Estratto |
Un Estratto dal libro
Capitolo 1
Aprendo gli occhi, la prima cosa che Alex vide fu il soffitto bianco della sua camera da letto. Non aveva nulla di interessante, ma si fermò a studiarlo cercando di capire cosa gli stesse nascondendo. I soffitti nascondono spesso più segreti dei comuni armadi; ma nessuno lo sa quindi nessuno li esamina, motivo per cui gli amanti più allenati vi osservano dai lampadari mentre frugate nei cassettoni della biancheria in cerca delle corna.
Ancora in uno stato di dormiveglia cercò di muoversi senza troppo entusiasmo, disturbato dai raggi del sole che filtravano attraverso la finestra inondando la stanza di quella stupida luce che disturbava il suo riposo. Dopo qualche inutile strattone accettò la resa del suo braccio contro l’infame lenzuolo, rimboccato con evidente malvagità per impedirgli qualsiasi movimento, e riprese a fissare il soffitto cercando di mettere a fuoco la macchia di muffa nell’angolo della parete. La confusione che regnava nella sua testa si attenuò col passare dei minuti, permettendogli di riconoscere l’imponente armadio di fronte a sé: insieme alla macchia di muffa era uno dei pochi arredi che aveva deciso di tenere una volta finite le guerre di convivenza.
Nonostante il silenzio che lo avvolgeva tentandolo fortemente, decise di raccogliere tutto il coraggio e la forza di volontà che gli restavano e provare ad alzarsi, stavolta vincendo la resistenza del tessuto. Con un gran scricchiolio d’ossa e di muscoli che non volevano saperne di stendersi, Alex riuscì a mettersi seduto sentendo il tappeto ruvido sotto la pianta del piede. L’aveva comprato insieme all’ex fidanzata, con la quale aveva convissuto fino a qualche mese prima, durante un viaggio all’estero. Pur non piacendo nemmeno ai daltonici lei lo amava e sapere di aver costretto la stronza a rinunciarci gli dava in un diabolico piacere, motivo per cui sentire il fastidioso e leggermente urticante formicolio delle setole sotto i piedi gli dava ogni mattina la stessa irritante, subconscia soddisfazione.
“Strano” pensò, tenendo la testa tra le mani e appoggiandosi sulle ginocchia con i gomiti “Starò dormendo da ore, e bene anche. Era da un po’ che non ci riuscivo”. Gli bastò dare un’occhiata alle dita dei piedi che inconsciamente grattavano il tappeto perché una scintilla innescasse una serie di ragionamenti che lo fecero schizzare in piedi in modo scomposto, facendolo ribaltare dal letto e schiantando a terra la flebo che era collegata al suo braccio.
«Oh mio dio! Ma come cazzo…?!» esclamò sconvolto, cercando di sfilare l’ago che usciva dalla sua pelle senza nemmeno tentare di completare la frase. Appena ci riuscì si rese conto di avere la bocca completamente impastata e gettato l’ago si mise seduto appoggiandosi al bordo del letto, ancora confuso. Adesso ricordava di essersi addormentato la sera prima, appena la morfina aveva avuto la compiacenza di nascondere momentaneamente i suoi dolori. Ma ora nulla, stava bene. Non sentiva nemmeno male al braccio, dove l’ago era piantato fino a poco prima. Si alzò barcollando dirigendosi verso il cellulare, in carica e appoggiato con cura sul comodino dall’altra parte del letto, stupito di esserne in grado. Cercò tra le chiamate recenti il numero di casa del suo partner, per urlargli la novità.
«Pronto?» rispose una voce flebile.
«Non puoi capire Tom! Cazzo, cammino! Non mi fa male la schiena, il ginocchio, neanche un mignolo del piede!» esordì senza riprendere fiato, realizzando solo in quel momento la sua totale salute fisica «Mi sento rinato. Mi sento da dio»
Seguì un secondo di silenzio prima che la voce all’altro capo del telefono rispondesse.
«Alex, sei tu?» chiese la voce femminile «cosa vuol dire che cammini?»
Alex tacque e in un istante i ricordi presero il sopravvento nei suoi occhi.
Senza la morfina a intontirlo riusciva a vedere perfettamente le pareti nere, le fiamme e il fumo. Ricordava lui e il suo partner, Tommaso Aldini o semplicemente Tom come gli ripeteva sempre, in fuga da una vecchia casa che si era rivelata una trappola mortale. Le scale in legno erano state le prime a cedere, impedendogli di tornare al piano terra ed uscire senza danni. Ricordava l’attesa, la paura e la corsa verso l’unica finestra ancora visibile dove i compagni li avrebbero tratti in salvo con una scala in arrivo. Poi quel cedimento proprio sopra il partner, proprio mentre l’ennesima fiammata troppo vicina faceva crollare, per chissà quale motivo, il vecchio pavimento sotto i suoi piedi costringendolo ad un salto della fede fuori dalla finestra del secondo piano, atterrando su di un cemento che accolse con indifferenza il corpo di un uomo più morto che vivo.
