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1. NIKOLAI RASPUTIN È MORTO
Un piccolo cartello dai contorni dorati stava esposto nella hall dello Houston Plaza Hotel. Informava la gentile clientela che per l’intera serata, e almeno fino all’alba, la Sala Conferenze Armstrong sarebbe stata occupata per una cerimonia privata.
Non veniva specificata la natura dell’evento in programma, e del resto la riunione dei più importanti Principi Oscuri degli Stati Uniti era un accadimento talmente raro che nessuno aveva mai trovato la necessità d’inventarsi qualche nome altisonante.
Nel mezzo dell’elegante privé era stato dunque collocato un lungo tavolo rettangolare, occupato da una mezza dozzina di presenze: uomini e donne dall’incarnato pallido, i cui occhi dall’innaturale iridescenza rivelavano la maledizione tipica della condizione che li accomunava. Vampiri.
Tutti, per l’occasione, indossavano sobri completi scuri, o abiti formali, e si dissetavano con nonchalance da calici di cristallo colmi di sangue tiepido.
«Nikolai Rasputin è morto.» dichiarò il signor Richard Jones, Principe della città di Detroit.
La reazione dei presenti a quella notizia si manifestò in maniera molto diversa da soggetto a soggetto. L’espressione sui visi, in particolare, spaziò dal dubbio alla soddisfazione, dal buonumore all’aperta scontrosità, fino all’enigmatico sogghigno delle creature più infide.
Jones, che dimostrava circa sessant’anni, e incarnava l’immagine precisa di un navigato, spietato dirigente d’azienda, studiò meticolosamente gli effetti prodotti dal suo exploit. Poi tornò a sistemarsi a capotavola, posizione che gli spettava in quanto convocatore dell’assemblea: «Me ne sono occupato io.» rivelò: «Doveva essere fatto.»
«Davvero?» insinuò Sebastian Shaw, Principe di Los Angeles: «Perdonerai il mio scetticismo, Dick, ma se avessi avuto un nichelino per ogni presunta morte del Principe Rasputin, a quest’ora potrei permettermi una campagna presidenziale degna dei Kennedy.» lucidò la patriottica spilla Stars & Stripes sul bavero della propria giacca: «Senza contare che, se fosse vero, ed è un grosso “se”, il Principe Parrish non la prenderebbe affatto bene.»
«Ti caverà il cuore dal petto, Jones, e lo darà in pasto alla sua progenie.» si disse d’accordo David Crane, Principe di New Orleans, col suo rinomato stoicismo.
«In realtà, signor Jones, ciò che il mio diplomatico socio, l’eloquente signor Crane, tenta disperatamente di farle notare, è che il Principe Parrish, personalmente coinvolto nella faida contro Rasputin, risulta sospettosamente assente a questo tavolo. E la data qual cosa, scuserà la mia inopportuna perspicacia, solleva non pochi dubbi sulla legittimità della sua… accattivante presa di posizione.» intervenne Elias Cranston, anche lui Principe di New Orleans, per molti la mente dietro il braccio.
«William Parrish può andare al diavolo!» sbraitò il Principe di Detroit: «Dov’era William Parrish mentre Nikolai Rasputin comprometteva con le sue azioni scellerate il nostro intero stile di vita, esibendoci al mondo diurno? Dov’era William Parrish quando Nikolai Rasputin massacrava impunemente cellule templari nelle nostre città, esponendo le nostre corti alle rappresaglie dei cacciatori? E dov’era, signori miei, dov’era William Parrish mentre Nikolai Rasputin giocava con forze al di là della sua comprensione, a braccetto con la Loggia di Brightmore?» scosse il capo: «No, Fratelli, questa storia era durata fin troppo, e nessuno, men che meno Parrish, può arrogarsi il diritto di venirci a dire cosa fare e quando farlo.»
«Parole coraggiose, hermano.» replicò Sonny Ribera, Principe di Miami: «Peccato che Parrish non sia qui per sentirle.»
«E peccato anche, Principe Jones, che suonino terribilmente ipocrite pronunciate dalla sua lingua.» aggiunse Philippa Sykes, Principe di San Francisco: «Lei ha somministrato la morte ultima a Rasputin per pura vendetta, per ciò che nel 1986 fece ai suoi infanti. Non tenti di negarlo. Il suo risentimento ci è ben noto, e il filantropismo non è nel suo stile.»
