Facciamo finta: siete tre ragazzi venezuelani appassionati di animazione giapponese e volete realizzare una Visual Novel in grado di farsi notare nel microcosmo degli sviluppatori indie e di attrarre l’attenzione di mezzo internet: come fate? Impossibile? Non se la visual novel in questione si intitola Va-11 Hall-A – Cyberpunk Bartender Action.

Il sottotitolo dovrebbe già farvi capire di cosa sta parlando, o almeno darvene una vaga idea: ancora più efficace è l’auto-definizione di Sukeban, questo il nome del già citato team venezuelano, sul loro sito: “a booze em’ up about waifus, technology, and post-dystopia life”. O almeno in questo senso: se non ci avete capito niente a parte “technology”, allora vuole dire che Va-11 Hall-a non fa proprio per voi. Se invete queste parole non vi suonano aliene… beh, sapete già che questa Visual Novel è stata pensata proprio per nerd come noi! Ma siamo in buona compagnia, visto che, a solo 8 mesi dal lancio su Steam, sono state vendute oltre 150.000 copie digitali, e a breve saranno lanciate le versioni per iPad e Plastation Vita.

Di che cosa stiamo parlando, quindi? Non impersonerete un prode liceale o un’eroina colta e affascinante, ma una barista 27enne di nome Jill: cinica, omosessuale, fumatrice incallita, con scarsa stima di sé, un passato incasinato alle spalle e tante bollette da pagare, alle prese con la difficile sopravvivenza metropolitana a Glitch City (sic). Sì, già un bel cambio di passo rispetto ai cliché. Ma il bello deve ancora arrivare: il vostro compito non è salvare il mondo e nemmeno salvare voi stessi… ma versare da bere all’eterogenea fauna di derelitti che popola il bar dove lavorate… il Va-11 Hall-a (O, se preferite, Valhalla), appunto. Ma, tra tutti gli altri progetti deliranti che stanno spuntando in questi anni, da quando le Visual Novel sono diventate popolari anche fuori dal Sol Levante, quali sono i motivi del successo di pubblico e di critica di questa strampalata bartending simulation?

L’ambientazione cyperpunk

Se l’hanno citato persino nel sottotitolo, c’è un motivo: dopo che il boom del distopico degli ultimi anni si sta affievolendo, a molti è tornata fame di cyberpunk. C’è del resto un motivo se proprio in questi anni usciranno remake o sequel di capolavori del  genere come Blade Runner, Ghost in The Shell, Akira o Final Fantasy VII (e sicuramente mi sto dimenticando qualcosa). Io credo che in realtà molti, soprattutto in ambiente indie, amino il genere ma abbiano paura di “usarlo” proprio perché ambientazioni credibili richiedono un sacco di risorse e quindi di soldi. Sukeban ha risolto il problema in questo modo: prendendo a piene mani dai cliché del cyberpunk (cyborg, mega-corporazioni malvagie, decadenza urbana, corruzione morale… c’è tutto!), ma ambientando il tutto non per le strade di una megalopoli, ma dentro un bar. Tra l’altro, il contrasto tra l’inquietante mondo “di fuori” raccontato dai personaggi che si rifugiano nel locale per un po’ di tranquillità e quello intimo e in qualche modo accogliente del Va-11 Hall-a funge pure da espediente narrativo.

Lo stile retrò

Fino a poco tempo fa, un gioco dallo stile grafico che sembra uscire direttamente dai primi anni ’90 sarebbe stato considerato una ciofeca da principianti e ignorato o deriso. Il recente boom del mercato di sviluppatori indie (combinato all’effetto nostalgia, almeno per gli ultraventenni) ha cambiato un po’ le carte in tavola, e giochi che potrebbero essere usciti sul Super Nintendo o addirittura sulle console a 8 bit come Hotline Miami, Undertale e Papers Please hanno in realtà beneficiato dell’aspetto apparentemente antiquato. Del resto, meglio le 2 dimensioni e i pixel sgranati, se l’effetto complessivo è gradevole, che il 3d approssimativo. Va-ll Hall-a si inserisce egregiamente in questo contesto: lo stile “retrò” ben si adatta all’estetica (e alle tematiche) cyberpunk, e le musiche in stile vaporwave (che possiamo scegliere, cambiando la playlist per ogni “turno di lavoro”) contribuiscono a dare l’idea di un “futuro nostalgico” che, ancora una volta, ben si adatta all’atmosfera e ai temi trattati

 

Le “waifu”

