Questo l’ultimo libro di Cristina Obber, scrittrice impegnata nel sociale specie se si tratta di tematiche femminili.
“L’altra parte di me” è un’opera non proprio leggera, anche se apparentemente potrebbe sembrare tale, dato che tratta della vicenda di una ragazza sedicenne. Proprio per questo invece, per la delicatezza di quell’età, appena oltrepassata la soglia dell’adolescenza, la storia si dipana su binari delicati; sin da subito, cioè da quando la protagonista si accorge di provare attrazione verso persone dello stesso sesso, e in particolare verso un’amica conosciuta tramite il web, diventando in seguito una persona importante per sé. Il tema quindi dell’omosessualità è affrontato con un’apparente purezza di contenuti, coinvolgendo il lettore come se si trattasse di una qualsiasi storia d’amore (il primo). Non mancano di subentrare le difficoltà a cui una relazione gay può andare incontro, per esempio il rifiuto della cosa da parte dei genitori della protagonista, ancora ancorati nella convinzione che l’amore non possa avere altre forme di là da quella (cosiddetta) tradizionale, ferma allo schema impostato “donna e uomo”-“uomo e donna” (unico esemplare di coppia accettato). E ancora difficoltà relative all’accettazione a livello sociale del proprio essere “diverse” (cioè non etero, specificando). Gli adulti “tradizionalisti” si ostinano quindi a imporre regole prestabilite, alle quali però la ragazza non accetta di sottostare. Non si arrende perché il suo è amore e chi ama lo fa senza limiti, quindi con la forza necessaria a superare qualsivoglia barriera; ostacoli dall’apparenza insormontabili, quali convinzioni retrograde che però risultano deboli se affrontate in nome del proprio sentimento.
Non è forse vero che l’omosessualità esiste da quando esiste il mondo, solo che fino a ora è stata tenuta nascosta perché riconosciuta come pericolosa trasgressione o (peggio) peccato? Ma oggi, forse, anche grazie a opere come quella della Obber, si può affermare che è normale che l’amore abbia più forme, senza nulla togliere all’altrettanto puro e sano amore coniugale (ed eterosessuale). Ma verso lo stesso sesso si può riconoscere come una cosa assolutamente normale.
Una nota alla colonna sonora, se così si può definire, data dalla musica ascoltata dalla protagonista, che non a caso comprende la musica dei Placebo, gruppo il cui cantante è palesemente bisex.
Congratulazioni a Cristina per il coraggio elargito.
p.s.: Non ho potuto fare a meno di notare delle similitudini, nell’opera, riguardanti il comportamento dei personaggi, con “Il diario di Zenda”, opera del sottoscritto.
Giuseppe Bonan
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