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La stanza puzzava di sudore e di fumo. Era ricoperta di pannelli fonoassorbenti, decine di quadrati bianchi che aveva già contato più volte. Con quelli presenti sul soffitto erano esattamente 168. Una barriera impenetrabile ai rumori esterni, perché il silenzio potesse creare angoscia e il cervello, ribellandosi, inventare rumori inesistenti. Il primo passo verso la pazzia. Ma lui non aveva paura di impazzire, non dopo quanto gli era capitato.
Non dopo essersi trovato a fare i conti nella vita reale con i personaggi che cercava di fare fuori tra le righe del suo incompiuto thriller. Non dopo essere diventato, per colpa di Valery Sinclair, lui stesso uno di quei dannati personaggi.
No, non sarebbe stato quello stupido silenzio a farlo andare fuori di testa.
E poi quasi si stava divertendo. Aveva descritto più di una volta situazioni simili e si era sempre chiesto come avrebbe reagito lui al posto del sospettato di turno. Sarebbe riuscito a tenere una condotta indifferente da vero duro o si sarebbe lasciato vincere dal panico o dalla rabbia? Non voleva sembrare troppo freddo e distaccato, ma neanche spaventato. Si era solo prefisso di mostrare la giusta e serena indifferenza di chi non ha niente da temere.
Mosse lo sguardo alla sua sinistra verso il grande specchio in cerca di approvazione. Là dietro qualcuno lo stava osservando, ne era certo.
Magari stavano decidendo chi doveva condurre per primo l'interrogatorio. Stavano tirando a sorte per stabilire a chi toccava la parte del poliziotto cattivo, il primo che entra e, sbattendo i pugni sul tavolo, punta tutto sull'intimidazione. Quello che senza troppi fronzoli ti dice che sei spacciato e che c'è una montagna di prove a inchiodarti. Sì, avrebbe usato il verbo inchiodare. Lui lo avrebbe fatto, o meglio, l'avrebbe messo in bocca allo sbirro cattivo.
Poi sarebbero saltate fuori frotte di testimoni e impronte digitali lasciate ovunque. Anche il DNA, il suo stesso materiale genetico, sangue del suo sangue, avrebbe puntato l'indice contro di lui. Tanto valeva confessare. Sì, certo, ma perché una confessione quando possiedi già una montagna di prove? Rise. Nei suoi romanzi infatti non era mai lo sbirro cattivo a portare a casa il risultato, ma quello buono. Lo sbirro che entra in scena con un mezzo sorriso rassicurante, che ti fissa con comprensione, che mostra da subito empatia. Lo sbirro che sa ascoltare più di un analista. Ed è gratis. E in una sola seduta ti libera dal grosso macigno che ti pesa sulla coscienza.
Ma lui, Michael Farner, non aveva nessun macigno di cui voleva sbarazzarsi.
Era lì solo per uno strano scherzo del destino, sempre che si potesse accusare il fato di tutta quella assurda storia. Una storia che non avrebbe potuto raccontare agli sbirri. No, non gli avrebbero creduto, e neanche avrebbero capito.
Se ne stava lì da un paio di ore o forse più. Nella stanza non c'era un orologio e lui, ammanettato con le mani dietro la sedia, non poteva controllare sul suo Rolex. Un acufene gli fece capire che i pannelli stavano, in silenzio, facendo il loro maledetto lavoro. Si voltò di nuovo verso lo specchio, spazientito.
In quel momento si aprì la porta. Entrarono due uomini. Uno grande e grosso di colore e uno smilzo con radi capelli biondi e gli occhiali. Entrambi con la camicia bianca e la cravatta nera.
L'energumeno, che aveva due enormi chiazze di sudore sotto le ascelle, fece le presentazioni.
«Sono l'agente speciale Jackson e lui è l'agente speciale Adams.»
«Piacere, Michael Farner» rispose quasi sollevato per la fine dell'attesa.
