Di “Adrian”, l’autoproclamata “serie evento” che è diventata un fenomeno di culto sul web per i motivi sbagliati (come nel caso del mitico “The Lady”), se n’è già parlato tanto. Certo, dal momento in cui scrivo siamo a soli tre episodi su nove, ma la (scarsa) qualità di questi ha già portato molti a chiedersi: com’è possibile che un dream team di talenti artistici (lo stesso Adriano Celentano, ma anche Vincenzo Cerami, Milo Manara e Nicola Piovani, con l’aiuto degli allievi della Scuola Holden) abbia partorito un prodotto che fa acqua da tutte le parti? Cos’è andato storto?

I WANT TO KNOW I WANT TO KNOW
O almeno, è quello che mi sono chiesto io, per colpa del mio vizio di sovranalizzare tutto che lo studio della semiotica mi ha regalato. Ma non tutto il male viene per nuocere: se questo blog sembra essere seguito soprattutto da scrittori o aspiranti tali, magari l’esempio eclatante di Adrian può esserci utile per provare a capire… cosa non bisogna assolutamente fare quando si scrive una storia! E allora, iniziamo…
Le idee che sembrano “geniali”… non sempre lo sono davvero!
La premessa alla base di Adrian è quella di applicare le tematiche da sempre care a Celentano, come l’ecologia e un certo pessimismo verso l’innovazione tecnologia, a un contesto blandamente “sci-fi” e distopico. Sulla carta sembra una trovata brillante, no? Credo sia quello che pensano molti autori quando buttano giù presentazioni del tipo “come Twilight, ma ambientato ai tempi delle guerre puniche e con più sesso becero”, o “ispirato alla Divina Commedia, ma moderno e divertente” (questa in particolare quante volte l’ho sentita…). Una presa in giro esemplare di queste idee è fornita dall’account twitter “nerd garbage pitches”… sono “involontariamente” ridicole, vero?
Esattamente quello che avrà pensato lo spettatore di Adrian vedendo una via Gluck apparentemente rimasta negli anni ’60 del ‘900, ma circondata da grattacieli da megalopoli asiatica.
Il lettore/spettatore dovrebbe poter identificarsi con il protagonista, o quantomeno non odiarlo!
Non è un mistero che spesso l’autore finisca per mettere un po’ del suo carattere e delle sue esperienze nel protagonista, a volte creando, più o meno volutamente, una versione idealizzata di se stesso. In Adrian, almeno, ciò è esplicitato senza troppi fronzoli, anzi si può dire che sia in un certo senso la stessa ragione di esistere della serie. Se però il protagonista è una versione superomistica di Adriano Celentano alla fine degli anni ’60 magicamente proiettato un secolo dopo (tra l’altro, tutti scommettono su qualche forma di “ritorno al futuro” come colpo di scena centrale), ciò crea un serio problema: che l’unico a poter identificarsi in lui sarà Celentano stesso… che evidentemente non ha certo problemi di autostima!
Oltretutto, l’apparente invincibilità e imperturbabilità di Adrian in qualunque situazione non lo rende solo irrealistico, ma anche decisamente poco simpatico: persino i supereroi della Marvel e i protagonisti dei manga/anime shonen qualche momento di debolezza ogni tanto ce lo mostrano… invece Adrian, almeno fino alla terza puntata, non ne vuole proprio sapere di levarsi quel sorrisetto sarcastico dal ghigno.
Bisogna evitare le frasi fatte!
Certo, questo è un vizio estremamente diffuso in film, serie tv e ovviamente anche nei romanzi, ma in Adrian l’abuso di espressioni stereotipate diventa più palese che mai, contribuendo non poco alla patina di straniamento surreale che sta rendendo la serie un cult “al contrario”.
Usare, tra l’altro ripetutamente, scambi di batute come:
“Come hai detto che ti chiami?
“Non l’ho detto.”
può andare bene se frequenti l’asilo, o magari per caratterizzare un personaggio sbruffone e alienato dalla realtà tipo, che ne so, Mr. Satan di Dragon Ball. Non certo per conferire carisma e credibilità a un adulto…
La nostra storia non può “piacere a tutti”: abbiamo bisogno di un pubblico di riferimento!
L’idea di associare la figura di Celentano, stimato soprattutto dal pubblico con un po’ di capelli bianchi sul capo, a un genere come la fantascienza distopica, apprezzato perlopiù dai giovani o comunque dai “nerd”, pare proprio un tentativo facilmente sgamabile di prendere due piccioni con una fava.
Il risultato? Probabilmente, persino quella manciata di fan di Celentano che ai tempi hanno adorato Blade Runner saranno rimasti perplessi dall’accostamento delle canzoni del Molleggiato (ma pure dei disegni del pur bravissimo Milo Manara) a una rivisitazione all’amatriciana degli stereotipi più abusati del genere.
In un universo mediatico sempre più frammentato in nicchie d’interesse come quello odierno, il “lettore/spettatore medio” non esiste più (se mai è esistito): cercare goffamente di far contenti tutti porterà a situazioni paradossali come un gruppo dal look decisamente trasgressivo e “future punk” che canta… le canzoni dei Negroamaro, che penso sia stato uno dei più clamorosi momenti “WTF?!” della cultura pop contemporanea. Ancora più dell’involontariamente demenziale (o, se preferite, malcelatamente offensivo) grattacielo “Mafia International” a Napoli.

Per non dimenticare
e infine…
La trama deve avere un senso!
Ne hanno già parlato in tanti, tra cui il Duca di Baionette: a giudicare dalle prime tre puntate, la trama di Adrian non solo richiede dosi massicce di “sospensione dell’incredulità” per essere seguita, a causa dell’ingente numero di contraddizioni logiche e scene apparentemente slegate tra di loro, ma spesso e volentieri non ha proprio senso. Sembra una banalità, ma non è un difetto così raro: purtroppo molti romanzi che ho avuto modo di valutare hanno idee veramente geniali e personaggi ben scritti (a differenza di Adrian…), ma la scarsa coesione tra eventi e/o la mancanza di un filo conduttore compromettono il ritmo di lettura, fino a rendere la storia difficile da seguire.
E a voi, tra i “peccati capitali” di Adrian, ne vengono in mente altri? O forse ho calcato un po’ troppo la mano? Fatemi sapere nei commenti!
Marchetta conclusiva: se credete che la vostra storia abbia bisogno di una stroncatur… ehm, una valutazione onesta, recentemente abbiamo riformulato i “pacchetti” di servizi editoriali per autori indipendenti; trovate tutto qui.
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