Se l’editoria di oggi si sta sempre più frammentando in generi e sottogeneri specifici, in nicchie di pubblico e di mercato a volte un po’ forzate, il progetto narrativo firmato da voiceoff si distingue quasi provocatoriamente: “Proepiche” è infatti costituito da dieci racconti brevi e sette poesie, senza un filo conduttore apparente.

proepiche voiceoffIl perché di questa scelta apparentemente azzardata è spiegato dall’autore nella premessa: si scrive “perché qualcosa non torna”, alla base dell’impulso creativo deve esserci un “brulicare, spesso contraddittorio, di tensioni, forze, idee, convinzioni, pregiudizi”. E nell’epoca di oggi, la forma di tutte queste tensioni contrapposte non può che condensarsi in queste “pillole letterarie”, che pur non nascondendo un’autoreferenzialità di fondo, si pongono l’obiettivo di voler descrivere un’epoca, da qui il titolo piuttosto ambizioso. Ebbene, ci riusciranno?

Le “pillole” che compongo il testo si rivelano eterogenee non solo a livello formale, ma anche per quanto riguarda il contenuto: dagli echi futuristi di certe poesie, si passa senza soluzione di continuità a fiabe, spunti fantascientifici, descrizioni di città che richiamano Calvino, discussioni processuali, riflessioni intimistiche. Per non parlare dello stile: anche in questo caso l’autore alterna registri differenti e in alcuni casi contrastanti nelle varie pillole, dimostrando padronanza di registri linguistici disparati. Il gusto per la sperimentazione non si ferma agli aspetti superficiali: una delle pillole consiste in una riflessione sull’atto del rimbalzare, poi assistiamo a un’accesa discussione tra Tex, Sid Vicious e D’Artagnan, in un’altra ancora sono le pedine degli scacchi a raccontarci una storia… nel corso di una partita.

Le “Proepiche” di voiceoff non sono una lettura lunga o particolarmente ostica, eppure non mancano di stupirci. Confesso che, viste le premesse, avevo il timore di incappare in un’ accozzaglia di spunti e riflessioni che avrebbe voluto risultare arguta e invece si sarebbe rivelata superficiale e noiosa. Bene, sulla primissima parte le mie paure si sono rivelate fondate: si tratta in effetti di un’accozzaglia, che però non è né superficiale e noiosa.

Nel suo percorso di osservazione, l’autore indaga, dichiaratamente, su fenomeni tra i più diversi, senza voler mai imporre dei collegamenti rigidi. Eppure, proprio lasciando libero spazio al fluire dei pensieri, le suggestioni si moltiplicano e si stimola continuamente il processo interpretativo del lettore. Da studioso di semiotica, viene da pensare alla struttura triadica del rizoma di Deleuze e Guattari, che rappresenta la vitalità e la ricchezza dei linguaggi e del nostro stesso modo di pensare.

In chiusura, se non amate gli imprevisti e preferite le trame ben strutturate alle sperimentazioni, “Proepiche” potrebbe non fare al caso vostro. Se invece siete, come me, tra quelli che quando visitano una nuova città preferiscono fermarsi spesso ad osservare un dettaglio e perdersi tra i vicoli che procedere di passo filato da un monumento all’altro, l’esperienza a tratti disorientante di queste “pillole letterarie” potrebbe essere quello che cercavate, perché è proprio il disordine il filo conduttore, e non solo del libro in questione, ma anche della nostra epoca. Del resto, “Quando neanche ci si aspetta di trovarsi faccia a faccia con una città, ecco sentire nell’animo un fascino speciale che permette di intuirne, la presenza”.

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