Davanti alle sterminate produzioni televisive seriali c’è l’imbarazzo della scelta. Anzi, il panico della scelta. Tra il godibile e il noioso, il pregiato e il rozzo, un’ampia fetta di questa offerta si rivolge agli amanti della catastrofe. Basti pensare ai vari Black Mirror, The Walking Dead o a Wayword Pines. Si potrebbe sproloquiare all’infinito sul materiale disponibile, cartaceo o in video che sia, ma possiamo dire che l’umanità è sempre stata attratta dalle realtà alternative o al brivido di veder spazzata via la propria razza.
The man in the high castle (a noi in Italia piace chiamarlo La svastica sul sole) di Philip K. Dick non è solo una distopia amata da cultori del disastro e non, è anche l’ucronia per eccellenza finalmente trasmigrata al mezzo televisivo. I fan del romanzo hanno atteso qualcosa come cinquant’anni per vederlo finalmente realizzato visivamente e ora ha preso forma attraverso una prima stagione prodotta da Amazon. Nell’oceano di produzioni fantascientifiche e distopiche c’è qualcosa di datato eppure ancora accattivante che galleggia nel palinsesto e che si avvia verso una già confermata seconda stagione.
La Seconda Guerra Mondiale è stata vinta dalle potenze dell’Asse, con Germania e Giappone che dagli Usa si affacciano sui rispettivi oceani e li dominano secondo le proprie regole. Sono gli anni ’60, la guerra è finita e la sovranità delle potenze totalitarie è definitiva, senza scappatoie. Nel mezzo degli Stati Uniti è concessa una zona neutrale dove si annidano forze resistenti al sistema impegnate a sabotare i regimi colonizzatori. In questo contesto letterario si colloca la serie tv, prendendo a prestito personaggi e situazioni ma optando per un allargamento del mondo narrativo. La serie espande l’universo di Dick fino a renderlo potenzialmente infinito: questo significa tradurre un romanzo come questo in serie televisiva.
Il lungo elenco delle differenze riscontrate nell’adattamento non mette nella posizione migliore per godersi lo spettacolo ideato da Frank Spotnitz (lo si ricorda soprattutto per X-Files) e prodotto da Ridley Scott (chi meglio di lui dopo Blade Runner?) basato su e non fedelissimo a. Ma un dettaglio va sottolineato, ed è la diversa natura dell’opera interna La cavalletta non si rialzerà più: nel romanzo un libro di fantasia avversato dai nazisti, sullo schermo un filmato clandestino. Entrambi raccontano una realtà alternativa: il primo discostandosi dalla nostra e allargando ulteriormente il campo, il secondo rifacendosi agli eventi reali della Seconda Guerra Mondiale. Sarà un filmato di finzione? O un cinegiornale? Juliana Crain, esperta di arti marziali, si trova per caso al centro di questo traffico: seguita da Joe Blake (quali sono i suoi scopi verrà svelato più avanti) e ricercata dalla polizia giapponese, farà qualsiasi cosa, anche mettere in pericolo la propria famiglia, pur di scoprire la verità.
La cavalletta non si rialzerà più si trasforma così in qualcosa di diverso, un oggetto meno fantasioso e più simile ad un testimone di una vita parallela a quella dominante.
Il paesaggio ipotetico che prende vita sullo schermo è immediatamente sconvolgente, ogni angolo del pianeta sembra lì a ricordarci che il Terzo Reich non è stato estirpato e il simbolo della svastica incombe sugli uomini – non più – liberi. Ci sono poi alcuni particolari che restano in sottofondo, e come nel libro anche nella serie non vengono mostrati, ma che sono determinanti nella costruzione dell’atmofera: quella che ad un primo momento potrebbe sembrare neve, si scopre essere cenere di storpi e malati annientati negli ospedali degli Stati Uniti centrali. A Cavan city, nel bel mezzo della neutralità, ci viene presentato il fantasma grigio dell’America che conosciamo. E ancora più grigia e più dimessa è la California dominata dai giapponesi, ormai irriconoscibile ai nostri occhi.
Ma questo non è solo un adattamento tv. I linguaggi e i tempi sono diversi, le relazioni dialogiche tra i testi ancora più importanti. Il passaggio dal letterario al fimico (o peggio ancora al televisivo) è stato perfino considerato una forma inferiore, già in partenza un adattamento viene percepito come un abbassamento di livello e ci si aspetta una risposta negativa da parte del pubblico, soprattutto quando si toccano classici della letteratura – in questo caso fantascientifica – come quello di Dick. Nel romanzo i singoli personaggi sono messi in risalto, mentre nella serie è l’ambiente distopico ad essere davvero protagonista. Gli adattamenti cinematografici spesso deludono, ma cosa succede con le serie tv?
Lo stesso Spotnitz, parlando dell’ideazione dell’opera in un’intervista su Den of Geek, racconta di come sia stato difficile aggiungere personaggi e situazioni per creare una struttura adatta alla serialità. Ha rispettato la narrazione di base pur ampliando il ventaglio di idee e temi raccontati. Nel suo romanzo Dick introduce discrepanze allo scopo di disorientare il lettore. Dove non cancella personaggi storici, posticipa gli avvenimenti e li distorce. La sua ucronia è figlia degli anni ’60 ancora scioccati dalla guerra e dal Nazismo; ciò che vediamo oggi, alla luce della nostra contemporaneità, cosa può dirci di diverso e ancora attuale?
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