Si era risvegliato due giorni dopo a casa sua, con una flebo di morfina nel braccio e una sedia a rotelle di fianco. La caduta gli aveva rotto il bacino e parte della spina dorsale rendendolo paralizzato dalla vita in giù, con dolori tali da impedirgli di dormire. Solo la morfina gli concedeva qualche ora di sonno, ma sempre senza riposo. Era condannato per il resto della sua vita.
«…morto. Mi senti? Tom è morto» scandì la ragazza «Te lo ricordi? Il dottore non aveva parlato di vuoti di memoria, l’ultima volta»
«Sì» la interruppe lui «Sì, è vero. Scusami»
La voce della ragazza, più fredda del solito, lo distolse da quello spiacevole senso di colpa.
«Ma cosa vuol dire che cammini?» incalzò lei, sperando non avesse tentato qualche sciocchezza per rimettersi in piedi nonostante le indicazioni del medico.
«Non lo so esattamente. Mi sono svegliato stamattina e camminavo, non ho più dolori anche senza la morfina e… Non so, riesco a stare in piedi senza problemi»
Così dicendo iniziò a ondeggiare lievemente, spostando il peso da una gamba all’altra come a voler provare il punto. Smise di farlo non appena realizzò che nessuno poteva vederlo.
«Chiama il tuo medico o l’ospedale, fatti mandare qualcuno a visitarti. Ma com’è successo? Vuoi che venga lì? Sono giorni che te lo chiedo»
Alex non aveva voluto vedere nessuno da quando aveva perso l’uso delle gambe, chiudendosi in un dignitoso silenzio. Avrebbe di gran lunga preferito morire in quell’incendio o uccidersi ora ma nell’infuocata educazione cristiana ricevuta, di cui era rimasta solo una debole ma significativa scintilla, il suicidio non era contemplato. Non con metà corpo funzionante, almeno.
«No, semmai sento l’ospedale dopo. Ti chiamo appena scopro qualcosa, d’accordo?»
«Ok, a dopo. Mi raccomando. Ciao» concluse l’amica, senza riuscire a nascondere una punta di apprensione nella voce.
Con un sospiro Alex chiuse la chiamata e rimise il telefono al suo posto. La foto dei due fratelli sul contatto era una delle poche che avesse mai avuto di Tom. Se proprio doveva accadere un miracolo quel mattino, sperava fosse accaduto a lui. Rimuginando sulla scomparsa dell’amico si diresse in cucina trascinandosi dietro il cellulare e meccanicamente accese il fornello per prepararsi il caffè.
Da buon italiano c’erano poche cose a cui non avrebbe mai rinunciato: il caffè e la pizza erano tra queste. Anche alle gambe teneva parecchio, ma non ci aveva mai riflettuto molto prima. Mentre cercava nella credenza il barattolo del caffè accese la tv, di cui si era quasi dimenticato negli ultimi giorni, per vedere se ci fosse qualche notizia interessante e aggiornarsi sul mondo. Stava chiudendo la vecchia moka quando il televisore diede i primi segni di vita, stabilizzandosi sul tg e rivelando la seconda sorpresa della giornata: a condurre il telegiornale sul canale nazionale non era più il solito, antipatico uomo di mezz’età con capelli brizzolati e tipico difetto di pronuncia; bensì il suo vicino di casa Pier Maria Bettini.
Pier Maria Bettini era quello che alla società odierna sarebbe apparso come un vicino di casa esemplare, laborioso e socievole sebbene poco sveglio. Lo si poteva vedere spesso intento in vari lavori di bricolage, o presunti tali, nel giardino antistante casa: il caso volle che la sua abilità di falegnameria andasse di pari passo con il suo carisma di annunciatore, tale da consentirgli un impiego di rilievo nella vendita di pentole e box doccia in vera finta ceramica su canali come TeleVideoToscana5. Più volte Bettini aveva tentato di attaccare bottone con Alex invitandolo a grigliate di quartiere e altri inquietanti eventi mondani, ma il sesto senso del pompiere lo aveva cautamente tenuto a distanza da tutto ciò limitando i rapporti a cordiali sorrisi e passo veloce.
Quando lo vide sullo schermo la bocca di Alex si spalancò in maniera tanto ridicola che la richiuse non appena se ne accorse, mentre l’audio trasmetteva notizie che sminuivano molto l’apparizione in tv del vicino.
– A livello statale, le autorità stanno cercando di fornire una risposta a quella che ormai tutti chiamano “La Notte dei Desideri”. Nonostante non vi siano ancora notizie o fonti attendibili di quanto accaduto, durante le passate dodici ore si è riscontrato una discreta varietà di eventi inspiegabili, quali l’apparizione di quello che sembrerebbe il leggendario continente di Atlantide al largo delle coste del Marocco e l'improvvisa scomparsa della popolazione cinese dalla faccia della Terra.
