“Scrivo questa storia, i miei ricordi e i suoi, la mia ricerca e la sua, per dare una parvenza di verità ai mesi trascorsi con lei. Ma non è detto che ci riesca.
Linda ha superato confini oltre i quali ho paura di seguirla. La strada è segnata sulla sua agenda con grafia irregolare, farcita di svolazzi e sbavature che d’improvviso virano in tratti netti, pesanti, tranciano rabbiosi la carta e rivelano, oltre l’apparente fragilità, una diabolica energia.
Conobbi Linda Brandi quando andavo al liceo e lei alla scuola elementare. Suo fratello Alex e io eravamo nella stessa classe, allo stesso banco. A volte, quando andavo a studiare a casa sua, Linda mi apriva la porta: rigida sulla soglia mi squadrava dal basso in alto, magra, i capelli lisci neri, gli occhi un po’ infossati. Una bambina taciturna con l’aria grave di un’adulta.”
Umberto Capasso, protagonista e voce narrante di “Amore Obliquo” romanzo noir di Maria Teresa Casella, mostra fin dall’inizio la sua debolezza: non è sicuro di arrivare alla soluzione dell’enigma. Ha paura, e con ragione, di scoprire quanto ancora è nascosto. Incredulo, stordito dal rapido susseguirsi dei tragici eventi che lo hanno portato in carcere con l’accusa di omicidio, ripercorre dolorosamente i mesi precedenti l’arresto a partire dalla sera in cui si reca a cena in casa di Alex Brandi, un compagno di liceo incontrato per caso a un decennio dai tempi della maturità.
In quell’occasione, Umberto rivede Linda, la sorella minore dell’amico.
Linda si propone col suo carico di sofferenza, con i troppi interrogativi irrisolti, ostentando una torbida sensualità. Per Umberto è amore a prima vista; vuole aiutare la ragazza a superare quel disagio che la tiene lontana da una vita piena, ma invece di cambiare l’esistenza di lei, cambia la propria, e non certo in meglio.
“Io l’assecondavo. Mi muovevo nella sua scia. Imparai da lei la dolce canzone del silenzio. I pensieri erano le note, le sue mutevoli espressioni gli strumenti che suonavano. Sulle sue labbra, nei suoi gesti, nei suoi ammiccamenti misteriosi, dovevo leggere la musica. Giocavo a indovinare le fantasie che le facevano brillare gli occhi e lei, senza mai svelarsi, mi dava l’illusione di aver vinto. Quel gioco mi fece perdere la testa. Giunsi al punto di attribuire a me stesso il potere che Linda aveva su di me, rendendo quel potere sempre più forte. Il sesso era frenetico, violento. Mi voleva nei momenti più impensati, eppure ancora non mi permetteva di amarla come desideravo. Mi voleva addosso, ma non dentro di sé. Questo mi faceva dannare. Sgattaiolavo fuori dalla sua stanza all’alba, frustrato e depresso, ma la sera ci tornavo e la sera dopo pure. Mi colpevolizzavo di non riuscire a renderla serena tanto da fidarsi. Mi sembrava di fallire nel tentativo di dimostrarle quanto l’amavo. E l’amavo al punto da considerare superflua qualsiasi cosa e chiunque non la riguardassero. Linda divenne il cardine del mio tempo. Trascuravo la famiglia, gli amici, il lavoro. Mi prendeva come nessuna prima di lei mi aveva preso. Più mi lasciavo coinvolgere dai suoi bisogni, dal bisogno che reputavo avesse di me, più diventava difficile starle lontano. E più stavo male.”
Alex Brandi caldeggia la relazione della sorella con il suo compagno del liceo. Non gli pare vero che qualcuno estraneo alla famiglia voglia prendersi cura di Linda, problematica com’è. Umberto quei problemi sembra non vederli. Per lui Linda è una ragazza solo molto insicura, ferita dal divorzio dei genitori, afflitta da una sensibilità esasperata… Insomma, non ha nulla che non va, proprio nulla che giustifichi la terapia psichiatrica alla quale il fratello e Anna, la madre, la costringono. Eppure, secondo la psichiatra, la dottoressa Maffei, Linda della terapia ha bisogno, e non è la sola a pensarla così. Anche Monica, la fidanzata di Alex, ha un’opinione molto precisa in merito: è convinta che la futura cognata sia un’abile manipolatrice, della quale diffidare. Umberto si rifiuta di credere a Monica. Crede piuttosto che Linda sia vittima delle circostanze, e che nessuno la capisca davvero tranne lui. Questa convinzione lo aiuta a sopportare i comportamenti sconcertanti di Linda, fino a quando una morte misteriosa lo scuote nel profondo. Sembrerebbe un incidente, ma quando a quella morte se ne aggiunge una seconda, e poi una terza, Umberto intuisce un’altra verità. Ma non ci sono prove a suffragare i suoi sospetti, solamente delle ipotesi, e le pagine fitte di ricordi nell’agenda di Linda, di cui Umberto si appropria con l’inganno.
