“Pam” – Alberto Lettieri

“Pam” – Alberto Lettieri

2.98

Roma, giorni nostri. Trenta lettere spietate e corrosive che testimoniano le riflessioni del protagonista, vittima di un amore travolgente e sempre più critico verso l’umanità in generale.

Genere: Young Adult, Narrativa Urbana

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Descrizione

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30 lettere ammassate una sopra l’altra, accartocciate in un armadio a due ante di colore grigio veleno.

Il modo più diretto per rendersi ridicoli.

Il modo più diretto per aprirsi alla morte.

Destinazione Pam.

Questo l’incipit di Pam, 30 lettere scritte con lucida angoscia dal narratore, vittima di una storia d’amore troppo grande per lui. Pam, una femme fatale di 15 anni, terribile ma adorabile, trascina il protagonista e narratore in un vortice di eventi e riflessioni sugli eccessi dell’adolescenza e sulla natura umana in generale, il tutto ambientato nella Roma dei giorni nostri. E Pam, in parte romanzo “Young Adult” e in parte diario di un’adolescenza inquieta ma affascinante, non mancherà di travolgere anche voi.

 

Informazioni aggiuntive

Anteprima

Prima lettera

Le meccaniche dei ricordi

Avevo diciassette anni, ma conobbi Pam. Conobbi Pam, ma avevo diciassette anni. Scegliete voi, per me è uguale.
Diciassette maledettissimi anni segnati dalle comuni tragedie che ogni adolescente italiano subisce. O che la maggior parte degli adolescenti di questo ventennio sopporta in silenzio.
La separazione familiare o, in qualche caso, il divorzio diretto. L’espansione dei confini emotivi, macchiati dalla scoperta del sesso, dei sentimenti verso un altro essere umano. La sconfinata esagerazione dell’amore.
Quando, tra parentesi, l’amore vero si scopre solamente avendo un figlio. Ci si rende conto di non aver mai amato in vita propria.
Viviamo nel ventennio di Internet, di Msn, di Facebook. In cui la collettività virtuale è alla base dei rapporti personali. Noi crediamo realmente che senza Facebook non ci si possa relazionare, non si possa vivere tranquillamente un rapporto sano.
In realtà, Facebook uccide i rapporti. Partendo dal cuore, dai progetti, dall’anima del relazionarsi stabilmente.
Qui non è come scrive Moccia. Qui i sentimenti non sono roba da impacchettare dentro una scatola di cioccolatini e venderla a dieci euro a scatola. Qui i sentimenti sono le radici di ogni individuo. Le radici che ci legano alla vita, a quello che ci rende umani.
Ovviamente, c’è chi ne abusa, c’è chi li confonde, c’è chi li dimentica.
Ed è proprio una storia di abusi emotivi, quella che vi racconto.
In quel periodo ero il cantante di un gruppetto punk, un gruppo di ragazzi conosciuti da qualche mese con cui suonavo qualche cover dei Green Day. Eravamo giovani, affiatati, quasi amici. Quasi.
Non dirò il nome per un fatto di vergogna. La mia, per l’appunto.
In qualsiasi caso, mi trovavo a Via del Corso, in un pomeriggio abbastanza soleggiato, un pomeriggio talmente bello che sembrava surreale vedere la terrazza del Pincio così piena di gente.
La gente s’illude tanto che cerca di racchiudere un momento e renderlo eterno su una terrazza. Che pena. Camminavo al fianco di Matt, il chitarrista di questo gruppo, e avevamo iniziato una discussione piuttosto tesa su una ragazza che, diciamo, “stimava” particolarmente.
Lui, così privo d’inventiva, chiedeva consiglio a me credendomi un Dio delle relazioni solo perché non ero più vergine da un po’. Questo Dio stallone. Questo Dio donnaiolo.
Così lo stavo “istruendo” sul muoversi, sul relazionarsi con la dovuta calma e senza precipitarsi in eccessive turbolenze emozionali.
Conoscevo Pam già da un po’, tramite qualche amico dalle parti di Piazza del Popolo. Di fama, era abbastanza nota. Una vera e propria celebrità, per l’appunto.
Sembrava anche riscuotere molto successo tra le varie comitive presenti nella zona. Era odiata, stimata, amata, desiderata, temuta. Era il personaggio d’interesse principale di Piazza del Popolo.
