Come ho già avuto modo di dire in articoli analoghi a questo nel 2018 (“Postare meno ma postare meglio”) e nel 2019 (“Ripensare alla nostra presenza online”), ogni anno che passa diventa sempre più evidente: per promuovere libri sui social network, come del resto per promuovere qualunque altra cosa, non basta più avere una paginetta e spammare a casaccio i link del vostro “capolavoro”. A maggior ragione, non si può più riposare sugli allori sul successo passato, perché più il tempo passa e più aumenta la concorrenza, e in particolare cambiano i famigerati algoritmi, che decidono se a conquistarsi lo spazio sul feed di Pincopallo sarà un nostro post o quello di un nostro competitor; oltretutto, è sempre più evidente che non si può limitarci a prendere ispirazione un po’ di qui e un po’ di là sperando di sfangarla. Certo, se ci accontentiamo della mediocrità in termini di contenuto e risultati, allora può ancora andarci bene… ma la “dura legge dei social” è questa: in una nicchia di interesse (com’è il caso dell’editoria in Italia, e in particolare di quella che non riguarda i “grandi nomi”), solo una ristretta cerchia di persone o aziende riesce a dominare l’attenzione del pubblico e quindi a “vincere” la gara… e chi non vince, beh, si sa, è un perdente. Anche quest’anno quindi il mio consiglio sarà apparentemente di una banalità sconcertante, eppure, a giudicare da quello che vedo sui social ogni giorno,  così banale forse non è: siate originali, siatelo in modo persistente, e mantenete una qualità media magari non eccezionale, ma almeno buona.

La “molla” che ha fatto scattare questa considerazione è, come spesso accade su internet, l’indignazione, in questo caso per un pessimo articolo di “Il Giornale” che, francamente, non ritengo opportuno linkarvi perché non vale proprio la pena leggerlo, ma che ha avuto, anche se credo solo involontariamente, il merito di portare alla luce una scomoda verità: negli ultimi anni è emerso un nuovo modo di presentare i libri, in primis su Instagram ma di riflesso anche sugli altri social, che punta tutto sulla “carineria”. E quindi vai di tazzine, di decorazioni, di croissant e di colori pastello. Certo, è un metodo che “funziona”, ma solo per chi ha saputo cavalcare l’onda degli “Instabookblogger” nel momento giusto, e oggi ne trae, giustamente, i frutti. Mentre invece oggi con i cappuccini e i biscottini di fianco ai libri magari nel breve termine riusciamo a strappare qualche cuoricino (sempre di “ini” si parla, insomma) in più, ma ormai è roba tanto abusata da farci inevitabilmente sembrare “uno dei tanti”. E, evidentemente, per vincere il gioco dei social, essere “uno dei tanti” non basta; sì, dalle mie parti si dice “Putòst che gnenta, l’è mei putòst”, e se ai tempi di Instagram il libro si deve accompagnare a oggetti carini per non uscire dal campo di gioco degli influencer, pazienza. Ma possibile che, nel ricchissimo panorama editoriale di oggi, incluso quello vivace anche se a volte un po’ ingenuo di autopubblicati e microeditori, non ci siano altri modi per parlare di libri sui social con successo?

Oh, per carità, tutto molto bello… ma a un certo punto anche basta, dai

E quindi, qual è la soluzione? A parte la buona qualità, che dovrebbe essere un’ovvietà (ma lo è davvero?), dicevo di “originalità” e “persistenza”. Ciò potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è se siete bravi e, scusate se mi ripeto, per ottenere buoni risultati in termine di promozione letteraria nel 2020 dovete o essere bravi, o affidarvi a qualcuno di bravo, o avere molti soldi da investire nelle ads, o un mix di queste tre; non vedo altre strade. D’altro canto, non è vero che bisogna essere dei fenomeni; a volte basta trovare un ambito di nicchia in cui ce la si cava con buoni risultati, e insistere, insistere, insistere. Ad esempio Nicolò Targhetta, noto per la pagina FB “Non è successo niente“, adotta uno stile di scrittura surreale che personalmente non mi fa impazzire, ma ha due grandi meriti: mantenere un’identità precisa senza risultare forzato, e pubblicare qualcosa TUTTI i giorni. Laura Mango di “I dolori della giovane libraia”, da tempo tra i personaggi più noti della “blogosfera letteraria italiana”, è diventata celebre pubblicando in formato di vignetta le scene più assurde che le capitavano con i clienti della libreria dove lavorava; magari non è un fenomeno come illustratrice, ma è l’unica a fare quello che fa, e lo fa(ceva) con consistenza, humour e evidente passione: a volte basta quello per fare la differenza.

Questi sono i primi casi che mi vengono in mente, ma se queste tre caratteristiche, (cioè un’identità coerente e distinguibile, un’alta frequenza di pubblicazione e una qualità media almeno buona dei contenuti) sono una costante di praticamente tutti i casi di successo che sono “genuinamente” nati sui social, ci sarà pure un motivo, no? Anche perché il fatto stesso che i successi nell’editoria italiana sono sì rari ma non poi così rarissimi, dimostra che le chance ci sono. Sta a voi prendervi lo sbattimento di coglierle.

Marchetta finale: mi occupo (tra le altre cose) di servizi diretti e indiretti di promozione editoriale; se siete scrittori o comunque gravitate intorno al microverso dell’editoria italiana e volete rilanciare la vostra presenza sui social network, posso aiutarvi con indicazioni personalizzate e consigli mirati. Per saperne di più, scrivimi una mail a marco @ natividigitaliedizioni.it (senza spazi eh… lo scrivo così per evitare che i bot mi sommergano di spam) spiegando di cosa hai bisogno, oppure dà un’occhiata ai nostri servizi editoriali!