Chi cerca risposte concrete si focalizza sulla sempreverde teoria di un complotto da parte delle case farmaceutiche per test chimici e genetici, orchestrato nell'ombra degli ultimi anni con l’ausilio economico di sette segrete. Soprattutto nei centri urbani più popolati sono stati rilevati episodi di natura paranormale, apparentemente inspiegabili e relativamente connessi a credenze di natura mistica.
Tutti gli eventi sembrano essere legati a desideri espressi durante questa Notte, ma nessuno è in grado di spiegare come mai solo alcuni di questi siano stati esauditi, né chi sia l’artefice di questo evento. Abbiamo in collegamento da Napoli un esperto occultista che ci… –
Il borbottio della caffettiera riportò Alex alla realtà, se ancora così la si poteva chiamare. Spense il fornello dimenticandosi immediatamente del caffè e si chiese se non fosse soltanto un'elaborata trovata pubblicitaria o un pesce d’aprile fuori stagione, magari organizzato da qualche compagnia per fare notizia.
«No, è ovvio. Dubito sia venuto qualcuno nottetempo a ripararmi le gambe per scherzo» commentò ad alta voce, rabbrividendo nel sentire l’eco cristallino della cucina. L’intera faccenda restava comunque terribilmente irrealistica, facendogli considerare per un momento l’ipotesi di sogno lucido che aveva letto su internet qualche tempo prima.
Si sedette sul bordo di marmo della cucina cercando di evitare le domande filosofiche per il momento, tanto c’era il mondo intero a cercare risposte. A parte i cinesi.
Riprese ad ascoltare la televisione mentre versava il caffè in una tazzina di vetro.
– Le forze dell'ordine sono in uno stato febbricitante, cercando di evitare che il Paese venga sopraffatto dalla situazione. Si riscontrano episodi di violenza di intensità crescente all’interno delle grandi città italiane, soprattutto nei luoghi di aggregazione. La polizia e l'esercito stanno eseguendo controlli capillari per evitare rivolte massicce e crimini nell'impeto della situazione.
I maggiori ospedali sono in blackout lavorativo a causa dell'eccessivo numero di pazienti che hanno riportato ferite durante la Notte. Nel caso vi troviate in difficoltà vi invitiamo a non perdere la calma e a non affollare gli ospedali se non in caso di estremo bisogno, altrimenti suggeriamo di rivolgervi immediatamente al vostro medico di fiducia o chiunque conosciate con adeguate abilità mediche.
Le autorità invitano a presentarsi al Commando di polizia o dei carabinieri più vicino qualora abbiate visto o siate stati voi stessi involontari fautori di eventi, in caso contrario consigliano di svolgere le mansioni in modo ordinario così da aiutare a mantenere l’ordine pubblico.
Tornando agli aggiornamenti, mi comunicano ora dalla regia che l'ONU si sta riunendo ora in una seduta straordinaria. Due terzi dei Paesi hanno confermato la propria adesione, e solo per l'occasione sarà concesso alla Palestina di partecipare attivamente a causa delle tregue di guerra trattate all’inizio dell’edizione. Nello stesso spirito il Taiwan, che aveva lasciato il suo posto alla Repubblica Popolare Cinese, verrà riammesso. L'ordine del giorno rimane la protezione dei civili non colpiti dalla Notte, ma la domanda che tutti si fanno è: cos'è successo e come? Ma soprattutto, potrebbe accadere ancora? –
“Sembra che l’idiota sia passato dal canale 87 al primo nazionale in una notte. Comincio a credere che il suo desiderio non fosse la pace nel mondo” osservò sottilmente Alex, stavolta evitando di pronunciare i propri pensieri.
Mentre ragionava sui meriti del nuovo conduttore abbassò gli occhi sul caffè, che era tanto dentro la tazzina quanto sul suo dito ora rosso e coperto di piccole bolle da ustione. Lasciò immediatamente cadere tutto sul pavimento piastrellato, caffettiera compresa, senza rendersi conto di averlo fatto meccanicamente e non per il dolore dell’ustione. Si guardò le dita ferite rigirandole lentamente: erano sicuramente da curare e bendare, ma del dolore nessuna traccia.
“Eppure” pensò raccogliendo i cocci da terra “la morfina dovrebbe aver finito di fare effetto. Almeno credo… voglio dire, non ho più quella sensazione ovattata nella testa”. Ripulì la macchia da terra fissando di tanto in tanto la bruciatura sulle nocche, che mise sotto il getto d’acqua fredda del lavandino cercando di ricordare dove avesse lasciato il kit da pronto soccorso.
