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Erano passati due anni dal mio mancato debutto ormai, quel giorno compivo vent'anni, e decisi che sarebbe stato il giorno in cui avrei dato una svolta alla mia vita. Avrei trovato un posto dove vivere, lontano dai vampiri, perciò la prima cosa da fare era abbandonare il loro territorio e dirigermi verso sud, sì questa scelta mi avrebbe portata vicino al territorio dei licantropi, ma se avessi fatto attenzione a non entrare nel loro territorio sarei passata inosservata ai loro occhi, dopotutto non sapevano nemmeno che esistessi. O almeno così credevo.
Non avendo documenti, era impossibile per me prendere un aereo, inoltre non avevo intenzione di prendere un mezzo da cui non sarei riuscita a scappare, quindi velivoli e treni erano esclusi a priori, una macchina poi era fuori discussione, non sapevo guidare e non avrei mai e poi mai fatto l'autostop per ritrovarmi in un piccolo abitacolo con un maniaco, certo trasformandomi in Furia avrei saputo difendermi, ma non era mia intenzione rischiare di fare una strage, così la scelta migliore era avvicinarmi al confine tramite dei pullman e poi attraversare il confine con gli Stati Uniti di notte. Peccato che il Nunavut fosse collegato solo via aereo agli altri territori, così avrei dovuto spingermi a piedi fino ai Territori del Nord-Ovest, raggiungere una città abbastanza grande e prendere il primo pullman in direzione sud.
Era metà giugno quando per l'ultima volta guardai il mio rifugio, il posto in cui avevo raggiunto forse non la pace interiore, ma di sicuro un equilibrio accettabile.
Chissà, forse un giorno sarei tornata.
Alzai la mano e la posai piano sulla fredda roccia della grotta, senza nemmeno sapere perché, estrassi gli artigli e scavai cinque solchi paralleli proprio a destra dell’entrata.
Mi voltai e me ne andai.
Quando raggiunsi il confine con gli Stati Uniti, si presentò una scelta fondamentale.
In che stato sarei andata? Il Texas mi era sempre piaciuto molto, adoravo le grandi fattorie e gli allevamenti di cavalli che vedevo nei film, quindi sarebbe stata la scelta più logica per me, ma lì si era trasferita anche la famiglia di Clara e siccome non volevo assolutamente rischiare, decisi di cambiare destinazione. Osservai la cartina e decisi di viaggiare verso il Wyoming, se non ricordavo male era lo stato meno popolato. Così salii sul pullman successivo, dopo un'attesa di circa otto ore, in direzione di quella che sarebbe stata la mia nuova casa.
Dopo la prima settimana di viaggio ero già sfinita, fortunatamente mancava ancora poco. Arrivata a destinazione decisi di stabilirmi in una piccola cittadina ai piedi della maggiore catena montuosa del Paese, non avrei mai sopportato un clima molto caldo, anche se avevo vissuto al freddo per mesi, lo preferivo in ogni caso alla calura.
Durante il viaggio avevo fatto una grande scoperta. Sapevo che la Furia ormai si era liberata dentro di me e pretendeva di vendicare ogni azione che giudicava imperdonabile, però mi resi conto che volevo solo vendicarmi, non uccidere, mi bastava solo che la vendetta fosse proporzionata all'azione sbagliata.
Visto che per viaggiare avrei avuto bisogno di soldi, quale occasione migliore per confermare la mia ipotesi?
La prima volta che sentii l'impulso di vendicare qualcuno fu quando alla stazione dei pullman vidi un barbone raggomitolato tra i suoi cartoni, avvertivo il freddo pungente sulla mia pelle, quindi immaginai che lui stesse gelando in quel momento. Accanto allo spiazzo dove erano fermi i bus in procinto di partire, c’erano quattro Tir fermi, da cui poco prima erano scesi i rispettivi autisti per andare al bar vicino. Quando due dei quattro autisti tornarono, si fermarono lì vicino per fumare, li sentii parlare in modo volgare quando una ragazza gli passò vicino, ma il mio istinto fu risvegliato quando iniziarono ad inveire contro il barbone steso tra i cartoni.