“Questa agenda le appartiene, io gliel’ho rubata. C’è la sua vita tra le righe, e io gliel’ho rubata come lei ha fatto con la mia.”
La soluzione del mistero è tra le righe, ma non è facile decifrare quegli scritti deliranti. Le date sono cancellate, la carta è tranciata in alcuni punti, strappata, bruciacchiata, e la calligrafia sembra appartenere a persone diverse. Soprattutto, non c’è più tempo per tentare di capire: Umberto viene arrestato con l’accusa di omicidio.
Rinchiuso in prigione, l’uomo sfiora la pazzia.
“Queste maledette sbarre ora le sbriciolo. Le misuro con gli occhi. Le agguanto, le stringo, stringo più forte… Macché. Sono sempre lì. Rinsaldo la presa, mi pianto bene a terra con le gambe e do uno strattone potente che quasi mi lussa una spalla. Prendo a capocciate l’inferriata. Il colpo mi rintrona, ma posso fare di meglio. Vado indietro con la testa per darmi lo slancio e BOM! Mi schianto di nuovo. Stavolta barcollo. La fronte fa un male cane; la sento gonfiarsi mentre il dolore s’irradia alle orecchie e alla nuca. Questa sofferenza però la reggo bene. L’altra, quella dell’anima, non la sopporto più.”
In cella, in attesa del processo, non fa che leggere e rileggere l’agenda di Linda in cerca della chiave dell’enigma, fino a un ultimo drammatico confronto e allo sconvolgente epilogo.
Dalla recensione di Sergio Altieri (Writers Magazine Italia del 27/12/2011): “In un inatteso, temerario scavalcamento di tutti i parametri del romance, l’Amore Obliquo innesca fino dalla prima pagina una time bomb ad alta tensione di stampo prettamente hitchcockiano. Perché oltre la crisalide opaca di Linda Brandi c’è una minaccia occulta di cui Maria Teresa Casella traccia una mappa di realismo agghiacciante come poche volte abbiamo visto nel thriller italiano degli ultimi anni. Seguendo la discesa agli inferi dei suoi due amanti dannati, Maria Teresa riesce a sbalzare un quadro di completa distorsione della coscienza, di totale perversione dell’anima.”
Leggi un estratto dal libro:
Sfoglio la sua agenda di continuo.
Il fruscio della carta in sincronia col mio respiro pesante e roco. Fumo troppo. Fumo e leggo. Nulla mi distrae. Non il silenzio nel quale di notte mi sembra di annegare, non le urla o le risate degli altri carcerati. Nulla può distogliermi, e vorrei che succedesse.
Nella mia mente, una voce sovrasta qualsiasi suono: la voce di Linda che sale dalle pagine.
Questa agenda le appartiene, io gliel’ho rubata. C’è la sua vita tra le righe, e io gliel’ho rubata come lei ha fatto con la mia. Quasi non si distinguono le date, cancellate da scarabocchi neri. Non le importava, il tempo. I suoi giorni erano tutti uguali, intrisi di velenosa solitudine.
Ho impiegato mesi a ricostruire la cronologia degli eventi, facendo scorrere i ricordi lungo il tracciato incerto delle sue riflessioni.
Se avessi letto prima il suo diario, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Di certo non sarei rinchiuso in carcere, immerso in questo tanfo di animali in gabbia, oppresso da pensieri sordidi che non mi appartenevano prima di conoscerla, quando ero semplicemente Umberto Capasso, giornalista per metà scrittore, con le mie banalità, le mie placide certezze.
Ancora una volta mi chiedo se, avendo letto il suo diario da uomo libero, avrei trovato la forza di impedire quanto è successo. La risposta è no. Non avrei avuto quella forza, non avrei trovato quel coraggio. Ero lontanissimo dall’immaginare cosa Linda stesse architettando perché mi illudevo di conoscerla, lei così sfuggente, maestra nel confondermi.
Scrivo questa storia, i miei ricordi e i suoi, la mia ricerca e la sua, per dare una parvenza di verità ai mesi trascorsi con lei. Ma non è detto che ci riesca.
Linda ha superato confini oltre i quali ho paura di seguirla.
La strada è segnata sull’agenda con grafia irregolare, farcita di svolazzi e sbavature che d’improvviso virano in tratti netti, pesanti, tranciano rabbiosi la carta e rivelano, oltre l’apparente fragilità, una diabolica energia.
Conobbi Linda Brandi quando ero al liceo e lei ancora alla scuola elementare.
Suo fratello Alex e io eravamo nella stessa classe, allo stesso banco. A volte, quando andavo a studiare a casa sua, Linda mi apriva la porta: rigida sulla soglia mi squadrava dal basso in alto, magra, i capelli lisci neri, gli occhi un po’ infossati. Una bambina taciturna con l’aria grave di un’adulta.
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