Estratto |
INTRODUZIONE
Si passò la lingua sulle labbra rugose e secche, strinse gli occhi e scrutò quella folla di piccoli corpi stretti l’uno all’altro che la guardavano impressionati.
Girò gli occhi, scrutò tutta l'aula con quel suo modo di fare che la faceva sembrare un cavallo pazzo.
Si grattò per un’ultima volta la testa. Quanto fastidio le procurava quel maledetto fermaglio di perle che aveva deciso di mettere per l’incontro a scuola.
Si era pentita di averlo messo, lo sentiva in bilico e prima o poi – ne era sicura – si sarebbe staccato dalla testa e le avrebbe portato via un bel ciuffetto di capelli bianchi, i pochi che le restavano.
Lasciò ciondolare appena le gambe.
Il maestro tossì e lei incrociò le braccia al petto, per ricomporsi. Poi si schiarì la voce: «Prima della Grande Catastrofe del 2100, la Terra era completamente diversa. Non vi erano gli Stabilimenti così come li conoscete voi bambini. Queste immense palafitte che si innalzano dal suolo e raggiungono i chilometri di altezza, avvolti da una nebbia densa. Non si viveva tutti agglomerati nelle palafitte e in diversi livelli. La vita non era in verticale. I grandi deserti tra un Plant e un altro non esistevano».
Il maestro si alzò lentamente, spense la luce alle spalle dei bambini e attivò una diapositiva interattiva. La stanza si colorò d’improvviso di verde e di blu. I bambini mandarono dei gridolini di eccitazione.
«Nel passato, i deserti esistenti erano rari ed erano molto lontani da noi, si trovavano in terre aride e tropicali, in posti che ho potuto vedere solo grazie a una cartina consunta che ho ereditato dai miei avi».
La diapositiva proiettò nel cielo di cemento degli uccelli che cominciarono a cinguettare a tutto volume per la stanza.
Alcuni bambini cominciarono ad imitarli.
«Si viveva sul suolo, un suolo fertile, dove crescevano chilometri di erba verde che camminandoci sopra solleticava i piedi nudi. Una terra che aveva un odore particolare, soprattutto nelle giornate piovose, dove si poteva coltivare la frutta e la verdura, prodotti che nascevano in modo spontaneo, non in laboratorio. Si piantavano i semi, si lasciavano nel terreno e quelli naturalmente crescevano, all’aria aperta».
Il maestro alzò la voce per cercare di riportare l’ordine nella classe.
«Quelle erano delle nuvole» le indicò ai bambini che si alzavano e sedevano di continuo urlando contro le immagini delle soffici distese bianche.
Uno dei piccoli prese a muovere le braccia e a girare attorno alle sedie finché non andò a sbattere contro una coetanea. Il maestro intervenne, correndo a consolarla.
Senza curarsi del frastuono l’anziana continuò a recitare la sua storia, lasciando ciondolare ancora una volta le gambe:
«Si viveva senza il bisogno della dose di ossigeno della mattina e della sera. Senza bisogno di medicine per compensare il mal di gravità. La vita era più semplice, più spontanea, non vi erano le gerarchie che ci sono ora. Non si viveva in livelli diversi, ma tutti con i piedi sulla terra. Tutti allo stesso modo. L’aria, l’acqua, la terra erano beni per tutti, non c’erano livelli, né preferenze».
Si sistemò il vestito scuro, che nell’agitazione del descrivere le era salito sopra le ginocchia.
«Poi ci fu la Catastrofe del 2100 e da lì iniziarono i guai» scandì con voce profonda. Girò i suoi occhi da cavallo pazzo per tutta la stanza, sotto l’indifferenza dei bambini che avevano preso a rincorrersi per tutta la stanza.
CAPITOLO PRIMO: IL FANTASMA DEL PLANT OCCIDENTALE
Nelle fogne c’era puzza. Puzza ovunque. Un tanfo che strangolava e sgozzava, che confondeva le idee e le rendeva tutte simili e diverse, ma tutte pericolose.
Era quel genere di odore che impregnava le vesti e ti dava il benvenuto ogni volta che tornavi alla base, ogni volta che ti muovevi, che ti fermavi a riflettere. Era un biglietto da visita terrificante.
Schioccò la lingua e si mise un’unghia tra i denti. Aveva qualcosa incastrato che lo tormentava da giorni. Sputò a terra. Uno schizzo scuro confluì nel ruscello di acqua putrida che trascinava i detriti nelle fogne.