«Che importanza ha il motivo?» rincarò Jones: «È il risultato che conta, e lei, Principe Sykes, lei più di tutti dovrebbe ringraziarmi. Sbaglio o Rasputin aveva liberato un nosferatu nei suoi domini? Un nosferatu!»
«Non ho bisogno che il Principe di Detroit mi rinfreschi la memoria su ciò che è o non è accaduto nei miei domini.» ringhiò sommessamente Philippa, le cui iridi giallastre, in contrapposizione alla carnagione scura, la facevano somigliare a una tigre del Bengala.
«Non vi capisco, Fratelli.» li fissò a turno Dick, imponendosi di abbassare i toni: «Nikolai Rasputin era un male assoluto, un male non necessario che sul lungo periodo ci avrebbe distrutti tutti, direttamente o indirettamente. Lo stesso Parrish aveva posto una generosa taglia sulla sua testa, possibilmente separata dal corpo.»
«Lei, Principe Jones, nonostante dimostri una certa età, è in questa assemblea il più giovane tra noi. Tuttavia la sua ingenuità, al pari della sua ignoranza, non può essere ritenuta una valida scusante.» affermò pacatamente James Irving, Principe di Washington D.C.: «William Parrish gestisce le cose in una certa maniera. Lo ha sempre fatto, e sempre lo farà. Quando io e lei saremo polvere, lui continuerà a perpetuare nella sua infinita esistenza, e da un’emanazione della Notte pari a quella che le sto descrivendo non si può pretendere un comune senso di ragionevolezza.»
«In breve, signor Jones, il Principe Parrish non ha mai voluto Rasputin morto. Insomma, lo vuole e non lo vuole. Intendo morto.» fece chiarezza, almeno nelle intenzioni, Vincent “Vinnie” Mash, Principe di Las Vegas: «William va interpretato, letto tra le righe. È così che funziona con lui. Mi segue?»
«Non ne sono sicuro…»
«Mettiamola in questi termini, allora.» si spazientì Santanico Madrigal, Principe di El Paso: «Sono quasi vent’anni che Parrish ha piazzato quella taglia sulla testa di Rasputin. Le quotazioni salgono e scendono a giorni alterni, come quelle cazzo di fluttuazioni della Borsa. Entiendes? Quindi se davvero il Principe di New York avesse voluto il russo fuori dai giochi, sarebbe già accaduto da molto, molto tempo.»
«La taglia, signor Jones, possedeva un unico e solo scopo. L’ha sempre posseduto.» sorrise sinistramente Elias Cranston: «Informare ogni zelante creatura al di fuori dei domini di Parrish che la fine di Rasputin doveva essere prerogativa della corte di New York City, nei modi e nei tempi a essa più congeniali.» giunse le mani, dito su dito: «Capirà, dunque, la gravità delle sue spericolate azioni, nonché la sgradevole posizione in cui noi tutti ora ci troviamo a causa dalle sue inopportune rivelazioni.»
«Se Parrish dovesse venire a conoscenza di questo incontro, e della natura dei temi trattati, potrebbe crederci suoi complici, Principe Jones.» gli rimproverò James Irving: «E allora…»
«E allora ci sgozzerebbe come maiali subito dopo di te.» inarcò il labbro David Crane: «Dico di metterla ai voti. O anche no.» propose: «All’alba immoliamo al sole questo figlio di puttana, e lasciamo le ceneri per Parrish.»
«Codardi! Tutti quanti!» ruggì Dick, adirato più che intimidito: «Ma guardatevi! Lì a tremare e a belare come bestiame!» dilaniò le parole coi canini, mentre la rabbia faceva pulsare il dedalo di vene sotto le sue tempie: «Siete Fratelli, divinità immortali, o tremebonde carcasse marcescenti senza spina dorsale?! Davvero William Parrish vi fa tanta paura da non riuscire neppure a pronunciare il suo nome senza reprimere i brividi?»