“L’unico pompiere che non è in grado di curarsi un’ustione da solo. Notevole” pensò deridendosi, mentre con la mano sana agguantava il telefono appoggiato sul ripiano di marmo che vibrando rischiava di scivolare nel lavello.
«Becca, sei tu?» chiese asciugandosi le dita cercando di non danneggiarle ulteriormente.
«Temo che non ti serva un dottore» esordì la ragazza con voce tremante, rivelando una forte tensione «Hai visto il telegiornale?»
La televisione era ancora accesa nella cucina e immagini da tutto il mondo passavano davanti allo schermo.
«Sì, a quanto pare il mio vicino, il Bettini, ha fatto carriera in fretta; ma devo ancora capire se crederci o no. È sicuramente improbabile che sia tutto merito suo, ma l’ipotesi dei desideri è ancora più insensata dei tuoi film con gli zombie»
Ci fu qualche istante di completo silenzio, seguito dalla voce di Becca.
«Già… Peccato che non c’entrino nulla, ma mettiamo che sia tutto vero»
«Che siano risorti gli zombie?» chiese lui ridacchiando.
«Che ca…ma sei scemo? Che sia davvero successa la storia della Notte, dei mezzi miracoli e le altre robe assurde. Tu hai visto qualcosa di strano stanotte? Magari ti è apparso qualcosa, qualcuno, qualche suono particolare…»
«Non mi sembra, ma non ricordo molto; ero ancora intontito dalla morfina. D’accordo che i giornalisti la chiamano la Notte dei Desideri, ma non ti sembra esagerato? Andiamo, magari non…»
«Senti, a te è capitato» lo interruppe bruscamente lei «quindi qualcosa è successo per forza. Cerca di riflettere, avrai visto qualcosa! Gli alieni, Babbo Natale, la Madonna o qualsiasi altra cosa!»
Alex cercò di elucubrare qualcosa, ma sapeva benissimo che l’unico pensiero che lo angosciava da almeno una settimana, dal giorno dell’incidente, era sempre lo stesso. Cercò di scacciarlo per vanificare i sensi di colpa e si sforzò di spiegare.
«Non sono sicuro al cento per cento. Credo di aver desiderato di guarire o di morire a un certo punto, ormai era uguale. Sai, il dolore e tutto il resto. Ma non ricordo esattamente, te l’ho detto»
Tolse l’asciugamano dalle dita, cercando di fasciarle con fazzoletti di carta.
«Tra l’altro» continuò reggendo il cellulare con la spalla «mi sono appena rovesciato del caffè sulle dita ustionandomi e non me ne sono neanche accorto. Le ho notate solo abbassando lo sguardo ma era come guardare il corpo di un altro, riuscivo a muoverle perfettamente senza sentire dolore. Non saprei bene come spiegare la sensazione»
Solo in quel momento si accorse che un livido violaceo troneggiava sul braccio destro quasi nell’incavo del gomito, esattamente dove era stato infilato l’ago che doveva aver rotto qualche capillare durante la caduta dal letto. Lo fissò accuratamente, finché non si accorse che dal telefono usciva solo silenzio.
«Tutto bene? sei collassata per lo shock?» chiese incuriosito da quella mancanza di reazioni, data l’ansia che l’amica mostrava fino a poco prima.
«Io…non lo so»
Anche non potendola vedere, sentiva la voce spezzata dalle lacrime.
«Dalla sera dell’incidente in cui Tom è morto non faccio altro che pensare a lui, lo sogno vivo e con me» s’interruppe per calmare la voce e lasciò Alex in attesa a rimuginare sui propri pensieri. Ora capiva le paure della ragazza: se il suo desiderio fosse stato esaudito, rischiava di aver resuscitato il fratello. Forse ora si trovava sepolto sotto vari metri di terreno, parzialmente carbonizzato e condannato a morire di asfissia. Un mostro nascosto nelle viscere della terra, solo e terrorizzato. Sperava tanto che Becca non avesse notato la battuta sugli zombie di poco prima.
Si sarebbe preso a schiaffi, ma ormai era certo che non avrebbe sentito niente.
«Non sono ancora andato a trovarlo, dal giorno del funerale. Ero in ospedale e non mi facevano uscire, e quando mi hanno dimesso… non riuscivo comunque ad alzarmi» ammise Alex colpevole.
Nel farlo abbassò gli occhi sulle gambe, rigide e muscolose come non gli fosse mai successo nulla. Per un momento si chiese se fosse stato solo quello a impedirgli di varcare la soglia di casa e percorrere quella strada che lo avrebbe portato, inevitabilmente, a scontrarsi con la realtà.
Ora come ora, non desiderava davvero mettere alla prova il miracolo che gli era capitato, temendo che tutto sarebbe potuto svanire anche solo uscendo dalla porta di casa. Ma porre il bene altrui davanti al proprio era parte del suo lavoro, oltre che della sua indole, e non se la sentiva di abbandonare Becca in balia di sé stessa.