«Lo sappiamo bene chi è lei» replicò acido il biondo.
Farner si chiese chi fosse il poliziotto buono e chi quello cattivo. Così a prima vista gli stavano entrambi antipatici.
L'uomo di colore prese una sedia da un angolo della stanza e si accomodò davanti a lui. L'altro preferì rimanere in piedi, vicino alla porta, con le braccia conserte.
«Allora, signor Farner» disse Jackson protraendosi con fare minaccioso sul tavolo. «Abbiamo diverse prove che la inchiodano.»
Farner non trattenne un sorriso.
«Lo trova così divertente?» lo riprese lo sbirro.
«No, niente… pensavo solo all'uso del verbo… siete dell'FBI, giusto?»
«Qui le domande le facciamo noi!» chiarì subito Jackson, prima di mettere sul tavolo una cartelletta. Fece scivolare sotto il naso di Farner alcune foto che ritraevano il corpo senza vita di una ragazza.
«Le guardi!» insistette l'agente vedendo che il sospettato evitava di posarci gli occhi.
«Non vorrei impressionarmi…» bofonchiò Farner.
«Ho detto, le guardi.» Ripeté Jackson con un tono fermo e scandendo bene le parole. «Riconosce questa donna?» lo sbirro aveva puntato l'indice sul corpo nudo di una ragazza che giaceva senza vita in una vasca da bagno.
«Immagino sia Valery Sinclair. Ma non sono stato io.»
«Come ha conosciuto questa Sinclair?»
«È una lunga storia.»
«Abbiamo tempo.»
«L'ho conosciuta a una festa, ma prima ancora era un personaggio di un mio romanzo. Ma poi lei…»
Un tonfo lo interruppe. L'enorme mano dell'uomo di colore aveva fatto sobbalzare la cartelletta con tutte le foto e lo stesso Farner.
«Che diavolo sta dicendo?» sbraitò l’agente «Questa Valery Sinclair era una donna in carne e ossa! Questo non è il suo romanzo, dimentichi le sue storie. Dimentichi la sua carriera di scrittore!»
«Ma io…»
«So cosa vuole fare, vuole farsi passare per pazzo, vuole che la giudichino incapace di intendere e di volere. Ma non ci riuscirà e se non collabora finirà a friggere sulla sedia elettrica!»
«So chi è stato.»
Jackson si girò verso il collega, che si avvicinò al tavolo mantenendo le braccia conserte e quella strana espressione annoiata. Poi fece un cenno con la testa, come per dire: sputa il rospo. Sì, lui avrebbe usato quell'espressione. Un po' abusata, ma gli era sempre piaciuta.
«Si chiama Alan Pierce e lo trovate al 207 di Blair Street, vicino al Northside Park.»
«E chi diavolo sarebbe questo Alan Pierce?»
«Quello che ha ucciso Valery Sinclair e tutti gli altri scrittori e poi ha pensato bene di darmi la colpa. L'ha fatto per impossessarsi del romanzo di Valery.»
I due agenti si scambiarono una rapida occhiata, poi il biondo uscì dalla sala con un passo che non tradiva la minima urgenza.
Gli avevano creduto, pensò soddisfatto Farner. Avrebbero preso quel maledetto Pierce e lo avrebbero messo sotto torchio.
Jackson lo stava ancora fissando con occhi che sembravano due palle da golf. Poi raccolse le foto, le sistemò nella cartellina, si alzò e si accese una sigaretta.
«Sa, mia moglie è una sua lettrice. Ha apprezzato molto quel suo libro… come si chiama…»
«Il Sonno della Medusa?»
«No, c'entrava un altro animale… quel libro… quello che faceva ridere» lo ingaggiò agitandogli addosso la sigaretta.
«Io scrivo thriller, non trovo che ci sia molto da ridere nei miei libri.»
