Estratto |
CAPITOLO I
CACCIA NOTTURNA
La notte era in fiamme.
Affacciata dal parapetto del Westminster Bridge, Mina Sheridan osservava sgomenta Londra mentre bruciava.
Era il 24 febbraio 1809.
Grida disperate e acuti trilli di campana venivano trasportati dal vento gelido, sovrastati dai battiti del cuore recalcitrante dell’atterrita spettatrice.
Gentiluomini e signore, monellacci di strada e mendicanti s’accalcavano indicando il caotico scenario all’orizzonte, alzando un vociare carico di orrore e curiosità.
«Buon Dio.» disse qualcuno: «Ma è il Drury Lane! Guardate, è da lì che si alzano le fiamme!»
Per un attimo, uno soltanto, il respiro di Miss Sheridan le si mozzò in gola. Un velo di sudore le imperlò la fronte, proprio a contatto col feltro del cappellino. Rabbrividì, preda di un freddo che nemmeno il suo abito di alta sartoria inglese avrebbe potuto prevenire.
Intanto le acque solitamente nere e dense del Tamigi continuavano a mandare accecanti bagliori a metà tra l’oro e l’arancio, come se su nel cielo stessero scoppiando sinuosi fuochi d’artificio.
Da quella prospettiva, non solo il teatro, ma tutta Covent Graden, l’intero West End pareva lambito dall’incendio, accerchiato da crepitanti lingue incandescenti il cui fulgore oscurava persino le stelle.
Era lo spettacolo più terribile che Mina avesse mai visto e, sui quarant’anni trascorsi, la vita non l’aveva certo lesinata in quanto a incubi e tragedie. Dunque tremava, rabbrividiva e pensava; la mente in subbuglio, gli occhi ipnotizzati da quell’affresco di morte, le idee che scavavano come un tarlo nel suo cervello.
Per alcuni brevi istanti, sorda al clamore della folla d’intorno, Miss Sheridan s’estraniò dal mondo. Si sforzò di prevedere la mossa successiva, ciò che sarebbe accaduto da lì a poco. Nuovi scenari, numerosi, ma con un solo epilogo possibile: il suo.
«Loro sono qui.» pronunciò a voce alta rianimandosi da quella sorta di torpore.
Le fiamme alte e distanti, divampanti, sembrarono bruciarle negli occhi in maniera stranamente realistica.
I tremori cessarono. I brividi s’estinsero. Il terrore venne soverchiato dal più puro e primordiale istinto di autoconservazione.
«Madame, vi sentite ben…» quasi sbalzato all’aria dall’improvvisa irruenza della donna, il gentiluomo caracollò contro la folla assiepatasi, sinceramente stupito dalla villania dello spintone e ancor più irritato dalle scuse che non arrivarono mai.
Mina era fuggita senza voltarsi. La calca s’era richiusa alle sue spalle.
***
Correva, Miss Sheridan, correva nemmeno lo stesso demonio fosse sulle sue stracce.
Si lasciò il ponte alle spalle assieme alla luce calorifera dell’incendio, procedendo a perdifiato, gettando di tanto un tanto un’occhiata alla via già percorsa.
Abbandonate le strade più popolose e illuminate della City, in fermento pure a quell’ora tarda, s’insinuò in un dedalo di vicoletti spogli e lerci, bui e desolati, ove l’eco dei tacchi sul selciato si spandeva assordante.
Infine, quando il corsetto cominciò a dolerle seriamente, e i seni sottostanti a contrarsi non meno dei polmoni allo stremo, la donna s’abbandonò pesantemente con la schiena contro una parete, al centro esatto d’un fatiscente crocevia rischiarato appena dalla bianca luce lunare.
Per un tempo che parve tediosamente vicino all’infinito, Mina si limitò a respirare avidamente. Avviluppata dal silenzio, persino quell’innocuo e semplice atto pareva produrre il più inopportuno dei baccani.
Ma ormai non aveva più importanza: se la stavano seguendo, e lo stavano facendo, lei lo sapeva per certo, avrebbero sentito il battito concitato del suo cuore prim’ancora di scorgerla.