«Non ti preoccupare, ora posso fare tutto. E posso essere da te tra un quarto d’ora»
Un sussurro di assenso usci dal telefono e tanto bastò ad Alex per buttarsi sotto la doccia, preparandosi a raggiungerla.
Capitolo 2
«Accidenti a quell’imbecille! Ti rendi conto del casino che può saltar fuori? Sei il suo superiore, è tuo dovere tenerlo sotto controllo! E non è certo la prima volta, brutto idiota!»
Queste e molte altre urla si sentirono echeggiare nel corridoio pieno di uffici del dodicesimo piano della torre Allistar, filiale di una compagnia internazionale di assicurazioni, nonostante la porta dell’ufficio del Direttore fosse perfettamente e inutilmente chiusa. Chiunque si trovasse su quel piano e fosse dotato anche di un solo orecchio poteva distinguere l’intera conversazione senza sforzi; mentre i pochi impiegati sordi si erano accorti dell’evento tramite le vibrazioni nelle tazze di caffè, tipiche del T-Rex intento a sbranare la preda.
«Se non sei nemmeno in grado di gestire un impiegato forse dovrei licenziare te, non lui! Anzi, tutti e due!»
Un poderoso pugno su una scrivania sembrò concludere la conversazione all’interno della stanza, abbattendo il morale del povero impiegato.
Dante stava passeggiando lentamente nel corridoio quasi vuoto davanti all’ufficio, guardando distrattamente dalla grande vetrata il Giardino della Gherardesca su cui dava il nuovo e imponente palazzo mentre il suo capoufficio veniva strigliato per l’ennesimo errore commesso. Da Dante.
Considerava il lavoro all’assicurazione solo come un ripiego in attesa di tempi più rosei in cui i suoi innumerevoli talenti sarebbero stati messi in luce; ma erano ormai diversi anni che attendeva invano, tirando a fare lo stretto indispensabile per sopravvivere in azienda. Il suo lavoro consisteva semplicemente nel far sottoscrivere assicurazioni alle persone, cosa che gli riusciva anche discretamente grazie ad una parlantina affabulatrice con la quale circuiva ogni possibile acquirente, mandandolo in confusione e costringendolo a firmare. Anche solo per evitare un mal di testa.
Uno dei pochi difetti che si permetteva di avere era un gigantesco ego; così invadente nella sua personalità che spesso si ritrovava costretto a far le scale mentre l’ego prendeva l’ascensore, anche se c’era posto per due. Gli piaceva viaggiare comodo.
Questi piccoli vezzi erano perfettamente giustificati dalla considerazione che aveva di sé: si sentiva un artista, con talenti più o meno in ogni campo e in ogni campo incompreso. Non che avesse alcuna abilità particolare in qualche ambito, si sentiva semplicemente un artista con la A maiuscola e un buon livello di vittimismo gli consentiva di giustificare ogni fallimento, attribuendo la colpa al caso, agli dei avversi o al Giovedì. Questa volta aveva cercato di “sedurre” una nuova collega, o presunta tale, incontrata casualmente nei corridoi dell’ufficio. Inutile dire che la donna non aveva gradito la velata avance e lo aveva fatto apertamente notare
“Come cazzo potevo pensare che quella frigida fosse la nuova direttrice? Ma porca troia, che sfiga. Lo avessi saputo prima, me la sarei lavorata per bene, almeno avrei dato un senso a star qua dentro, magari ci scappava anche una promozione. Invece mi è toccata l’ultima lesbica. Ma porca troia”
Mentre sottili bestemmie uscivano sussurrate dalla sua bocca, dalla porta dell’ufficio del capo uscì Zanini, pallido e accaldato allo stesso tempo, riverendo il Direttore con gesti di assenso e parole di ringraziamento. Appena ebbe chiuso la porta tirò un sospiro di sollievo. Sperava di avere qualche minuto prima di riprendersi, ma un fastidioso ticchettio sulla spalla lo riportò alla misogina e imbarazzante realtà, stavolta sotto forma di Dante. Cercando di non far scoppiare la giugulare che gli pulsava in gola, si voltò parandosi faccia a faccia con il sottoposto.
«Sei un idiota, è un miracolo che non ti abbiano licenziato molto tempo fa! Ringrazia il cielo dell’amicizia che legava tuo nonno e il Direttore, o non te la saresti mai cavata» sibilò il capoufficio sistemandosi la cravatta e tentando goffamente di assumere un’aria severa e dignitosa. Purtroppo Zanini era un pallido ometto di cinquant’anni, onesto e gran lavoratore che, nonostante il ruolo di comando guadagnato, tentava sempre di minimizzare gli errori dei suoi impiegati. Detto così non sembrano un elenco di difetti, ma lo diventano in fretta quando un brav’uomo si ritrova un pigro, viziato e nevrotico arrogante a minacciargli giornalmente la pensione.