Si toccò le labbra, e vide del sangue scuro. Si pulì con il dorso della mano e ingoiò un grumo di catarro e sangue che gli era rimasto bloccato tra il naso e la gola.
Si tirò su, stirò con le mani gli stracci che aveva addosso.
I tessuti dei suoi vestiti erano consunti e troppo leggeri per la stagione. Prese la coperta che aveva con sé e se la buttò sulla testa. In lontananza vide le sagome delle persone camminare sotto la luce arancione dei lampioni. I fiori sintetici emanavano profumo di rose e di margherite.
Nessuno di loro osava immaginare.
Nessuno di loro aveva idea di come si vivesse nelle fogne.
Di quello che significasse.
Alzò piano la gamba destra; gli faceva male, ed era costretto a trascinarla. A volte gli sembrava di non sentirla più. E quel sapore di sangue nella bocca. Sputò una seconda volta, per ripulirla.
Si maledisse.
Le gocce di condensa picchiettavano sull’asfalto.
Era solo.
Tossì forte.
«Papà me lo ricarichi?» e la piccola manina si strinse intorno al carillon. Prese piano da quelle manine calde la scatola blu e ne girò quattro volte la chiavetta nella fessura. Piano piano partì.
«Mi racconti ancora una volta la storia delle stelle?» chiese il bambino infilandosi sotto le coperte.
«È tardi tesoro. Domani mattina devi andare a scuola» e gli accarezzò con dolcezza la frangetta corta. Aveva i suoi stessi occhi scuri.
«Ti prego un’altra volta e basta. Voglio sapere come salvi il mondo ogni giorno». Sorrise e allungò le coperte fino al naso del bambino.
«Va bene. Ma è l’ultima volta, poi si va a dormire».
Tossì, e tutto il corpo venne percosso da un dolore acuto. Una lacrima spuntò all’angolo degli occhi, ma subito la ricacciò via. S’accasciò a terra. Altri schizzi di sangue macchiarono l’asfalto.
«Signora, sta bene?».
Un signore si intrufolò nel vicolo cieco dove lui si era riparato.
«Signora?». L’uomo poteva forse intuire solo le sue vesti cenciose.
«Amore» una voce si intromise alle spalle, «Lasciala stare. Non lo vedi come è ridotta?».
L’uomo si girò per guardarla. ««Ma cara…» e si voltò di nuovo verso la figura ricoperta di cenci.
Quella, però, era scomparsa.
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Marco+Frullanti –
«Cosa vuoi raccontare attraverso la tua narrazione? Qual è il messaggio che vuoi portare innanzi al tuo pubblico?
Domanda difficile! Sono così tante le motivazioni che mi hanno portato a scrivere questa storia che spero di essere riuscita a metterle tutte nel libro! Sicuramente voglio dire che senza natura non si può vivere.
Intervista all’autrice su “Semi d’inchiostro”
Marco “Frullo” Frullanti –
Tre buoni motivi per leggere la tua storia.
Sicuramente perché vi terrà con il fiato sospeso, perché si intrecciano tante storie di personaggi diversi, ognuno con i propri difetti, sogni e umanità, e perché, se avete un’anima “green”, il messaggio finale della storia vi emozionerà!
Intervista all’autrice in “Occhi del lupo” (7 blog per 7 autori)
Marco+Frullanti –
“Quel che mi ha sorpreso leggendo Plant Asterion è scritto nella postfazione, ovvero che l’autrice ha progettato e ideato il romanzo nel 2017, ben tre anni prima di ogni sospetto reale riguardo a un virus!”
Recensione su “Betta la talpa!
Marco+Frullanti –
“Le indagini sono avvincenti, il mistero fa venire voglia di provare a sbrogliarlo, e i personaggi prendono sempre più concretezza, si riempiono di sfumature, di caratteristiche, di emozioni e pensieri, permettendoci di conoscerli appieno e sentirli reali”
Recensione su “Quattro chiacchiere in compagnia”
Marco “Frullo” Frullanti –
“Attraverso un escamotage letterario, cioè ponendo in un contesto post-apocalittico i suoi risentimenti, Spuri cerca di far comprendere il bisogno di riappropriarsi della quotidianità, fatta di innumerevoli tasselli percepiti sempre più come scontati, necessari”
Recensione su “Semi d’Inchiostro