E proprio lì, per uno stramaledetto caso che non esiste, mi afferra la spalla e mi pianta i canini sul collo.
“Ehi!” gridò letteralmente “Sei tu!”.
Io in un misto di imbarazzo e confusione, le dissi che sì, ero io.
Era con un’amica, una certa Clara, ed erano venute a fare un giro a Via del Corso tanto per.
Il collo pulsava. Aveva una morsa micidiale. Non immaginavo nemmeno che quello sarebbe stato niente, in confronto a quello che nascondeva Pam.
Presentai così il resto del gruppo alle due ragazze, cercando di essere il più socievole possibile, nonostante l’imbarazzo.
“Ma ti ho fatto male?” mi chiese in tono innocente.
Dissi di no, cercando di nascondere l’evidente rossore che si era formato intorno all’impronta lasciata dei denti.
Clara strattonò e fece cenno a Pam di seguirla, dirette sotto le chiese di Piazza del Popolo. Le chiese gemelle che non sono gemelle.
“Vieni con noi?” mi chiese direttamente. Poi allargò lo sguardo dicendo agli altri “anche voi, avanti!”
E così ci avviammo con passo semi-timido dietro queste due mini showgirl di Piazza del Popolo.
Gli sguardi torvi dei ragazzi presenti sotto le chiese erano animati dall’invidia, dal rancore, dalla gelosia, dall’odio. Personalmente, non mi sentivo a mio agio, ma dovetti tranquillizzarmi a causa dell’ottimo rapporto che si era creato tra i componenti del gruppo e Clara.
Mi sentivo veramente fuori luogo. E pensare che che, fino a qualche anno prima desideravo ardentemente far parte di quelle congreghe. Ora non erano altro che inchiostro nero sulle pareti delle chiese gemelle che non sono gemelle.
Mi sentii piantare ancora gli stessi canini, stavolta sul braccio. Era un morso più profondo, e strinsi i denti fino alla fine senza soffrire.
“Sei la prima persona che resiste ai miei morsi, sai?” mi disse, sorridente e piena di gaudio.
Io sorrisi, ingenuo, e la seguii sulla scalinata.
Ci sedemmo, intorno ad altre venti o trenta persone, sopra la scalinata laterale. Lei era seduta sopra le mie gambe, e davanti a noi c’era Loris, un amico di vecchia data. Non mi riconobbe, non me ne curai.
Pam mi guardò dal basso, mentre eravamo seduti. Ero più alto di lei di quasi trenta centimetri e nonostante fossimo seduti, eravamo uno più distante dell’altro.
Alzò la testa e mi disse “Hai un buon odore, sai?”
Io le sorrisi, un po’ imbarazzato. Annusai la sua maglietta nera dei Doors, e le dissi che anche lei, aveva un buon profumo. Dolce. Quasi di vaniglia.
“È un profumo particolare, me l’ha regalato il mio ragazzo” mi disse.
Io annuii e ritornai ad osservare le persone intorno a noi.
Tutte. Dannatamente. Uguali. Che pena.
Una massa uniforme di nero, nero, nero e nero.
Magliette degli Iron Maiden, Megadeth, Metallica, Slipknot. Anfibi neri lungi quasi 40 centimetri. Tutti maledettamente uguali.
Mi alzai, un po’ stizzito, e Pam mi seguì curiosa.
“È tutto ok?” mi chiese quando già avevo scavalcato la massa.
“Sì.. è che mi sento un po’ fuori posto, tutto qui” confessai.
Che patetico. Alla continua ricerca di attenzioni in un gruppo di persone tutte uguali.
Lei, falsamente, mi disse “Anch’io, sai? Non siamo costretti a starcene qui. Mi accompagneresti a Termini? Devo vedere una persona”
Accettai di corsa.
Guardai Matt che armeggiava con Clara con una spada giocattolo rubata ad un metallaro in costume da Van Helsing. Gli feci cenno di vederci dopo, lui sorrise e continuò a prestare attenzione alla ragazza.
Non era per niente male come coppia. Finiranno male comunque.
Uscendo da Piazza del Popolo ed imboccando la metro, Pam mi guardò dai suoi occhi neri e profondi, che non ho mai capito, e pronunciò una frase che echeggiò nella mia mente come una chitarra in un Auditorium.
“Mi trovo bene con te, sai?”
Era l’inizio della fine.

Recensioni

  1. Marco “Frullo” Frullanti

  2. Valeria Vitale

    Non riuscirei mai a pensare ad un finale più assurdo e paradossalmente più autentico di questo. Perché questo libro non vende di più?

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