Poi lo sbirro scoppiò in una fragorosa risata. «Ecco, sì, Il topo che si morde la coda» esclamò soddisfatto.
«Il topo che si morde la coda?» ripeté Farner con un misto di sorpresa e disgusto. «Mai scritto una roba del genere, forse mi sta confondendo con qualche altro scrittore.»
Jackson tornò serissimo e strabuzzò le due palle da golf. «Non ci provi. Sappiamo bene che lei è Michael Farner. Vuole mettere in dubbio la parola di mia moglie?»
«No è che… ma poi non è il cane che si morde la coda?»
«Non si azzardi a fare strani giochetti con me!» lo minacciò l'agente. «Solo perché lei è uno scrittore non significa che può giocare con le parole come crede.»
In quel momento Adams rientrò nella sala. La sua espressione era indecifrabile. Si avvicinò al tavolo, fissò per un momento l'interrogato e poi guardò il collega non trattenendo un ghigno compiaciuto.
«Non esiste nessun Alan Pierce al 207 di Blair Street» disse. «Per la verità non esiste nessuna Blair Street.»
«Allora mi sono sbagliato con l'indirizzo, la mia memoria non è più quella di una volta, forse…»
«Non esiste nessun Alan Pierce in tutta la città» tagliò corto Adams.
«No, impossibile, portatemi l'elenco e vi faccio vedere che esistono almeno tre Alan Pierce, ne sono certo.»
Un minuto dopo il biondo buttò sul tavolo alcuni elenchi del telefono. Farner ne girò verso di sé un paio.
«Ma questi sono tutti elenchi del Maine.»
«Perché, che elenchi vuole? È qui che ci troviamo. È qui che tutte le vittime sono state uccise, tranne questa Valery, il cui corpo è stato trovato in una casa a Portsmouth, nel New Hampshire. Solo pochi chilometri e non ci saremmo interessati del caso, sarebbe stata una questione statale. Vuole anche l’elenco di Portsmouth? Vuole dirci qualcosa Farner? La dobbiamo prendere come una sorta di confessione?»
«Confessione?»
«E allora si faccia andare bene questi elenchi e vedrà che comunque non esiste nessun Alan Pierce in tutto lo Stato.»
«Perché appunto Pierce vive a…»
«Se è vero, come dice, che questo Pierce ha ucciso la Sinclair per impossessarsi del suo manoscritto, non può che vivere nel Maine» puntualizzò Jackson, battendo con sempre più vigore il suo indice destro sul tavolo. «È qui che tutti voi maledetti scrittori di thriller venite a vivere. Ma che ci trovate? Siete attratti dall'alto tasso di omicidi di questo stato?»
«Veramente nel Maine la media degli omicidi è la più bassa di tutti gli Stati Uniti.»
I due agenti scoppiarono a ridere. Anche l'impassibile Adams aveva le lacrime agli occhi.
«E poi io abito a…»
«Al 93 di White Cove Street» lo riprese subito il biondo buttandogli sotto il naso il suo passaporto.
Farner si chiuse in silenzio. Ora gli era tutto chiaro. Lui non era il Michael Farner che pensava di essere, ma quello descritto da Pierce nel suo romanzo. O meglio un misto dei due. E ora si trovava lì, a romanzo concluso, a pagarne le conseguenze. Quegli agenti non sarebbero mai risaliti a Pierce, perché Pierce era l'autore, colui che li aveva creati. Avrebbero brancolato nel buio in eterno, senza rendersene conto. Si sentiva rinchiuso in una storia senza più autore. Un topo in trappola. Doveva cambiare strategia e smettere di mordersi la coda.
«Voglio un avvocato!»
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Marco “Frullo” Frullanti –
Entrambe le opere di Lorenzo Sartori sono contraddistinte da uno stile irriverente e umoristico, sebbene non perdano quel tocco noir, in grado di incollare chi legge, letteralmente, allo schermo (Recensione su “Il Nadir”)