostro piccolo segreto.»
«Io…» Riuscii a dire, ma lui mi bloccò con un cenno della mano.
«Non dica nulla, non è necessario.» Disse zittendomi, mantenendo comunque un modo di fare pacato e per niente invasivo. «Lei ha fatto la cosa giusta, ci ha salvati tutti.» Disse infine appoggiandomi una mano sulla spalla, fissandomi profondamente. «Nonostante il suo gesto possa sembrare riprovevole, è stato necessario. Questo fa di lei un’eroina, quindi non deve preoccuparsi. Ha la mia parola.» Finita la frase sfoggiò un ultimo sorriso e uscì dalla stanza, lasciandomi sola a pensare alle sue parole: un’eroina, già. Ma le eroine salvano gli innocenti, non li uccidono.
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Marco “Frullo” Frullanti –
E’ sempre lei, Valerie: spesso cinica, sarcastica, dura, senza peli sulla lingua, pratica…., ma è pur sempre un essere umano e le debolezze non l’abbandonano(recensione su Chicchi di Pensieri)