«Ci fa un grave torto a rivolgerci tali odiose calunnie.» sibilò Cranston, spoglio dell’inquietante maschera di cortesia che sfoggiava solitamente: «Ognuna delle creature riunite a questo tavolo, non ultimi me e il mio socio, ha nel corso dei secoli tentato più e più volte di epurare il mondo dall’ingombrante presenza di William Parrish. Potrei elencarle decine, centinaia di piani sfumati in tal senso, e altrettante ferite, esterne ed interne, mai risanatesi del tutto.» s’accalorò: «Chi è lei per venirci a giudicare? Lei, misero omuncolo figlio del Ventesimo Secolo, che neppure era nato quando Parrish già tormentava da immemore tempo le nostre nere esistenze?» sbatté il pugno sul ripiano di mogano davanti a sé, incrinandolo leggermente: «Ringrazi la sua buona stella, e il provvidenziale odio che nutro nei confronti del signor Crane e delle sue indecorose idee, se non accolgo favorevolmente l’iniziativa di metterla a tacere qui e ora, e per sempre!»
Lo sfogo del Principe di New Orleans accese la miccia del caos. Un tripudio di minacce e imprecazioni scaturì dalle bocche zannute dei dannati.
Non erano più simulacri di esseri umani, ma bestie furiose accecate dalla sete di violenza, in procinto di avventarsi le une sulle altre per decretare una volta per tutte chi fosse migliore di chi.
«Signori! Signori, vi prego!» dovette urlare Sebastian Shaw per farsi udire al di sopra del clamore. Quando tutti si furono calmati, calmati nella misura che ci si poteva aspettare da un branco di demoni arroganti ed egocentrici feriti nell’orgoglio, proseguì: «Ciò che è fatto è fatto. Il Principe Jones ha ucciso Nikolai Rasputin, e non c’è niente che possiamo dire o fare in grado di cancellare questa verità.»
«Sempre che si tratti della verità.» schioccò la lingua Sonny Ribera: «Quel russo hijo de puta ha sempre avuto più fortuna che palle. Ho perso il conto delle volte in cui qualcuno ha provato a farlo fuori, e di certo ci si sono messi d’impegno! Soprattutto i diurni…»
«Non dubitiamo della sua parola, signor Jones.» fece Vinnie Mash: «Cazzo, nessuno si sognerebbe di mentire su una stronzata del genere, ma ha delle prove? Intendo della morte di quel fastidioso bastardo.»
Dick sospirò sonoramente: «È proprio per questo che vi ho convocati.» aprì lo sportellino a conchiglia di un vecchio Motorola: «Falli entrare.» ordinò al suo interlocutore, interrompendo seccamente la comunicazione.
Le ante di palissandro della Sala Conferenze Armstrong vennero spalancate dall’esterno, richiuse non appena nove individui ne ebbero varcato la soglia: soggetti eccentrici, particolari, e decisamente non umani.
«Signori. Signore.» li accolse freddamente Dick: «Prima che passi alle presentazioni di rito, vorrei che informaste i Fratelli qui riuniti della sorte toccata a Nikolai Rasputin.»
«È morto.» disse il primo dei nuovi arrivati: «L’ho ucciso con le mie mani.»
«Cosa? L’ho ucciso io!» si fece avanti il secondo.
«No, sono stato io a ucciderlo!» contestò il terzo.
«Sporchi bugiardi!» li accusò il quarto.
E così via, per otto volte. Otto, e non nove, perché grazie al cielo due di loro erano in coppia, e soltanto uno parlava per entrambi. Date le circostanze, c’era di che esserne sollevati, ma Jones doveva pensarla diversamente. Fu infatti con una visibile dose di frustrazione che si rivolse ancora una volta ai Principi: «Ora capite qual è il mio problema?»
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Nativi Digitali Ed. –
“Il vampiro Nik ne ha combinata una delle sue: è morto.
Come? Bene, il come è il fulcro de Il vampiro che visse due volte di Alessio Filisdeo”
Recensione su “Peccati di Penna”
Nativi Digitali Ed. –
Consiglio questo romanzo a chi ha necessità di evadere dal reale, a chi ha bisogno di leggerezza e qualche risata e a chi adora gli action hero anni ’80
Recensione su “Blog semiserio di una lettrice compulsiva”