Non v’era via di fuga né ritorno, se non nella sopravvivenza.
E quasi a conferma di tali fatalistici propositi, un bagliore accecò brevemente la donna assumendo forma.
Vomitato dalle ombre circostanti, un brutto ceffo in abiti laceri, orrendamente ghignante del suo peggior sorriso di denti guasti, armato d’un coltellaccio a serramanico, si fece avanti felicemente sorpreso.
«Guarda guarda cosa mi regala la fortuna.» ridacchiò in maniera viscida leccandosi il palmo della mano libera, passandoselo sui capelli luridi e incolti: «Buona sera, bella signora. Siete qui per portare conforto al povero Tom?» domandò indicando sé stesso, immergendo gli occhietti avidi da ratto nel decolleté ansimante, risalendo sino alle labbra carnose, lungo il volto maturo della donna che a scapito della stanchezza rimaneva ancora desiderabile.
Dapprima titubante, l’espressione di Mina, contrariamente alla tutt’altro che auspicabile situazione, divenne annoiata, quasi seccata, accendendole in viso una sorta di raggelante determinazione.
«Vattene, povero bastardo!» disse in maniera grave: «Questa notte non è per te. Vattene se t’è cara quella miserabile cosa che chiami “vita”.»
Per tutta risposta, il ratto umano squittì divertito massaggiandosi il cavallo rigonfio dei calzoni, passando la lingua sulla lama del coltellaccio: «Questa è nuova! Di solito le gallinelle come te strepitano e piangono, almeno all’inizio.» scoppiò in un nuovo riso malevolo.
Ignorante alla reale gravità degli eventi, e incurante dell’avvertimento, il “povero Tom” avanzò imperterrito sinché, a pochi passi dalla vittima, comprese sciaguratamente bene che i ruoli, in realtà, erano stati male assegnati.
Un’ombra planò dai tetti sovrastanti, veloce come un’entità viva e altrettanto tangibile. Descrisse una traiettoria obliqua, assai precisa, e dove fino a un attimo prima c’era stata la giugulare del ceffo libidinoso, l’attimo dopo sorgevano tre profondi tagli trasversali, incisi in profondità nella carne morbida come da spessi rasoi.
Sconcertato, ammutolito dal proprio sangue quanto dalla rapidità degli eventi, il miserabile cadde pesantemente al suolo spirando a occhi aperti, cinto da una dilagante pozza rossastra.
Alle sue spalle, una figura agghindata con farfallino, gilè e marsina inamidata, stava tesa cautamente in avanti succhiando il denso sangue colante dalle proprie dita affusolate.
«Miss Sheridan, che incomparabile piacere è quello di fare finalmente la vostra conoscenza.» s’alzò una voce dalle tenebre, una voce ben modulata, elegante, sebbene minata da una certa ampollosità. Ed era una terza voce, poiché il singolare gentiluomo dagli artigli macchiati di rosso stava ancora erto e silente.
Poi, quando un secondo farfallino fece capolino dall’oscurità rivelando un individuo agghindato esattamente come l’altro, nemmeno fossero reduci da una serata all’Opèra, Mina si schiacciò ancor più contro il muro.
«Mostratevi!» esclamò la donna: «Voglio vedervi in volto. Voglio sapere chi hanno mandato.»
Allorché, mossisi all’unisono, gli indesiderati salvatori si portarono in una porzione di vicolo ben illuminata, mostrandosi nella loro diabolica interezza.
«Siete soddisfatta, Miss Sheridan? In tutta onestà, per quanto possibile, cerchiamo sempre di esaudire l’ultimo desidero di un moribondo.» parlò l’uomo di prima, diametralmente opposto al compagno di spalle: «Non è vero, signor Coldwin?»
«Spero di no, signor Fairfax.» rispose stoicamente quelli con voce profonda, senza degnarlo d’uno sguardo.