«Ringrazia anche me già che ci sei. Non hai molte persone disposte a difenderti, lì dentro. Come ti è saltato in mente di molestare sessualmente una donna, specialmente qui in ufficio? Sessualmente!» chiese sbalordito indicando la porta dietro di sé, dove aveva appena lasciato la donna in questione e il Direttore ancora intento a calmarne gli animi.
“Forse, se avessi molestato te ora avrei quella promozione” pensò Dante, ridacchiando tra sé e sé dei dubbi che aveva sui gusti di letto del proprio capoufficio.
«Hai assolutamente ragione, non so a cosa pensavo» disse invece, assumendo un tono docile e contrito «Ma in mia difesa è stato Nanetti a cominciare con i commenti, io ci sono solo andato dietro e lei…»
«Ancora cerchi scuse? Ma con che coraggio?»
Mentre parlavano si stavano incamminando nel lungo corridoio, scansando diverse persone indaffarate che rischiavano di travolgerli con più risme di carta di quante ci si aspetterebbe in un’era di computer.
«Il mese scorso non hai consegnato in tempo nessun lavoro, quello precedente ti sei presentato in ufficio palesemente ubriaco almeno due volte e l’anno scorso hai dato fuoco ad un cestino della carta cercando di spegnere uno spinello. Non fare quella faccia!» urlò strozzando la voce in gola per non dare spettacolo «Chi credi ti abbia coperto anche quella volta? Per non parlare delle varie frecciatine e dei tuoi commenti sprezzanti, ogni giorno. Ma devo ammettere che oggi hai davvero superato te stesso. Dare una pacca sul sedere a una che neanche conosci… Neanche fossi una rockstar degli anni ‘80»
Entrando nell’ufficio di Dante, Zanini restò sulla porta con uno sguardo sconsolato mentre l’impiegato si dirigeva alla sua scrivania, approfittandone per serrare la mascella in una smorfia disgustata e mandare gli occhi al cielo, cercando di contenere il fastidio che provava per i commenti di un signor nessuno.
“Stai calmo” si disse Dante rilassando la bocca “è solo un imbecille, lascialo parlare così si sfoga e puoi tornare a cazzeggiare al computer”
«Dopo devo tornare dal Direttore, appena la direttrice di filiale sarà uscita, per capire come procedere. Per adesso non sembra voler sporgere denuncia, avendo visto il capo prendere la cosa molto seriamente, ma dubito riuscirai ad evitare una sospensione. Per il resto, sei in mano a Dio» concluse prima di richiudere la porta e andarsene, lasciando Dante solo a rimuginare su quello che aveva detto. Sperava sinceramente che il suo discorso avesse sortito qualche effetto in lui, e così era stato. Con pessimi risultati.
“Ma andate tutti a fanculo. Io in questo buco neanche dovrei esserci” pensò tronfio buttandosi sulla poltrona che si era portato da casa, ergonomicamente pensata per i videogiocatori più assidui, mentre spostando il mouse faceva ripartire il computer in stand-by davanti a sé.
“Se solo le cose fossero andate come dovevano ora sarei io il tuo capo, brutto idiota accondiscendente. Aspetta solo che mi capiti l’occasione e sarò io a liberarmi di te, senza sospensioni”
Le tende grigie e l’assenza di un colore diverso dal bianco sporco alle pareti non fecero che aumentare il suo malumore, mentre il desiderio di farla pagare a chiunque non gli mostrasse il dovuto rispetto gli causava continue ondate di acido allo stomaco. Indossò le cuffie e riprese la partita online interrotta, cercando di sfogare la rabbia. Non che funzionasse come metodo di sfogo, soprattutto considerando quanto facesse schifo nei giochi su pc.
Quando anni prima venne assunto nell’azienda, gli venne messo a disposizione uno psicologo come sostegno ai dipendenti. All’inizio aveva molto collaborativamente preso appuntamento, assicurando la presenza per poi disdire poche ore prima dell’incontro, adducendo motivi di salute. Infondati, data la spesa in alcolici che fece la sera stessa per seguire la diretta in streaming di un torneo di gioco strategico online, facendo pentire amaramente il Direttore della sua scelta. Questo infatti lo aveva assunto su richiesta del nonno di Dante, ora deceduto, cui era amico di lunga data. Dopo i problemi sorti all’università, i genitori di Dante gli avevano tagliato i fondi e lo avevano costretto a trovarsi un lavoro, ottenuto però solo grazie al nepotismo e, come di consueto, con pessimi risultati.
Assorto nel videogioco e nel suoi pensieri, Dante non si rese conto del tempo che passava.
