“L’amore è un sentimento obliquo. Cambia direzione. Si contorce. Ripiega da una parte all’altra. Se svilito, si affloscia. Lasciato in un angolo è molle, vulnerabile. Ma palpitante. L’amore vive così. Sopravvive così. Tradito, incattivito, smette di soffrire e si trasforma. Spolpato, non è più amore, né molle né obliquo. È l’esatto contrario. Un osso duro.”

Contro questa inattaccabile durezza, si schianta la placida esistenza di Umberto Capasso, giornalista trentenne scapolo e indolente. A scandire i ritmi delle sue giornate non sono più gli orari degli spettacoli teatrali che deve recensire, né le riunioni in redazione, gli aperitivi coi colleghi o le cene con fidanzate che inesorabilmente diventano ex.

cover

Due anni sono trascorsi da quando i fratelli Alex e Linda Brandi sono tornati nella sua vita, ed ora, per Umberto, tutto è cambiato.

Ora il ritmo del suo tempo è quello forsennato del cuore che gli martella in petto, quello sordo e incessante della disperazione vissuta in carcere.

Il romanzo Amore Obliquo, noir di Maria Teresa Casella, si apre con l’immagine di Umberto Capasso in cella, stremato dalla reclusione che dura ormai da un anno, aggrappato, tuttavia, a un filo di speranza.

La speranza è contenuta in un’agenda, sua unica compagna di prigionia. Si tratta del diario di Linda Brandi. In quelle pagine, Umberto ne è sicuro, si nasconde la soluzione dell’enigma che lo portato in carcere con l’accusa di omicidio.

Nella mia mente, una voce sovrasta qualsiasi suono: la voce di Linda che sale dalle pagine. Questa agenda le appartiene, io gliel’ho rubata. C’è la sua vita tra le righe, e io gliel’ho rubata come lei ha fatto con la mia. (…) Se avessi letto prima il suo diario, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Di certo non sarei rinchiuso in carcere, immerso in questo tanfo di animali in gabbia, oppresso da pensieri sordidi che non mi appartenevano prima di conoscerla, quando ero semplicemente Umberto Capasso, giornalista per metà scrittore, con le mie banalità, le mie placide certezze. Ancora una volta mi chiedo se, avendo letto il suo diario da uomo libero, avrei trovato la forza di impedire quanto è successo. La risposta è no. Non avrei avuto quella forza, non avrei trovato quel coraggio. Ero lontanissimo dall’immaginare cosa Linda stesse architettando perché mi illudevo di conoscerla, lei così sfuggente, maestra nel confondermi.”

Umberto racconta la sua storia in prima persona ripercorrendo i fatti dal principio, in cerca di quella verità che ancora gli sfugge.

Tutto ha inizio col fortuito incontro tra Umberto e Alex. I due si urtano su un marciapiede affollato, si guardano in cagnesco, poi si riconoscono, ridono increduli di ritrovarsi dopo tanti anni. Quanti anni, dieci? Dodici? Troppi. Non vogliono perdersi di nuovo. Alex invita il vecchio amico a cena pochi giorni dopo.

C’è anche Linda, quella sera. La giovane donna è indisponente, tutt’altro che socievole, ma con Umberto si trova a proprio agio, sente che può fidarsi. Per Umberto è amore al primo sguardo.

Tra i due nasce una relazione, che per un po’ funziona. I ruoli sono ben distinti: lei fragile, sfuggente e sensuale, lui che la conforta, la spalleggia, la sostiene. Per amore, lui sopporta tutto. O quasi. Sopporta fino a quando una morte misteriosa spezza gli equilibri già precari della coppia. Spaventato, Umberto prende le distanze, prende tempo. In quel mare di inquietudine, teme di perdere se stesso.

“Mi fermai a pensare proprio lì, in quella confusione. Spintonato nella mischia. Frastornato dalla musica, dalle luci di una notte piena di vita. Da gente che voleva divertirsi, e ci riusciva. Io non ero come loro, non più. Non ridevo come loro, con quel gusto. Non ci riuscivo da quando Linda aveva attraversato la mia strada. Da allora mi era successo di tutto. Mi ero trovato, mi trovavo, invischiato in vicende allucinanti, esperienze che mi avevano cambiato. Ero diventato diffidente, bugiardo, perfino ladro. Mi aspettavo il peggio dalle situazioni. Vedevo misteri e sotterfugi ovunque. Avevo sempre respinto ogni forma di violenza, ora ragionavo di morti ammazzati. (…) Umberto, l’uomo che credevo di essere, non c’era più. Il coglione che voleva scrivere il Romanzo della sua vita tranquilla, non lo trovavo più. Nell’esultanza di una festa di piazza, passivo e solo, mi resi conto che preferivo l’idealista sprovveduto che ero stato, al cane rabbioso che ero diventato.”