L’espressione del signor Coldwin pareva profondamente distaccata, annoiata, talmente impassibile che nemmeno il ritmico ticchettio delle gocce di sangue che gli colavano dalle unghie riusciva a turbarlo. Era alto più di sei piedi, e il suo fisico dalle spalle ampie appariva muscoloso e imponente. Possedeva capelli biondissimi, occhi azzurri e iridescenti, e un volto rude, rasato, estremamente attraente, che richiamava alla mente un qualche genere di barbara razza nordica.
Il signor Fairfax, al contrario, di qualche anno più maturo, nonostante non potesse vantare una tale prestanza, né una medesima stazza, spiccava grazie a un volto astuto e sinistro. Esso, cinto da impeccabili favoriti corvini, curati secondo la moda del tempo, emanava un erroneo sentore di comprensione e bontà, in netto disaccordo cogli occhi: brillanti pari a monete di rame, gravidi di riflessi arcigni e sinceramente malvagi.
Non che tale figuro apparisse sgradevole, tutt’altro! Possedeva tuttavia una beltà fuori del comune, quella rara eleganza, riserbatezza e contegno che il più delle volte la si poteva trovare unicamente racchiusa in una cornice di bronzo, impressa su di un qualche ritratto nobiliare.
«Sapete, signor Coldwin, talvolta m’interrogo insistentemente sulla capacità di discernimento della mente umana. E voi?» domandò il signor Fairfax.
«No.» rispose seccamente quelli, ora fisso con lo sguardo sulla donna.
«Ad ogni modo…» continuò imperterrito: «se voi foste braccato da esseri tali a noi, cosa fareste?»
«Li ucciderei.»
«Oh avete ragione, signor Coldwin, ma io intendevo: “se foste umano” e veniste braccato da esseri come noi.»
Il signor Coldwin non rispose.
Profondamente contrariato, il signor Fairfax sospirò: «Ciò che sto tentando di far comprendere al vostro inoperoso cervello, signor Coldwin, è che, nel dato caso da noi supposto, entrare in un vicolo buio, vuoto e al riparo da sguardi indiscreti, non sarebbe la più saggia delle decisioni. Non credete? E non affrettatevi a rispondere: è una domanda retorica.» agitò una mano camminando su e giù, scrutando Mina con espressione intrigata.
Guardati da quella posizione, i due uomini parevano proprio animali: un lupo e una faina, o un mastino e una volpe.
«A meno che…» suggerì a un tratto il signor Coldwin.
A quelle parole il signor Fairfax si fermò. Il suo sguardo iridescente, brillante pure nel buio come quello di un gufo, s’assottigliò predatorio. Piegò il capo a un palmo dal viso cereo della donna, inspirò a singhiozzo allargando le narici, scostandosi a seguito molto cautamente.
«A meno che… cosa, signor Coldwin?»
«A meno che la femmina non avesse il nostro stesso interesse a non attirare l’attenzione dei mortali.»
Folgorato dall’epifania, il signor Fairfax ruggì a pieni polmoni mandando un verso che di umano non possedeva alcunché, simile a quello di una belva incattivita: «Miss Sheridan, voi…»
Il restante gli morì in gola.
Serrata la mascella, acuiti i sensi e innalzata una silente lode alla regina Mab, madre e sorella di tutte loro, Mina stese le mani in avanti sprigionando dai palmi una potenza devastante e invisibile. Essa scagliò i due uomini lontano da lei, impattandoli duramente contro le pareti viscide di rugiada.
Approfittando della sorpresa, e per nulla rincuorata dal cristallino suono delle loro ossa fratturate, Miss Sheridan s’alzò la gonna a balze estraendo un pugnale dalla giarrettiera, avventandosi al petto del signor Fairfax.
Questi, intuita la mossa, bloccò il polso di lei a un palmo dall’affondo nel cuore: «Non avete la forza necessaria a ferirmi, Miss Sheridan.» ringhiò tra i canini allontanando il pugnale superbamente istoriato dalla sua preziosa persona, soltanto per vedersi nuovamente ostacolato dal braccio inamovibile della donna, inumanamente marmoreo.
