In colpevole ritardo, buttiamo qualche impressione relativa al nostro Salone del Libro, visto che tutti gli altri lo hanno già fatto. L’idea era di andare al Salone per capire se vale la pena prendere lo stand l’anno prossimo. E poi perché il Salone ha ancora il suo fascino, eh.
Ad oggi ho perso il numero degli articoli di commento del #SalTo (così reclamizzato, perché social è molto cool, peccato che il 3g dentro i padiglioni non funzionasse e il wi-fi avesse tempi di caricamento che i nostalgici del 56k avranno senz’altro apprezzato), articoli che si dividono più o meno a metà tra i celebrativi, che parlano di numeri che fanno girare la testa (pare che ogni anno il Salone batta tutti i record di presenze e vendite), e i depressivi, che profetizzano la morte dell’editoria italia e fanno a pezzi il Salone. Come possono coesistere due correnti interpretative così dicotomiche? Hanno ragione i pessimisti o gli ottimisti, gli apocalittici o gli integrati? Non ci è ancora dato saperlo, sicuramente i record del #SalTo, se accostati ai dati drammatici dell’editoria italiana, un mercato in crisi oramai sistemica, fanno pensare a un’Italia a due velocità.
Rimane quindi il sospetto che gli ospiti televisivi e tutta una serie di stand che con il libro c’entravano fino a un certo punto servissero per attirare un pubblico che col libro, durante l’anno, non ha poi così spesso a che fare. L’impressione è che il Salone del libro sia un po’ l’equivalente laico della messa di Natale per quello che resta dell’elite intellettuale italiana: dal momento che durante l’anno non si è letto un libro neanche per sbaglio, si paga l’obolo al Salone e dopo una giornata passata in coda tra Fabio Volo e Piero Pelù si arraffa qualche volume a caso da una delle librerie/stand degli editori più famosi ed ecco che la coscienza è sistemata per altri 12 mesi!
Allora il Salone del Libro è solo uno specchietto per le allodole? Niente affatto, basta farsi largo tra la folla procedendo dritto per circa 200 metri dall’ingresso senza commettere l’errore di guardarsi intorno e si arriva alla parte bella del Salone. Piccoli editori pittoreschi, aspiranti scrittori in crisi di nervi, presentazioni di nicchia con pubblico di nicchia, blogger autocompiaciuti, persino qualche raro esemplare superstite di lettore forte (si riconoscono perché oscillanti tra lo stato di beatitudine e il disagio esistenziale), pensate! Questo è il #SalTo della solidarietà tra “piccoli”, delle conferenze con panel pieni di gente divertente e intelligente, dell’editoria digitale che inizia a fare sentire la sua voce (we are the 3%!).
I nostri due giorni al Salone del Libro di Torino ci hanno confermato che sì, di problemi l’editoria italiana non ne ha pochi. E che c’è tanto lavoro da fare. Ma l’entusiasmo e la disponibilità degli addetti ai lavori della zona Book to The Future e dell’Incubatore dei piccoli editori, da una parte, e la discreta presenza di giovinastri che sono in qualche modo riuscito a farsi largo tra i FlipBack (la nuova “rivoluzionaria!!” e discutibile trovata di marketing di Mondadori) e Peppa Pig per sostenere la nuova piccola editoria, dall’altra, ci fanno conservare qualche speranza per il futuro.
Del resto, un saggio diceva: “A volte sei tu che mangi l’orso, a volte è l’orso che mangia te”.
Marco “Frullo” Frullanti
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