Mentre cerca una via di fuga, Umberto entra in conflitto con Alex, e a complicare le cose interviene anche la fidanzata di quest’ultimo, Monica. A lei, Linda non è mai piaciuta; è convinta che se esiste qualcuno che possa mettere a rischio il suo rapporto con Alex, quella è sua sorella.

Il conflitto si allarga, sfida le menti, scava le coscienze e culmina in una seconda morte, ancora più strana della prima, quasi inverosimile.

Sconvolto dagli eventi, Umberto si rivolge a Francesca Maffei, la psichiatra che ha in cura Linda. Dall’incontro tra Umberto e la dottoressa Maffei, i fatti precipitano svelando una precisa strategia d’azione.

Umberto, suo malgrado primo attore di quella strategia, finisce in carcere con l’accusa di omicidio, ma ancora non demorde, e aspetta il fatidico confronto con l’artefice della sua rovina. Nello sconcertante epilogo avverrà la resa dei conti.

“Amore obliquo” di Maria Teresa Casella è un romanzo estremo, costruito sul tortuoso percorso di una mente folle, geniale, inarrestabile, a suo modo affascinante.

 

Leggi il secondo Estratto Gratuito del libro:

Dopo aver lasciato a casa Monica, ripresi la strada guidando adagio, distratto. Non mi sentivo affatto bene. Era quasi mezzanotte, ma non avevo sonno. O meglio, non avevo voglia di tornare a casa. Pensai di andare a bere una birra in un pub, poi, su corso Francia, invece di puntare il centro storico deviai verso la periferia.

Mi lasciai alle spalle il traffico.

La notte era limpida. C’era la luna piena e quasi non sentivo il freddo, con il riscaldamento al massimo. La radio mi faceva compagnia.

Compresi dove l’inconscio mi stesse guidando quando imboccai la via Cassia, allontanandomi dalla città.

Conoscevo il luogo dell’incidente perché Alex me lo aveva descritto nei dettagli: era in prossimità di un incrocio vicino a una trattoria abbastanza nota. Ci passai davanti una prima volta senza fermarmi. Tirai dritto per una decina di chilometri e mi ritrovai nel paese di Campagnano. Feci il giro della piazza principale e tornai indietro, verso Roma.

Lo stesso percorso che Anna Brandi aveva fatto la notte dell’incidente.

In lontananza, sulla sommità di un pendio, vidi la trattoria illuminata; un doppio tornante la distanziava dal bivio che conduceva sulla strada principale.

Rallentai. Spensi la radio e il silenzio della campagna di notte mi avvolse.

Le luci erano deboli in quel tratto, ma le curve si vedevano distintamente.

Rallentai ancora.

Un mazzo di fiori sul ciglio della strada che virava bruscamente mi fece supporre che ero giunto a destinazione. Sull’asfalto c’erano tracce di pneumatici.

Fermai la macchina. Scesi.

Oltre il guardrail divelto, il terreno degradava fino a un boschetto di castagni. Malgrado l’oscurità, riuscii a vedere i resti delle piante bruciate nell’incendio. Non era proprio una scarpata.

Anna avrebbe potuto sterzare e mettersi di traverso, ma forse, perdendo il controllo della macchina, era stata colta dal panico.

Mi domandai cosa le fosse passato per la testa al momento dell’impatto. Se si fosse resa conto che erano gli ultimi istanti che le restavano da vivere.

Osservai il mazzo di fiori posato a terra. Supposi che lo avesse portato Marcella Selleri, l’amica di Campagnano.

Mi guardai intorno. Immaginai la Volvo che imboccava la curva e poi, senza motivo, sbandava, schizzava per aria, rimbalzava sul fianco e andava giù, capovolgendosi, prendendo fuoco. Senza motivo.

Si può morire così, senza un motivo?

Il cielo scintillava di stelle. Chissà com’era il cielo quella notte, se era luminoso o gravido di pioggia. Se almeno avesse piovuto, se l’asfalto fosse stato sdrucciolevole… sarebbe stato quello il motivo. Ma non pioveva da giorni.

Restava il colpo di sonno.

Non potei fare a meno di ricordarla con la sciarpa rossa al collo, quella notte in cui rientrò a casa tutta ingioiellata. Era euforica, lucidissima, all’una del mattino.

La sera in cui morì, Anna aveva lasciato la casa di Marcella Selleri intorno alle undici, un’ora ragionevole.

L’ipotesi del colpo di sonno mi sembrò inverosimile.

Allora perché?

La rabbia mi inumidì gli occhi. Ancora non avevo pianto per Anna. Lo feci in quel luogo, dove ero andato per sapere se avesse qualcosa da dirmi. Perché sentivo che c’era qualcosa da sapere. Qualcosa che non quadrava, malgrado le apparenze.

 

“Amore Obliquo” è su Amazon a 2.49€: scopri anche