Iniziai ad arrabbiarmi sul serio, dovevo fare qualcosa; proprio allora, uno dei due si allontanò per entrare nei bagni di servizio della stazione, il pullman sarebbe partito a breve, quindi avevo poco tempo, lo seguii e aspettai che si calasse i pantaloni per liberare la sua vescica. Mi tirai il cappuccio della felpa sul viso e mi avvicinai da dietro, bastò un solo colpo secco alla testa per farlo crollare a terra.
Recuperai il portafogli e presi tutti i soldi che aveva. Mi andò bene perché aveva 480 dollari in tutto. Prima di salire sul pullman mi avvicinai al barbone e gli diedi 80 dollari, molto probabilmente, dall'odore che emanava, li avrebbe spesi in alcol, ma se servivano a farlo stare meglio non stava di sicuro a me giudicare.
***
Era arrivato Natale e la mia vita ormai seguiva una routine precisa.
Pochi giorni dopo l'arrivo in quel posto avevo individuato una zona industriale abbandonata, poco fuori città, tra le varie fabbriche e capannoni c’erano anche parecchi garage, tutti chiusi con delle grosse catene. Li studiai tutti e scoprii che alcuni avevano anche un bagno all'interno, certo, era microscopico, con solo il water e una doccia minuscola, ma non importava, rispetto alla grotta quello era l’equivalente di un hotel a sette stelle.
Scelsi quello più lontano e isolato e nel giro di poche settimane avevo aggiunto un letto pieghevole, una cassettiera e due banconi da cucina. Ovviamente non avevo elettricità, ma fortunatamente l'acqua c’era, quindi avevo il grande lusso di una doccia.
La mia attività di novello e rivisitato Robin Hood continuava, l'unica differenza era che, invece di rubare ai ricchi per dare ai poveri, io rubavo agli idioti arroganti e boriosi e davo a me stessa, era meglio che ucciderli no? Avrebbero dovuto essermi grati per quel compromesso, in quel modo loro si tenevano la loro insignificante vita e io potevo vivere come volevo.
La cosa andava benissimo, ma purtroppo non tutti i miei donatori involontari erano consenzienti e molte volte si ribellavano, una volta uno spacciatore era riuscito perfino a ferirmi con un coltello, facendomi arrabbiare a tal punto che ero riuscita a fermare la trasformazione giusto prima del punto di non ritorno, ma i vestiti erano comunque rovinati, quelle che duravano meno erano le maglie, purtroppo le mie ali non sempre seguivano i miei comandi e più di una volta gli artigli mi avevano completamente lacerato la pelle prima che potessi evitarlo.
Perciò, dopo quei primi episodi, capii che la cosa migliore era comprare dei top con la schiena scoperta, almeno sarebbero durati per un paio di uscite.
Per quanto riguardava l'alimentazione invece, avevo fatto progressi, non mangiavo molto, salvo dopo una trasformazione completa che, puntualmente, mi stancava molto e richiedeva riposo e un pasto decente ma soprattutto abbondante. All’inizio facevo la spesa in un piccolo negozio gestito da una donna sulla cinquantina, così piccolo che le persone dovevano alternarsi per entrare, ma a me andava benissimo così, non aveva telecamere e vendeva un po' di frutta, pane e qualche dolciume, ci andavo abbastanza spesso, all'incirca ogni tre giorni, ma dopo circa due mesi, la proprietaria mi chiese, prima di pagare, “oggi niente mele?” alzai la testa di scatto e la guardai corrugando la fronte, ricordava cosa compravo? Era vero, la mia spesa non era tanto varia e ogni volta acquistavo delle mele, ma d'altronde non è che il suo negozio fornisse questa grande varietà di prodotti. La sera prima mi ero trasformata e avevo dato fondo a tutte le scorte di schifezze che avevo al garage, perciò, anche se ero stata lì solo il giorno prima, dovevo assolutamente rifornirmi; di solito tenevo da parte almeno qualche tavoletta di cioccolato, rigorosamente al latte, biscotti e patatine, non era salutare abbuffarmi di quelle schifezze, ma avevo bisogno di un sacco di energie dopo e, siccome non avevo una cucina, non potevo cucinarmi un bel piatto di pasta. Perciò smisi di andare in quel negozio per circa un mese, nella speranza che la signora si dimenticasse di me.
