Magellan Route – Andrea Mori Checcucci

Magellan Route – Andrea Mori Checcucci

3.49

Un viaggio intorno al mondo in barca vela, una nave cargo alla deriva, un capitano russo trovato morto a Londra… In che modo questi eventi sono correlati?

Genere: Noir, Thriller

Pagine: 250 (circa)

Formato: Epub, PDF, Mobi

Prezzo: 3.49€

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Descrizione

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Il capitano di una nave russa viene trovato ucciso a Londra, mentre il suo mercantile è lasciato in balia delle onde presso lo Stretto di Magellano. Una circostanza alquanto singolare, i cui retroscena verranno svelati dall’incontro fortuito, proprio a bordo della nave, di un velista inglese amante dell’azzardo, Dennis Price, con un ispettore assicurativo sveglio e dalla lingua tagliente, Paolo Benedetti. Ma il cargo russo cela misteri ben più inquietanti di un omicidio, e attirerà interessi ben più pericolosi di quelli di una compagnia assicurativa…

Magellan Route, opera d’esordio di Andrea Mori Checcucci, economista e velista, è un noir ricco di intrighi politici e militari di forte attualità, il cui intersecarsi delle trame è impreziosito da un cast di personaggi fuori dal comune e affascinanti, eppure assolutamente umani nei pensieri e negli atteggiamenti.
Una storia di scommesse, di scelte giuste o sbagliate, di cui si finisce sempre per pagare le conseguenze, nel bene e nel male.

Informazioni aggiuntive

Anteprima

PARTE PRIMA

PRIMERA ANGOSTURA

PRESENTAZIONI

1

– Di sicuro di tipi flippati duri ne ho visti parecchi, ma quello di stasera, forse, li ha superati tutti. Quando siamo arrivati verso le due di notte il biondino era ancora vivo, infilzato di schiena, non si sa come, in cima alla recinzione di St. James’s Park, nel cuore di Londra. Chissà, forse si è lasciato sorprendere dalla chiusura dei cancelli, ha pensato di fare di testa sua e gli è andata male, non ne ho proprio idea.
Certo è insolito che uno scavalchi di schiena e non di pancia: un salto alla Fosbury mal riuscito?
Fatto sta che quando i fabbri hanno finito di segare il manufatto metallico, quello umano aveva già cessato di respirare: tre punte di lancia lo avevano passato da parte a parte nell’addome. Fosse stato per me lo avrei lasciato lì in cima ponendo fine a quello strazio agonizzante semplicemente con il giusto dosaggio in vena di potassio cloruro: non lascia segni, a parte il buco. Neppure il tossicologico lo rileva più, dopo qualche ora dal decesso. Lo avrei anche fatto, se solo non avessi avuto due scomodi testimoni. Era chiaro che il biondino era spacciato, che non poteva farcela, neppure con l’intervento di Quello dell’Attico, a volerci credere.
E, soprattutto, si sarebbe evitato di rovinare quell’austera e antica cancellata.
Pensate che faccia parte delle forze dell’ordine?
Nient’affatto, mi occupo di taglio e cucito: lavori in pelle.
Umana.
Fare la differenza, questo mi piace fare.
Tra la vita e la morte. Questo mi dà adrenalina e gusto di vivere.
Dopo la specializzazione in chirurgia addominale, per sbarcare il lunario, ho accettato di lavorare al pronto soccorso del St. Anne Hospital di Londra. Ogni tanto, tra tanti tossici strafatti, barboni in ipotermia e casalinghe alcolizzate, tutti più causa che vittime di stupidi incidenti, capita qualche lavoretto interessante anche in città.
Finiti gli studi c’era del bel lavoro da fare con l’esercito in Iraq ed in Afghanistan, ma per me non era semplice entrare nelle squadre mediche militari.
Avrei anche lavorato volentieri in Africa. Lì c’è un sacco di materiale per farsi la mano: i pazienti abbondano, li operi, li salvi e poi magari schiattano per setticemia, ma questo non ti riguarda perché è questione ambientale, medica, non chirurgica. Però è difficile che ti paghino per andare in Africa a fare lavori di sartoria. Bisogna essere ricchi per fare del bene sul serio ed io non lo sono.
Pensate che sia un uomo?
Il mio nome è Meredith Randall di Oxford, ma abito a Londra, nell’East End, insieme ad altri due amici, a loro volta, a loro modo, particolari: Susan Turner e Paolo Benedetti, l’una amica di data e l’altro conosciuto al college ad Oxford. –

