Oltre a rischiare la loro vita nei combattimenti nell’arena, l’esistenza quotidiana dei gladiatori ai tempi dell’Antica Roma era sicuramente ricca di impegni, similmente a quella di un moderno sportivo professionista. Per sopravvivere alle battaglie nell’arena bisognava infatti sopportare una disciplina ferrea ed affrontare una preparazione massacrante, fatta di esercitazioni quotidiane al fine di diventare una perfetta macchina da guerra, in grado di intrattenere le folle.

Che i gladiatori venissero considerati un esempio perfino per l’esercito romano, celebre per la sua disciplina e i suoi successi contro barbari dal fisico maggiormente prestante, ce lo racconta lo storico Valerio Massimo, secondo cui nel 105 a.C. furono chiamati alcuni doctores (insegnanti, di solito ex gladiatori) della scuola di Capua per insegnare ai legionari le tecniche di combattimento dei gladiatori. Ciò rende bene l’idea delle qualità militari che la preparazione all’arena richiedeva.

Grazie agli scritti di Valerio Massimo e a quelli di Vegezio, autore di un trattato sull’arte della guerra, è possibile approfondire le tecniche di lotta adoperate dai gladiatori e, al tempo stesso, ipotizzare un sistema di addestramento formato da tre diverse fasi.

 

Nella prima fase, quella che doveva costituire una sorta di prova iniziale, la recluta era assegnata agli istruttori per apprendere i rudimenti della scherma ed iniziare un programma di allenamento fisico. Durante questo periodo, venivano valutate attentamente tutte le caratteristiche del futuro combattente; ovviamente quelle fisiche, ma anche quelle combattive e psicologiche, giudicate dagli istruttori. Per i gladiatori, questo doveva essere il momento in cui veniva decisa la categoria d’appartenenza: pesante o leggero, una distinzione basata sull’equipaggiamento che sarebbe stato utilizzato in duello.

 

Il secondo livello era un allenamento intensivo, detto “ad palum”, perché ci si esercitava colpendo un palo (palus) di due metri infisso nel terreno.

Il palus, secondo lo storico Vegezio, serviva a simulare il duello con l’avversario; bisognava essere in costante movimento, quindi avanzare e retrocedere, parare e schivare. Lo scopo di questo esercizio era di migliorare la tecnica, sviluppare forza, stabilità e coordinamento durante gli attacchi con la spada, qualità che necessitavano di tempo, esperienza e, soprattutto, disciplina. Ripetere ritmicamente i movimenti serviva a migliorare la tecnica e ad assimilare la corretta postura; in un certo senso, si può paragonare all’allenamento di un moderno pugile con il sacco. Di certo doveva essere un esercizio fisico estenuante, in grado di sviluppare muscolatura e resistenza: grazie ad uno studio eseguito sui resti di 67 gladiatori ritrovati nel 1993 ad Efeso (Turchia), è risultato che i marker muscolari sulle ossa delle braccia, delle gambe e dei piedi erano più grandi della norma.

Invece di una vera spada, per allenarsi si adoperava il rudis: un bastone di legno, che serviva per prendere dimestichezza con il gladio; per la difesa invece veniva usato uno scudo di vimini, detto cratis.

Anche nella VI satira di Giovenale, il palus è paragonato ad un nemico contro cui combattere; da questo testo sappiamo che i colpi non venivano portati casualmente, ma seguivano un ordine di mosse prestabilite. L’esercizio con il palo era quindi un addestramento basato sulla ripetitività: si iniziava con movimenti lenti ma precisi per assimilare la tecnica, poi il ritmo aumentava in modo da sviluppare velocità e precisione. Un approccio che si ritrova in molte arti marziali orientali, soprattutto nel karate con le sue sequenze, o kata.

 

Dopo aver perfezionato le tecniche di combattimento con il rudis ed il cratis, iniziava la terza fase, anche detta prolusio o lusio, quella in cui le reclute indossavano protezioni alla testa, agli stinchi e alle braccia.

Le reclute venivano divise e affidate ad istruttori specializzati, così da imparare le tecniche di combattimento della propria armatura, la classe a cui si veniva assegnati. Grazie ad alcune epigrafi, sappiamo che i doctores erano specializzati nell’insegnamento di un singolo stile di lotta. Conosciamo, infatti, un doctor myrmillonum (istruttore di mirmilloni), hoplomachorum (istruttore di oplomaci), secutorum, retiariorum, infine un doctor thraecum.

Una volta raggiunto un buon livello qualitativo, si passava all’apprendimento delle tecniche di combattimento corpo a corpo. Dato che, molti scontri si decidevano dopo che si era stati disarmati, bisognava sapersi difendere ed essere letali anche a mani nude; lo testimoniò, tra gli altri, Valerio Massimo.

Una volta acquisito questo tipo di tecnica, i gladiatori erano pronti per il loro debutto.

gladiatoriIl fine ultimo di questo tipo di addestramento, oltre alla sopravvivenza nell’arena, era l’accettazione della morte con coraggio e dignità. Secondo Cicerone, nelle Tusculanae disputationes, il gladiatore rappresenta un vero esempio di eroismo, perché, anche se sconfitto, non ritrae mai la gola davanti alla lama del vincitore.

 

Se queste informazioni ti sono risultate utili, e ti piacerebbe saperne di più sulla figura del gladiatore ai tempi dell’Antica Roma, su chi erano e come vivevano, ti rimandiamo al libro “Gladiatori: I protagonisti del primo Talent Show della storia” di Niccolò Arcangeli, disponibile in formato ebook e cartaceo su Amazon.