Il controllo della rabbia andava molto bene, quindi potevo dirmi davvero soddisfatta.
Il controllo delle emozioni invece no, ancora non riuscivo a pensare alla mia vecchia vita, tanto meno ascoltare musica, non ero pronta per il perdono, ma soprattutto in quel periodo di festa sentivo sempre più la mancanza di una famiglia. Della mia famiglia. Non riuscivo a perdonargli quello che avevano fatto, però ero stata davvero felice con loro.
Quel Natale decisi di farmi un regalo, avevo rubato circa mille dollari il giorno prima ad uno strozzino che aveva minacciato di morte un negoziante in città. Avevo una specie di radar per le persone malvagie, riuscivo a individuarle subito.
Ero ancora in giro, quando un'insegna rossa attirò la mia attenzione. Rimasi a fissare la scritta lampeggiante per cinque minuti buoni, non sapevo perché, ma non riuscivo a decidere se fosse una pessima idea o un bellissimo regalo.
Decisi per la seconda opzione ed entrai, per prima cosa notai la ragazza al bancone con i capelli fucsia rasati e le orecchie piene di piercing, vestita in stile dark, tutta pelle e spuntoni.
«Ciao, vuoi fare un tatuaggio o un piercing?» mi chiese con entusiasmo.
La guardai e risposi subito.
«Tatuaggio»
«Vieni allora, ti faccio vedere i cataloghi.»
La vidi sparire sotto il bancone e risalire con almeno dieci raccoglitori strapieni di fogli.
«Hai già in mente cosa?»
«Non saprei…» dissi sovrappensiero guardando confusa la mole di raccoglitori che avevo davanti.
«Ok, ti aiuto io. Andiamo per esclusione d'accordo?» La ragazza sembrava preparata. «Io ti elenco le categorie e tu mi dici sì o no. Cominciamo… Disegno o scritta?»
«Scritta» dissi di getto.
Sì, volevo scrivermi qualcosa, non il mio nome ovviamente, sapevo già come mi chiamavo, non avevo bisogno di tatuarmelo.
«Oookay. Tipo cosa? Un modo di dire? Un nome di una persona? Iniziale? Segno zodiacale? Ora vanno molto di moda quelli cinesi sai?»
Stavo sfogliando uno dei raccoglitori quando i miei occhi si posarono su una foto, e allora ebbi l'illuminazione. «Ti piacciono le scritte latine? Questa significa cogli l'attimo» mi spiegò subito, sapevo benissimo il significato di 'carpe diem', mi era sempre piaciuto il latino e una frase mi era rimasta impressa nella mente molti anni prima.
«Sì, voglio farmi una scritta latina con questo carattere» dissi chiudendo il raccoglitore.
«Va bene, ora devi decidere dove. Uhm, hai un gran bel fisico quindi andrebbe bene praticamente ovunque per te, noi sconsigliamo alle donne di tatuarsi la pancia o le cosce, sai con la gravidanza si ingrossano parecchio e poi il disegno si sforma.»
Quell'accenno sulla gravidanza fece peggiorare subito il mio umore, perciò mi affrettai a dirle.