“Immagina se sapesse tutte le altre cose che ho combinato” pensò sorridendo davanti allo schermo guizzante di colori, mentre costruiva pozzi per l’estrazione di gas atti alla produzione di nuovi armamenti “rischierei sicuramente il posto. Potrebbe perfino perdonarmi per quel che ho fatto alla sua scrivania, ma non per quello che ho fatto a sua nipote lì sopra. Bah, ma chissenefrega” concluse, perdendo l’ennesima partita contro lo stesso giocatore quindicenne coreano “tanto qui fa tutto schifo, non se ne salva nemmeno uno. Chissà come avranno gestito anche gli appalti, per questo posto. Dubito si possa legalmente costruire un palazzo del genere di fianco a giardini e monumenti storici”
«Non faresti meglio a lavorare? Potrebbe essere l’ultimo contratto che chiudi, ti rendi conto?»
La voce del capoufficio lo colse di sorpresa, come sempre quando si immergeva nel suo mondo virtuale. Non sentiva né vedeva niente intorno a sé, mentre ora percepiva distintamente uno sguardo di sprezzante sdegno addosso. Chiuse la schermata di gioco e aprì la prima pratica che trovò sul desktop, abbandonata alla rinfusa in mezzo alle altre, per dare una parvenza di operosità al suo computer. Erano passate almeno due ore e attraverso le finestre alle sue spalle si poteva vedere il sole calare sulla capitale toscana, in un rigido ma colorato autunno. Zanini si chiuse la porta alle spalle entrando nell’ufficio: Dante sapeva che in quell’ambiente porta chiusa significava privacy e la privacy era un chiaro segno di brutte notizie.
«Vogliono che ti prenda un paio di giorni di ferie, in modo da dare al Consiglio d’Amministrazione il tempo di decidere una sanzione adatta» disse Zanini senza preamboli, evidentemente costernato dalla situazione «fossi in te, comincerei ad aggiornare il curriculum»
Ad un occhio esterno sarebbe sembrata la soluzione più ovvia, soprattutto dati i numerosi richiami che l’impiegato aveva già alle spalle, ma chiaramente non lo era per Dante che la reputava l’ennesima vessazione ingiustamente subita per un problema insignificante. A differenza delle solite sanzioni però, questa comportava gravi conseguenze: il licenziamento avrebbe significato non poter più pagare l’affitto, le bollette e i sollazzamenti vari; oltre alla perdita di tempo per tentare di trovare un altro lavoro. Senza l’aiuto del nonno, stavolta. Il panico si avventò su di lui come un falco su un topolino.
«Cosa?! Volete licenziarmi per una sciocchezza del genere? Andrò da quella stronza e mi scuserò, caso chiuso!» esclamò come avesse appena risolto la faccenda senza vittime, ma lo sguardo di Zanini ben chiariva che stavolta non aveva la minima possibilità di aggiustare le cose.
«Hai idea di quanta gente ci sia qui che non fa niente? E tu cacci proprio me?» urlò alzandosi dalla sedia e sporgendosi sulla scrivania, cercando di apparire minaccioso.
Zanini lo squadrò incuriosito, come si osserva una bestia alla zoo di cui non si capisce il comportamento.
«Cos’è, sei di nuovo fatto? Non lavori mai, ti lamenti sempre e devo starti dietro di continuo per rimediare ai tuoi casini!»
«Sì, ma sono simpatico!» esclamò l’altro cercando di buttarla in ridere, così da calmare le acque e cercare una trattativa che salvasse il suo posto di lavoro.
«Dante, siamo seri. Nessuno ti vuole qui, ci sei solo perché il Direttore si sentiva in debito con tuo nonno. Io ho evitato che i tuoi casini emergessero troppo, ma stavolta non ho potuto fare niente»
Concluse il discorso con quelle parole che nessuno vorrebbe sentirsi dire, inequivocabili e definitive.
«Mi dispiace»
Nel sentire queste ultime parole, l’atteggiamento di Dante cambiò repentinamente. Teneva i pugni chiusi e appoggiati alla sua scrivania, la mascella serrata e gli occhi spalancati mentre la gamba destra batteva un ritmo incessante sul pavimento. Nella sua testa vinceva le discussioni chi, urlando o mostrando un atteggiamento violento, appariva più matto. Questa piccola messa in scena avrebbe potuto anche funzionare, se solo Dante non fosse stato un piccoletto privo di qualunque apparato muscolare non indispensabile a sistemarsi i capelli.
«Non mi volete?» sbraitò, chiudendo con uno scatto lo schermo del pc portatile.
«Bene, cazzo. Allora me ne vado a casa, che ho di meglio da fare!» e con un calciò lanciò la sedia contro il muro, facendola sbattere rumorosamente. Zanini sospirò, torcendosi le mani. Non per la patetica scena, ma perché odiava dover licenziare qualcuno. Aveva quasi pianto anche quando il Carletti li aveva lasciati, nonostante avesse 66 anni e partisse con un volo di sola andata per Acapulco. Carletti invece non aveva pianto per nulla e neanche Dante, che ne aveva preso il posto in azienda, era molto dispiaciuto.