Un’altra particolarità di questa Visual Novel è il cast dei personaggi, dove la netta maggioranza è femminile. A differenza delle Visual Novel di origine giapponese, si avverte un evidente gusto nel sovvertire gli stereotipi: oltre alla protagonista cinica e malinconica che sembra un po’ una versione adulta della Daria che abbiamo tanto amato ai tempi su MTV, abbiamo la proprietaria del bar che è un’ex-wrestler dal cuore d’oro, una femme-fatale che fa l’hacker, una prostituta androide autoironica, un’agente delle forze armate troppo ottimista per quel mondo, un’idol dalla lunga chioma azzurra… e sono tutte, a loro modo, molto attraenti. Una bella mossa, da parte degli sviluppatori, per strizzare l’occhio al pubblico femminile e, al contempo, a quello maschile…

 

Le tematiche adulte

Sovvertendo un altro stereotipo delle Visual Novel giapponesi, il contesto non è scolastico e gran parte dei personaggi sono adulti alle prese con i casini della sopravvivenza metropolitana in una società distopica. Evitando sgradevoli “infodump”, il contesto in cui si colloca la storia ci è svelato gradualmente attraverso le conversazioni tra Jill e gli avventori del bar, ad esempio: nel 207x a Glitch City gli androidi fanno parte della realtà quotidiana ma subiscono ancora forme più o meno velate di discriminazione; l’ideologia è morta e sepolta, come la libera informazione; l’omosessualità è comune e accettata ma persistono ancora modelli di comportamento machisti. Insomma, il messaggio di Sukeban non è dei più ottimisti: secondo loro la tecnologia futura non ha contribuito a risolvere molti problemi persistenti nella nostra società, ma ha finito per amplificarli o riproporli in altro modo.

L’innovativa modalità di interazione

Ed eccoci arrivati al motivo che ci interessa in fondo di più, visto che questo è pur sempre il blog di una casa editrice! Anche in questo caso le convenzioni delle Visual Novel sono superate: il lettore non influisce sullo sviluppo della storia attraverso la scelta di risposte multiple ma… decidendo quali drink versare ai clienti! Fin dall’inizio, siamo invitati a esprimere la nostra creatività: quando un personaggio chiacchiera con noi e a un certo punto ci dice che vuole ubriacarsi, possiamo fare come dice oppure servirgli invece un drink analcolico, influenzando i dialoghi che seguono; l’attenzione per i veri desideri dei nostri clienti celati dalle loro stesse parole sarà premiata anche con scene extra che si sbloccano solo se serviamo determinati cocktail in certe circostanze. Tutto ciò è senza precedenti nella storia del genere, e senz’altro è un elemento di forte attrattività, eppure… funziona? Purtroppo, non sempre: i dialoghi opzionali che si sbloccano quando si ragiona fuori dagli schemi non sempre sono appaganti (ad es: servendo una bevanda alcolica a una minorenne che si presenta con una carta d’identità palesemente falsa, la questione morale è del tutto aggirata, a differenza ad esempio di Papers Please come spiega questo video, e Jill finisce semplicemente per bersi il drink invece di servirlo) e a volte portano semplicemente a risultati frustranti; alla fine, almeno nel mio caso, si finisce semplicemente per fare contenti i clienti per non rischiare di trovarsi senza stipendio per i troppi errori commessi e quindi al game over.

A proposito: la scelta di non voler raccontare una storia “epica” ma di concentrarsi su un cast alquanto variegato e sull’incrocio delle loro storie personali in un contesto distopico sembra vincente, fino a quando non ci si accorge che, in fondo, manca una vera e propria evoluzione dei personaggi, con l’esclusione della protagonista, che finisce così per tradire il ruolo da “osservatrice” e “arbitro” che la rendeva così peculiare.

In sintesi: indubbiamente leggere Va-11 Hall-a è un’esperienza unica nel suo genere, ma la sua natura “amatoriale” emerge impietosamente dal senso di incompletezza e ripetività che si avverte nelle sezioni conclusive, e l’originalità del modello di narrazione interattiva finisce per pagare i conti… all’oste (perdonatemi, ma dovevo riempire la mia quota di battutacce per ogni articolo). Detto ciò, ci si augura che il successo di questa Visual Novel stimoli lo sviluppo di nuovi esperimenti di contaminazione tra videogioco e romanzo, e la lettura resta più che consigliata agli amanti del cyberpunk, dell’umorismo cinico, dei corgi parlanti e delle ragazze con grandi seni e orecchie di gatto… cioè quasi tutti… o no?