«Niente pancia, deve essere un punto che guardo sempre. Credo i polsi vadano bene.» Alzai la mano sinistra. «Sì, polso sinistro, dalla base del polso fino alla nocca del dito medio.»
Vedendo la mia decisione repentina lei spalancò gli occhi e disse.
«Oookay, vedo che hai deciso.» Prese l'agenda e iniziò a sfogliarla «Allora… posso inserirti tra quattro settimane… Ti va bene la terza settimana di gennaio?»
La guardai corrugando la fronte.
Quattro settimane? Io lo volevo quella sera stessa.
«No scusami, io voglio farlo adesso.»
Lei mi guardò come se fossi impazzita.
«Adesso? Ma non posso inserirti adesso. Vin mi ucciderebbe!»
«Beh, dì al tuo Vin che gli darò il doppio se me lo fa adesso.»
Non avevo intenzione di cedere. Avevo deciso e lo volevo in quel momento, sarei andata altrove se necessario.
«Aspetta qui.»
Sparì dietro una tenda rossa mentre io mi guardavo intorno, l'ambiente era pieno di teschi, candele e quadri strani.
Sbirciai le foto dei tatuaggi che aveva fatto, ce ne erano moltissime appese al muro, proprio dietro il bancone. Notai una predominanza di draghi e fiori giapponesi, scritte orientali, teschi, scheletri, vidi anche un schiena con un paio d’ali talmente grandi da occuparne tutto lo spazio. Erano bellissime, ma io avevo già le mie.
«Vieni!» La sentì urlare.
Scostai la tenda e mi trovai in un'altra stanza, con una poltrona al centro e un lettino di plastica. Quello che dedussi era Vin, stava seduto di spalle su un sedile rotondo girevole. Si voltò e mi fissò trattenendo il respiro, lui era il classico palestrato, con i capelli rasati ed era, ovviamente, ricoperto di tatuaggi, aveva anche numerosi piercing sparsi sul corpo, attraverso la maglietta attillatissima si distinguevano benissimo i due ai capezzoli.
Quella sera ero andata in un locale perché avevo un disperato bisogno di Martini e non avendo un frigo, non potevo comprare la bottiglia e portarlo al garage, così ogni tanto mi fermavo in qualche bar a bere qualche bicchiere, quella sera era Natale però e nessun bar sarebbe stato aperto, in compenso c’erano molti locali in cui i ragazzi andavano a festeggiare la vigilia ballando e ubriacandosi. Perciò, strano a dirsi, ma per passare inosservata mi ero messa in ghingheri, avevo un jeans nero attillato, stivali al ginocchio, maglietta nera e un giubbotto di pelle che in pratica mi copriva solo le spalle, aveva solo due ciappe che si abbottonavano sotto il seno, lasciandomi tutta la pancia e la schiena scoperti. Mi ammirò per un attimo, ma poi riacquistò subito la sua professionalità, cosa che apprezzai molto.
«Accomandati.» Mi disse indicandomi la poltrona di fronte a lui. «Cosa vuoi scriverti?»
«Panta Rei, p grande r grande, tutto in nero con calligrafia antica ma decisa.»
Distesi il braccio sinistro davanti a lui e quando appoggiò la macchinetta sul polso sentii la pelle formicolare e pungere, non era un vero e proprio dolore, era quasi piacevole, come un massaggio un po' estremo.
«Sei di queste parti?» mi chiese.
«No.» Risposi mentre guardavo interessata.
«È il primo che fai?»
«Sì.»
Lui alzò un attimo la testa per incrociare i miei occhi, probabilmente pensava rispondessi a monosillabi perché tremavo di dolore, oppure per la tensione. Non poteva di certo immaginare che stesse parlando con un essere leggendario che non aveva la minima intenzione di fare conversazione.
Chissà, forse quegli anni lontano dalla civiltà mi avevano fatto dimenticare le buone maniere, perché non trovai nessuna buona ragione nella mia testa per simulare un minimo di interesse per la conversazione.
