Una famiglia “tranquilla”, consolidata: madre, padre, figlia preadolescente. Poi, la scelta di “allargare” il nucleo famigliare attraverso l’affido, che stravolge gli equilibri consolidati. Tutto ciò, dal punto di vista del nucleo di questo nuovo equilibrio instabile la mamma, il cui ruolo cambia completamente rispetto alle figlie affidatarie, lei è una “mamma in più”; non è chiamata “mamma”, pur incarnando questo ruolo a tutti gli effetti nella vita quotidiana. In sintesi, l’autrice Karin Falconi, che l’affido lo conosce bene in quanto presidente di un’associazione molto attiva nel settore, M’aMa-Dalla Parte dei Bambini, con Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma” ha preso spunto da storie vere per raccontare, in forma romanzata, quale siano le reali complessità vissute tutti i giorni da una famiglia affidataria.

Si tratta di un romanzo raccontato in prima persona, che già dall’incipit (il caos della mattina del primo giorno di scuola) non nasconde i toni spesso ironici, molto efficaci per stimolare il coinvolgimento – anche emotivo – del lettore. La caratterizzazione dei personaggi è ben accentuata, è facile provare empatia per loro, e immedesimarsi nei loro piccoli drammi quotidiani.

Il libro di Karin Falconi, romanzato ma ispirato a storie vere, è composto da brevi capitoletti, che alternano resoconti divertenti, ma comunque significativi, sviluppati soprattutto attraverso il dialogo tra i membri della famiglia, a riflessioni più introspettive da parte della voce narrante, la madre (punto di vista che va a coincidere, almeno idealmente, con il “lettore modello” del libro).

Ci sono vari fili conduttori che collegano questi “spezzoni”, in particolare uno è la forte differenza tra la teoria e pratica nell’affido:

“… nell’affido non ci sono risposte, né da dare né da ricevere, si vive giorno per giorno, con il solo intento di arrivare a quello successivo nel miglior modo possibile.”

Originale l’idea di usare due hashtag per descrivere ogni paragrafo, con una sintesi che è necessaria, perché il testo condensa davvero tanta carne al fuoco, parlando dei vari aspetti dell’affido, rivolgendosi sia a chi non conosce nemmeno la distinzione con l’adozione (io, prima di leggere) sia a chi ha già fatto i suoi compiti sul tema, ma desidera qualche spunto più approfondito.

Leggendo Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma pervade un senso di “autenticità”, di realismo nelle scelte lessicali e nelle scene descritte, che rende più credibili i messaggi che questo libro vuole fare passare, tra cui: l’affido può essere estremamente impegnativo, ma è un’esperienza unica.

“«Ma che ne sa la gente di cosa è veramente una famiglia?»”

Molto interessanti poi i confronti diretti tra genitori e figli (biologici e in affido) riguardanti l’affido, come anche gli scambi diretti tra gli stessi figli sul tema. Li ho trovati una testimonianza preziosa, che permette di capire meglio i vari punti di vista attraverso la forma dialogica con cui sono sviluppati.

Non mancano anche i confronti privati tra i genitori, anche qui una testimonianza di come la vita di coppia venga sconvolta dall’allargamento improvviso della famiglia, e di tutto ciò che ne consegue. Nonostante la brevità del romanzo, e il fatto che venga dato il giusto spazio a tutti i “ruoli” di una famiglia che si apre all’affido, viene dato particolare approfondimento alla figura della mamma, il cui ruolo è trasformato e si trova nel difficile compito di rivedere il modo di rapportarsi agli altri, e anche a cambiare la visione di se stessa. Non viene chiamata mamma, eppure questo è il suo ruolo e, in fondo, come tale viene tacitamente riconosciuta da tutti i membri della famiglia. Non è certo un tema banale, e l’autrice lo presenta con grande sensibilità.

Il fatto che la parte “romanzata” del libro termini in maniera un po’ brusca può sembrare spiazzante, ma in fondo restituisce verosimiglianza al tutto; nell’idea che me ne sono fatto, l’affido non segue modalità narrative tradizionali, ma la sua evoluzione è imprevedibile, e talvolta spiazzante.

Il testo è seguito da una parte “teorica” a cura dell’associazione M’aMa-Dalla Parte dei Bambini: un pratico vademecum in cui sono spiegati nel dettaglio aspetti anche meno noti che interesseranno chi ha letto il libro fino a questo punto, cioè genitori affidatari (aspiranti o già in “corso d’opera”), ma anche chi è solo interessato a saperne di più, che sia per mera curiosità o per valutare evenienze future.

In questa sezione, per forza di cose meno “leggera” della parte romanzata, ho trovato interessante che gli aspetti più “tecnici” siano accompagnati da commenti diretti da parte dell’associazione, suggerendo così chiavi di lettura senza però volerle oggettivizzare, ma limitandosi a dare spunti.

Personalmente, ho trovato assai preziosa l’esperienza e la professionalità di chi non si limita a predicare la teoria, ma conosce molto bene la pratica: suggerimenti concreti, in modo che gli aspiranti genitori affidatari abbiano una visione preliminare ma già calata nella realtà di quella forma specifica di accoglienza che è stata introdotta nella parte romanzata, senza indorare la pillola, ma attenendosi al vissuto.

Andando a valutare il testo nella sua interezza, il racconto che compone buona parte del libro e il ricco vademecum finale sono nettamente distinti per struttura e stile espositivo, ma si possono in ogni caso considerare complementari: la lettura di entrambi è consigliata a tutte le aspiranti mamme (ma non solo) affidatarie, e in generale a chi vuole fare una “full immersion” breve ma significativa della realtà dell’affido e in particolare nella sua applicazione concreta, in Italia e oggi. Il libro è reperibile a partire dal 27 ottobre 2023 su varie librerie online, tra cui Amazon al costo di 16€.
Non nuoce segnalare che l’autrice devolverà l’intero ricavato delle vendite all’associazione M’ama-Dalla Parte dei Bambini.