«E che ci vai a fare, a casa? Non hai moglie, né amici, né un cane. Cosa fai, giochi ai videogiochi tutto il tempo?»
Lo sguardo furente di Dante, sbattuto di fronte a una realtà così cruda, lo costrinse a rielaborare il concetto.
«Voglio dire, non hai chissà che impegni o sei mosso da grandi passioni. Tanto varrebbe che ti impegnassi nel tuo lavoro, che in fondo non è male ed è ben pagato. Posso provare a parlare col capo anche se non credo avrà molto effetto, ma almeno per una raccomandazione potrei fare qualcosa»
C’era una nota di comprensione nella sua voce, ma Dante non colse altro che pietà.
«Ma fottiti, te e tutti gli altri! Chi ci vuol stare qui, me ne vado io cazzo» ripeté urlando tanto da appannare gli occhiali del povero Zanini, troppo vicino. Gli sputò in faccia tutto l’odio che covava, insieme ad un po’ di saliva.
«Tanto qui non riesco a far nulla di quello che vorrei, ed è solo colpa vostra! Sempre a dare ordini, sempre a criticare!» disse tornando dietro la scrivania e aprendo il pc per poter estrarre il disco di gioco, così da riprendere la partita comodamente da casa appena tornato e riponendolo nella borsa, che non era stata aperta se non per sfilarvi la custodia del videogame a inizio giornata.
«Guarda che non sei stato ancora licenziato» lo avvertì il capoufficio «e la giornata non è finita. Se te ne vai, non farai una bella impressione e nella tua posizione è davvero l’ultima cosa da fare»
«Fanculo il consiglio, siete solo squallidi assicuratori. Che futuro ho se resto qui? Tanto vale che cerchi una bara più comoda, se ci devo morire dentro!» e con una spallata scansò il collega uscendo in corridoio, diretto verso l’ascensore. Destreggiandosi tra i mormorii dei colleghi, che si affacciavano dai vari uffici avendo sentito parte del trambusto e aspettandosi il tipico show a cui Dante li aveva abituati, Zanini lo seguì passo per passo continuando a parlare.
«Non è solo quello» proseguì mentre l’iracondo collega premeva il pulsante di prenotazione dell’ascensore «Devi capire che il tuo licenziamento è legato ad una possibile denuncia. Quando ti chiameranno per rientrare, vedi di presentarti o rischi che il capo e la direttrice di filiale cambino idea e decidano di agire per vie legali» concluse mentre un jingle di poche note annunciava l’arrivo dell’ascensore al piano.
«Ah-ha. Certo, torno sicuro. Non preoccuparti, sai quanto ami questo posto» rispose Dante sarcastico, entrando in ascensore senza neanche voltarsi mentre le porte di metallo si richiudevano alle sue spalle.
Nato e cresciuto come viziatissimo figlio unico, non solo Dante non era abituato a impegnarsi per ottenere qualcosa ma non aveva nemmeno mai imparato a controllarsi davanti a brutte notizie ed a reagire con positività; così si mise a battere i piedi a terra fregandosene di dove si trovasse, tanto da far traballare pericolosamente l’ascensore.
Il quadretto era completato da una cornice di sonore bestemmie.
“Ma sì cadi, cadi così muoio e almeno la smettiamo con questa farsa! Non è possibile perdere tempo così, dio santo non è possibile!” pensò mentre i numeri dei piani lampeggiavano uno dopo l’altro, calando velocemente. “Sempre e solo critiche, mai un apprezzamento! Dovreste pagarla tutti, cazzo. Dal primo all’ultimo”
Uscì dall’ascensore attraversando il grande atrio semideserto, dove dal banco della reception si sporse la guardia di sicurezza che lo salutò cordialmente. Dante lo guardò di traverso senza rispondere al saluto, dirigendosi con passo deciso verso l’uscita.
“Lo so che lo fai apposta” rimuginò seccato “mi vedi incazzato e lo fai apposta per darmi fastidio. Che stronzo, l’ennesimo stronzo in un palazzo di stronzi!”
Le porte scorrevoli in vetro si aprirono lasciando che il vento autunnale lo investisse, scompigliando il ciuffo scuro che gli ricadeva sulla fronte. Invece di attraversare la strada e riprendere l’auto lasciata sul viale, si diresse verso il giardino della Gherardesca, andandosi a sedere sui gradini di un tempietto neoclassico da cui poteva leggere l’enorme scritta che troneggiava in cima all’edificio: Allistar Assicurazioni – Un’esplosione di sicurezza.
“Come vorrei farvi esplodere tutti io”
E fu la Notte.
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