Lui se ne accorse perché non mi fece più domande, ma si limitò a lavorare in silenzio.
Quando alzai il braccio, ero assolutamente soddisfatta del risultato.
«È venuto davvero bene e poi hai perso pochissimo sangue. La tua pelle è perfetta per i tatuaggi» mi disse sorridendo.
Ammirai la scritta scura in netto contrasto con la mia pelle chiara.
«Ci rivediamo per il prossimo?» Mi disse quando gli porsi i soldi.
Guardai di nuovo la mia mano sinistra e risposi.
«Contaci.»
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Marco Frullanti –
“Sono lieta di dire che con questo secondo capitolo della saga, Valentina Marcone ha fatto di nuovo centro.
Ritornano tre affascinanti vampiri, i fratelli Sincore, e i personaggi che hanno popolato il primo libro, ma questa volta la protagonista assoluta è lei, Deva, una semplice ragazza all’inizio del suo cammino di Furia.”
Recensione su “Nel Cerchio del tempo”
Marco “Frullo” Frullanti –
“Mi è piaciuto vedere Deva alle prese con la vita vera, fuori dal guscio creato dai tre vampiri che l’hanno cresciuta. La sua evoluzione è straordinaria diventa una soldatessa ed estremamente sicura di sé; la sua maturazione mi piace.”
Recensione su “Peccati di Penna”!
Marco “Frullo” Frullanti –
“La Stella dell’Eire è un libro che consiglio a tutti, perché è scritto bene, coinvolge con una storia ben congegnata e per nulla banale e perché l’autrice ci ha regalato un distillato di emozioni!
Ma quando arriva il seguito?”
Recensione su “Le Recensioni della Libraia”
Marco Frullanti –
“Mi ha coinvolta completamente senza lasciarmi staccare gli occhi dalla pagine. Credo che il merito principale vada dato ai personaggi e alla loro caratterizzazione ed in particolare alla cura con cui Valentina ci propone la protagonista Deva, arriviamo a conoscere Deva talmente a fondo che alla fine sembra un po’ una nostra cara amica.”
Recensione su “Chiacchiere Letterarie
Marco “Frullo” Frullanti –
“Una lettura spensierata, fresca, emotiva, arricchita da sporadici scontri avvincenti e adrenalinici.
Un libro che si divora in poco tempo, una saga che ha ancora molto con cui stupirci, una storia di cui non vedo l’ora di conoscere la fine.
Un’opera perfetta per gli appassionati dei fantasy all’aroma dolce dell’amore.”
Recensione su “Toglietemi tutto ma non i miei libri”!
Marco “Frullo” Frullanti –
“Il libro mi è piaciuto, mi ha presa molto. Quando leggevo avrei potuto continuare per ore.
Ho amato la storia d’amore; sdolcinata, si, ma non in modo eccessivo.”
Recensione su Dreaming Wonderland
Marco “Frullo” Frullanti –
La vena umoristica e briosa era presente già nel primo libro e la ritroviamo anche qui; le tinte più dark e paranormal ci sono un po’ all’inizio e poi dalla seconda metà del romanzo, che si legge sempre con molta scorrevolezza.
Non posso che consigliarvi la lettura di entrambi i romanzi di Valentina Marcone”
Recensione su “Chicchi di Pensieri
Marco “Frullo” Frullanti –
Da Ophelia su Amazon: Valentina Marcone prosegue bene quel che aveva iniziato, proponendo un seguito azzeccato e soprattutto sensato.
La lettura è piacevole e divertente, a tratti ricca di sensualità, non manca l’azione – anche se poca, per i miei gusti – e anche se il finale non è “col botto”, comunque mi fa aspettare impaziente il prossimo romanzo, sperando che stavolta tutto sia dedicato alla Furia che è in Deva. In ogni caso, un seguito bello e convincente, scritto bene e scorrevole adatto a chi ama il genere fantasy.