«Arrogante dannato, la tua razza è così povera di meraviglie!» lo canzonò lei salmodiando parole raschianti prive di significato, arroventando la lama del pugnale, ora d’una cupa tonalità arancione.
Due mani possenti dalle dita ossute sopraggiunsero strappando Mina alla sua preda, cingendola per la vita, sbalzandola in terra.
Ad una velocità prodigiosa, il signor Fairfax si sottrasse al pericolo. Al contrario, il signor Coldwin rimase a fronteggiare la donna infliggendole una fulminea artigliata, mandando in brandelli il grazioso copricapo con la veletta.
Scivolata prontamente sotto il colpo, Miss Sheridan stese nuovamente i palmi in direzione delle due creature pronte a calare su di lei come falchi in picchiata. Li colse all’addome, entrambi, ma stavolta con ardenti lingue di fuoco verdastro, sinuose pari a tentacoli.
La litania della donna crebbe d’intensità. Le parole echeggianti rinvigorirono le fiamme sovrastando i ruggiti d’ira e sofferenza dei due sicari intrappolati, consumati nelle carni.
E poi… Poi tutto cessò. All’improvviso.
Il signor Fairfax e il signor Coldwin caddero da considerevole altezza con un tonfo sordo, orrendamente sfigurati e ustionati.
Incredula, cogli occhi sbarrati e un crescente malessere interiore, Miss Sheridan abbandonò le braccia ai fianchi, chinò lo sguardo sul proprio ventre e lo vide: un dardo di balestra.
«Un maledetto… dardo di balestra…» rise per lo sconforto, rise portandosi una mano al tessuto già madido del corsetto, rise fissando la macchia rossa spandersi senza freno: «Wilhelmina Sheridan… uccisa da un… maledetto…»
Il sangue la soffocò. La stanchezza l’avvolse.
Cadde. Cadde e non si rialzò mai più.
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Marco “Frullo” Frullanti –
“Anche con questi nuovi protagonisti Alessio Filisdeo ha fatto centro, senza snaturare la figura del Vampiro ma descrivendola come deve essere…spietata, cruenta, senza cuore né rimorsi.”
Recensione su “Book is Life
Nativi Digitali Ed. –
“Ho letteralmente adorato questo libro, divorandolo velocemente e innamorandomi dei protagonisti (più specificamente del signor Coldwin…)”
Recensione di Eroine Penzel
Marco “Frullo” Frullanti –
“Un ottimo esempio di letteratura gotica. I personaggi e le ambientazioni sono perfette e mi è piaciuto molto anche questo velo di ironia che trapela soprattutto nel rapporto tra i due protagonisti.”
Recensione su “Fall in Books”
Marco “Frullo” Frullanti –
“Libro che consiglio a tutti gli amanti del genere horror,gotico e a chi vuole provare a leggere qualcosa di nuovo!” Recensione su “Viaggiando con i miei libri”
Nativi Digitali Ed. –
“Fairfax e Coldwin, un romanzo gotico con i fiocchi.
Non so che tipo di rapporti abbiate con i vampiri, ma evitate, almeno per questa volta, di pensare a Twilight: la storia d’amore non esiste, e i vampiri descritti non sono come Edward. ”
Recensione su “Il Rumore delle pagine”
Marco “Frullo” Frullanti –
“Fairfax & Coldwin è un romanzo per gli amanti del fantasy disincantato, per lettori che cercano una storia in cui non c’è spazio per struggenti amori cavallereschi, liceali alla prima cotta o pietà per noi miseri umani.”
Recensione su Good Book Night!
Marco “Frullo” Frullanti –
“La scelta del genere gotico la ritengo molto interessante; l’atmosfera lugubre di questo tipo di romanzi, che convogliano elementi d’amore con quelli dell’horror, ha creato un mix azzeccatissimo.”
Così dicono di “Fairfax & Coldwin” di Alessio Filisdeo. E tu, l’hai letto? Recensione su “Thriller, Storici e Dintorni”