Riguardo ai gladiatori romani, figura di indubbio fascino, permangono spesso luoghi comuni e miti riguardo a chi fossero, e come vivessero: erano più vicini ad essere schiavi la cui vita era nelle mani dei loro padroni, o si potevano considerare simili agli sportivi professionisti di oggi per fama e guadagni?

Possiamo farci un’idea di quella che fosse la vita effettiva dei gladiatori da alcuni ritrovamenti e dalle ricerche correlate degli storici: sappiamo ad esempio che esisteva una graduatoria piuttosto simile al ranking dei moderni tennisti: era detto palus, nome che deriva dal palo di legno contro cui si addestravano i gladiatori. Il conteggio delle vittorie era tenuto da schiavi, il cui compito era quello di tenere aggiornata la classifica all’interno del ludus in cui vivevano. Dopo il “battesimo dell’arena”, a prescindere se il duello fosse stato vinto o perso, si diventava automaticamente veteranus, ovvero la categoria più bassa, che corrispondeva al livello di quartus palus. Il grado più alto che si potesse raggiungere, invece, era quello di primus palus.

Il livello di primus palus comportava anche delle responsabilità verso i combattenti più giovani della squadra (ossia i gladiatori sotto lo stesso proprietario, il lanista). Il gladiatore più alto in grado doveva contribuire a mantenere ordine e disciplina tra le reclute e, al tempo stesso, spronarle a dare il massimo, poiché tutta la familia ne avrebbe beneficiato. Bisognava assolutamente evitare le sconfitte, perché avrebbero compromesso la reputazione della squadra, con conseguente abbassamento degli ingaggi. Occuparsi della buona condotta nel ludus, quindi, non era solo un dovere del lanista (il proprietario di una squadra di gladiatori) e degli istruttori, ma anche degli “anziani” del gruppo che ambivano al congedo. Una volta ottenuto, la carriera terminava e si aprivano le porte dell’insegnamento, si diventava cioè doctores. Tra questi maestri di scherma, i più meritevoli venivano selezionati come arbitri per gli incontri, raggiungendo così il grado di summa rudis, il livello più alto a cui si poteva aspirare. Insomma, le possibilità di continuare la loro carriera in ambito gladiatorio al termine della “pratica sportiva” erano molteplici.

Il modo in cui poter scalare la classifica, però, dipendeva essenzialmente dalle vittorie ottenute. Grazie ad alcuni graffiti, è possibile capire come veniva annotato il punteggio e quanta precisione ci fosse nel documentarlo. Una meticolosità che, oggi, ricorda molto la perizia di alcuni giornalisti sportivi, amanti delle statistiche.

Sulle mura di una tomba nel cimitero di Porta Nocera, è stata impressa una sorta di “telecronaca” del munus che si era svolto a Nola. In primo piano sono raffigurati due gladiatori che si affrontano; sopra ciascuno di loro è possibile leggere il nome e due numeri; il primo è il conteggio dei duelli combattuti, seguito da una parentesi tonda chiusa (coronarum), dopo la quale compare il numero degli incontri vinti. La lettera successiva rappresenta il risultato del combattimento in corso: V sta per vicit (“ha vinto”); M per missus, a significare che il gladiatore perdente è stato graziato ed ha avuto salva la vita; Ø (theta nigrum), indica la morte del combattente.

Ad esempio, la prima iscrizione mostra l’incontro tra due gladiatori, Hilarus Ner e Creunus.

L’abbreviazione “Ner”, dopo il nome del primo, sta per “Neroniano”, ad indicare la provenienza dalla scuola gladiatoria di proprietà dell’imperatore Nerone. Una specificazione che ricorda molto ciò che si fa ancora oggi quando, parlando di un calciatore, si menziona il vivaio in cui è cresciuto. Hilarius ha combattuto 14 (XIV) incontri e ne ha vinti 12. Sotto il suo nome, la V di vicit, sta a significare che ha vinto il duello in corso. Lo sfidante è Creunus, un oplomaco con sette (VII) duelli all’attivo e cinque (V) vittorie. La lettera M (missus) dopo il numero 5 (V) delle vittorie, ci dice che ad aver perso questo duello ed essere stato graziato è proprio lui.

I graffiti del munus di Nola, sono uno dei pochi esempi in cui vengono mostrati combattimenti svoltisi durante lo stesso spettacolo. La formula su cui questo è impostato sembra la stessa del tennis, dove esiste il sistema delle “teste di serie”. I tornei ATP, ad esempio, sono organizzati affinché la testa di serie n.1 e la n.2 si possano scontrare solo in finale, quando l’affluenza di pubblico è più alta.

Un sistema del genere doveva valere anche per i munera più importanti, anche se il numero degli incontri non era paragonabile a quello di un torneo di tennis. L’attesa del pubblico era, quindi, tutta rivolta alla “finale”, la giornata in cui si sarebbero sfidati i lottatori più forti.

Nel caso dello spettacolo di Nola, il duello previsto in finale avrebbe dovuto essere tra le due “teste di serie” del torneo, Hilarus Ner. e L. Raecius Felix. Ma la recluta M. Attilius ha scombussolato i piani, battendo il gladiatore più quotato ed imponendosi come la rivelazione del torneo.

 

Nonostante la plebe dell’Urbe non apprezzasse particolarmente gli agoni greci, a Roma ne venne ripresa l’usanza di premiare i vincitori con corone di foglie. La pianta che più di tutte si legò al destino dell’Urbe, fu senza dubbio l’alloro, la pianta sacra ad Apollo, simbolo di gloria e sapienza. A Roma divenne il simbolo che celebrava il trionfo dei generali prima e degli imperatori poi, in seguito le vittorie di atleti e gladiatori. Alla corona d’alloro fu associato anche un ramo di palma.

Oltre a questi premi simbolici, i Romani ripresero dai Greci anche l’usanza di assegnare somme di denaro e oggetti preziosi. Svetonio racconta di quando Claudio, durante una cerimonia di premiazione, si mise a contare ad alta voce le monete d’oro che avrebbe consegnato direttamente ai vincitori. Da Marziale sappiamo che anche i piatti d’argento su cui erano disposti i soldi venivano consegnati insieme al premio in denaro. Non si conosce esattamente a quanto ammontasse questo praemium, esistono però dei mosaici, come quello della Villa Romana del Casale, che ce lo mostrano: al centro dell’arena è raffigurata la lotta tra Pan e Eros, nella parte alta i premi per i vincitori. Oltre ad alcuni vasi contenenti rami di palma, a terra si distinguono due sacche che recano scritta la somma di denaro per chi otterrà la vittoria: 22.000 denari (ossia 88.000 sesterzi).

Pur trattandosi di una rappresentazione, questo indizio celato in secondo piano potrebbe dare un’idea riguardo l’ammontare dei premi nel IV sec. d.C. e, dato che viene rappresentata una lotta, non è da escludere che fosse una cifra analoga alla ricompensa per i gladiatori, i lottatori più popolari di allora.

Ci sono poi molti altri aspetti affascinanti della vita (e morte!) dei gladiatori che è possibile ricavare dalle fonti storiche e archeologiche. Una sintesi accattivante e piacevole da leggere la trovate nel libro “Gladiatori: I protagonisti del primo Talent Show della storia” di Niccolò Arcangeli, disponibile in formato ebook e cartaceo su Amazon.