Ricordate il diario scolastico, vero? Quello che porta con sé il bilancio di un anno della nostra vita, costellato di appunti e ricordi. Ecco, “Un anno bellissimo” è in un certo senso simile a un diario; copre l’arco di un anno, anche se non è diviso in giorni, ma in mesi. Inoltre, pur non essendo in prima persona, segue le vicende di un bambino, che però sembra avere una coscienza di sé e una capacità d’introspezione nei propri pensieri estranea a molti adulti. Viene da chiedersi: ma non è che è così per tutti i bambini, ma da adulti ce ne dimentichiamo?

In ogni caso, la storia racconta un anno scolastico in cui il resoconto di semplici gesti quotidiani si collega a considerazioni profonde: mentre leggiamo, scopriamo presto come il bambino abbia anche una rara abilità di comprendere le altre persone, o almeno quelle che suscitano interesse in lui, come la bambina trasparente, una sua compagna di classe che, come lui, “poteva leggere la verità negli occhi delle persone”. Ma anche gli oggetti, che nella sua visione sembrano assumere un’identità che agli adulti è ignota, come la penna stilografica presuntuosa, o la matita sfuggente.

Come è anche sfuggente, in un certo senso, l’ambientazione: un paese di provincia del nord Italia viene descritto in modo affascinante nel corso delle trasformazioni imposte dalle stagioni; il fatto che il paese resta, come il bambino e tutti gli altri personaggi, senza nome, può essere inteso come una scelta per dare un tono “fiabesco” alla narrazione, o per suggerire una dimensione surreale e onirica. Anche la contestualizzazione sembra volutamente vaga, seppure alcuni indizi (come il disco “Mellon Collie and the Infinite Sadness” in camera della bambina… ottimi gusti!) mi facciano pensare agli anni ’90.

Procedendo nella lettura, è evidentemente che la tensione narrativa, che all’inizio sembra volutamente bassa, in realtà è alimentata dal succedersi di piccoli episodi raccontati nel corso dei mesi che passano; tramite essi ricostruiamo gradualmente la visione del mondo del bambino: una visione che riporta la complessità del reale ai concetti tipici del mondo “ludico” dell’infanzia: ne è un esempio quando la famiglia e la scuola sono paragonati a dei “fortini”, cioè sistemi chiusi che proteggono dalle influenze esterne, a volte anche troppo. E così le varie tappe che costellano l’anno scolastico diventano occasioni per interpretare il mondo, ad esempio il Natale è un’occasione per riflettere sulla religione e sul modo in cui è veicolata dalla società.

Quando la natura “episodica” del romanzo sembra implicarne anche la mancanza di connessione tra le parti,  intorno a metà della storia che la dimensione narrativa si fa più intensa, con l’evolversi delle dinamiche tra il bambino protagonista e la bambina trasparente, catalizzando l’attenzione del lettore in quella che, come il bambino stesso è consapevole (e non è un caso se l’aggettivo per definire gli adulti è inconsapevoli), è qualcosa di diverso dall’amore, almeno dalla prospettiva di un adulto, e ha la purezza e l’intensità che solo in una profonda amicizia tra bambini si può vivere. Questo filo conduttore, l’intesa tra due anime affini e la sinergia della loro particolare visione del mondo, continua fino alla fine del romanzo, a beneficio del ritmo di lettura.

La prospettiva del bambino è generalmente affascinante, in alcuni casi la sua visione sembra illuminante, in altre forse fin troppo disincantata e colta per un bambino. O almeno: sicuramente i bambini riescono a vedere oltre le convenzioni sociali che offuscano gli adulti, ma il tono di alcuni passaggi mi è sembrato fin troppo cinico, anche se ne capisco l’intento.

Molto particolare è inoltre lo stile, che unisce l’attenzione per il dettaglio, ad esempio con una scelta azzeccata degli aggettivi, a una semplicità di fondo che si adatta alla natura della storia e ne contribuisce alla sua scorrevolezza. Ne deriva uno stile ricco senza risultare barocco, perfetto per raccontare una storia profonda ma non artificiosamente complicata come quella di “Un anno bellissimo”, il cui protagonista ha doti introspettive eccezionali, ma è pur sempre un bambino… e intendo in senso positivo!

 

Fare un bilancio di “Un anno bellissimo” di Andrea U. B. non mi risulta facile: non perché sia stata una lettura sgradevole o confusa, ma perché non è sicuramente di facile definizione. Anche se il protagonista è un bambino, non segue gli schemi tipici del romanzo di formazione. Sicuramente entrano in gioco riflessioni sulla società, e sulla stessa natura umana, decisamente profonde e spesso originali; non credo si possa però considerarlo un romanzo filosofico, o psicologico, o sociologico. Inoltre, nonostante il mio background semiotico mi porti a indagare sulla genesi dei testi (e, modestia a parte, spesso anche ad azzeccarci), non mi è chiaro se l’autore abbia costruito un romanzo intorno a una serie di considerazioni non necessariamente connesse tra di loro, o se la sua natura “eterogenea” faccia parte di una visione precisa. Ma in fondo, non credo che sia importante saperlo.

Su una cosa ho pochi dubbi: che si tratti di un libro che non va etichettato, banalizzato in un genere di riferimento: è quello che farebbero gli adulti in fondo, mentre questa è la storia che celebra la profondità della visione solo apparentemente ingenua di un bambino, in grado di decostruire molti falsi miti della vita da adulti, specie se in un paese di provincia italiano. E come tale va letta, abbandonando preconcetti e pregiudizi!

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