2

– Di guai, si sa, la vita è più o meno tappezzata. Questi arrivano anche da soli, come neri cumulonembi all’orizzonte che presto si materializzano sulla nostra testa riversando tempesta, senza che alcuno, in apparenza, ne abbia colpa. Ma esistono anche individui che, per qualche insano motivo, guai o tempeste vanno a cercarseli.
Altri, come me, dei guai altrui hanno fatto una professione. Non che di fieno da portare in cascina ce ne sia tanto, di questi tempi, ma quanto occorre per sopravvivere decentemente in una città fottutamente cara com’è Londra.
Approdato nel 2003 nel Regno Unito con una laurea in legge, pieno di speranze e aspettative, terminato un MBA ad Oxford, mi sono ritrovato a 27 anni senza lavoro, in patria come all’estero. Giudicando aberrante l’idea di tornare in Italia a farmi lavare i calzini da mia madre, ho cercato di darmi da fare ed ho inviato il mio curriculum in giro per la rete, finché i Lloyd’s mi chiamarono per un colloquio. Uno dei Names cercava un junior insurance inspector ed io feci il possibile per dimostrare che ero la persona giusta per quel profilo anche se di assicurazioni sapevo ben poco, specie di quel genere di polizze che circolano qui: rami danni e catastrofi.
Non ottenni un’assunzione, ma la compagnia mi formò per svolgere il mio lavoro investigativo da libero professionista garantendomi poi, insieme a Swiss Re, una buona continuità di lavoro; mi passano i sinistri di cui, per qualche ragione, i loro dipendenti non vogliono occuparsi: sinistri rognosi, scomodi, pericolosi o le tre cose insieme.
Così Paolo Benedetti è riuscito a sbarcare il lunario e a cogliere qualche brillante successo in situazioni difficili. Anzi direi che le situazioni critiche sono gradualmente diventate la mia specialità. Ma non me ne faccio un vanto: sono semplicemente l’ultimo arrivato ed i miei colleghi assunti ed in carriera tendono a scansare le grane peggiori. Il maschio anziano siede dietro una scrivania a schiacciare bottoni mentre giovani e donne sono fuori a spalare la merda del mondo. Se non altro, forse un giorno sarò anch’io maschio anziano…

Dimenticavo, sarebbe disonesto tacerlo, che un motivo fondamentale per non tornare in patria era quello di non perdere quanto sono riuscito a costruire, per insolito che sia, sul piano sentimentale.
Non che sia un tipo che non sa tenere la bocca chiusa, ma tanto questa storia salterebbe fuori da sola quando conoscerete i fatti di quell’altra storia, quella sì inquietante. Sono legato alla mia convivente, la rossa Meredith Randall, e fin qui, credo, nessuno si stupirà. Lei è la mia carica di energia per affrontare la vita con l’aspettativa che “il meglio deve ancora venire”, come dice lei. Ma il fatto è che Meredith è anche l’amante della mora Susan Turner e che tutti e tre risiediamo sotto lo stesso tetto: questo sì, può apparire raccapricciante agli occhi di bacchettoni benpensanti.
Dei tre, quella dai gusti variegati è ovviamente Meredith. Susan ed io siamo attratti da un solo medesimo sesso e ci teniamo a non mischiarne fragranze e sapori con l’altro. Io capisco Susan e la rispetto: amiamo la stessa donna. –

3

– Perdonate la pedanteria, ma quanto ha appena affermato Paolo, ci tengo a precisare, non corrisponde esattamente alla realtà delle cose. Non voglio dire che abbia mentito sul fatto, ad esempio, che viviamo insieme nel medesimo modesto appartamento di un sobborgo di Londra, quanto piuttosto che il mio legame con Meredith è antecedente al suo e di parecchio. Conosco Meredith dall’età di quattordici anni e siamo state insieme la prima volta a diciassette. Insomma la nostra è una lunga relazione e Paolo si è aggiunto soltanto un paio di anni fa. Con questo non voglio minimamente ridurre o svilire il suo ruolo a quello di subalterno. Però la sua affermazione di essere il convivente di Meredith ed io l’amante, questa non è proprio accettabile. È vero piuttosto il contrario, credo. Sia come sia, non nascondo che l’ingresso della figura di Paolo abbia giovato molto a Meredith e, di riflesso, anche a me. Prima di allora le sue reiterate fughe alla ricerca di non so bene cosa nell’universo maschile, finivano invariabilmente per nuocerle, non appena si rendeva conto di quanto effimera e vacua fosse l’ultima conquista fatta. E non è che la cosa costasse fatica a Meredith: basta che si mostri minimamente disponibile perché le si formi dietro un codazzo di maschi vogliosi di inserire una rossa provocante nel proprio curriculum. Paolo invece ha avuto il merito di dare stabilità e di porre così fine, che io sappia, alle avventure maschili di Meredith.
Ed anche per me è stato meglio così, in definitiva. Non sono gelosa di Paolo, non avrebbe senso esserlo: in lui Meredith non trova tanto qualcosa che io non ho, quanto piuttosto qualcuno che io non sono e che non potrei mai diventare. Paolo ed io siamo, ciascuno nel proprio genere e con le proprie caratteristiche, individui normali, è Meredith la persona speciale, quella che vive al 200% delle proprie possibilità, quella alla quale il 100% non basta, nel lavoro, nelle amicizie e nella vita sentimentale. Lei è la nostra adrenalina. Noi, sommati, facciamo il 200% di cui lei ha bisogno.
Quanto a lui, alle sue motivazioni voglio dire, beh, non saprei: Meredith è una donna eccezionale sotto tanti punti di vista, una di cui è facile innamorarsi. Forse a Paolo basta la sicurezza di un rapporto stabilmente intermittente o la libertà di una relazione forse non esclusiva, non ho idea. Sicuramente anche a lui va bene così perché non ha mai cercato di prevaricarmi. Né io lui, d’altronde.

Per il resto, se devo aggiungere qualche nota personale, dirò che parlo cinque lingue, francese, russo, tedesco e olandese, lavoro nella City come interprete e dei tre sono quella che ha la vita più regolare, visti i turni di lavoro di Meredith e le frequenti lunghe trasferte di Paolo. In buona misura la casa va avanti grazie a me, per forza di cose. Io sono il loro riferimento stabile, il loro focolare domestico. –

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