Non ci sono dubbi: insieme a selfie e hashtag, tra i termini più abusati del XXI secolo c’è senz’altro Community, soprattutto quando è usata IRL (in real life). Perché, carissimi responsabili marketing, un gruppo di amici che vanno al pub o i clienti di un panificio… NON sono una community!
E anche per quelle online, non si scherza. Ecco, per esempio, alcuni gruppi che NON si possono certo definire community, anche se molti lo fanno:
- Gli utenti di un servizio
- Chi visita un sito
- Chi segue una pagina Facebook/Twitter/Instagram etc.
- Chi ha acquistato qualcosa da un sito
- Chi si è iscritto a una newsletter
- I lurker, cioè chi segue un forum/gruppo/blog senza lasciare mai un commento.
Per come la vedo io, una community online, per essere definita tale, deve avere TUTTE le seguenti caratteristiche:
- Una certa consistenza numerica (potrei aggiungere all’elenco di sopra: un gruppo Whatsapp di 5-6 persone, che non è certo una community)
- Una FORTE comunanza di interessi/idee/passioni da parte di tutti i membri
- La partecipazione attiva (cioè con commenti un po’ più costruttivi di “Evviva!” o un emoticon) di chi la frequenta
Tutto chiaro? Ora, tenendo per buoni questi parametri, prova a pensare alle community di cui fai attualmente parte (cioè dando un contributo attivo con una certa frequenza)… non sono poi così tante, eh? Ancora meno, o forse pure zero, sono probabilmente quelle in cui hai il ruolo di fondatore, amministratore o comunque sei riconosciuto in qualche senso come “leader” da parte degli altri membri.
Detto ciò, oggi se dici a tuo cugino che gestisci una community online fai la figura di quello figo, quando pochi anni prima ti avrebbe guardato storto e avrebbe scosso la testa con disapprovazione. Sempre più persone vogliono creare gruppi facebook, blog interattivi, persino i forum sembrano tornati di moda. Il fatto è che, come direbbe Boromir, “one does not simply create a community”… perché non dipende solo da voi!
Come con altre tanti aspetti della vita, una community di successo non la si può far crescere in modo forzato, ma serve tempo, determinazione, carisma e un po’ di “Fattore C”. Visto che ci ho preso gusto per gli elenchi, queste sono le circostanze che ritengo necessarie per ottenere buoni risultati:
- Prima di tutto, parlare di qualcosa che interessa a un certo pubblico potenziale (sembra scontato, ma non lo è!) e che ha un’identità precisa, in modo da distinguersi dalla “concorrenza”.
- Non presentarsi come un guru o un fenomeno, ma come un appassionato interessato in primo luogo al confronto e alla condivisione
- Non limitarsi alle belle parole, ma dimostrare il proprio impegno in termini concreti (es: la pubblicazione di contenuti di interesse per la community, la disponibilità a rispondere alle domande etc.)
- Fare sentire importanti gli altri membri, non per forza con pratiche autoreferenziali note nell’ambiente con il non proprio educato termine circlejerking, ma dando visibilità ai loro sforzi, riconoscendo il valore dei loro contributi etc.
- Premiare i membri più attivi e affidabile della community assegnando loro ruoli di fiducia, da moderatore o persino da amministratore (senza esagerare…)
- Non aver fretta di “monetizzare” la community, con il rischio di inimicarsi gli altri membri, e, se proprio dobbiamo, farlo con onestà e trasparenza.
Visto che quello che ho appena scritto si può sintetizzare con “meno chiacchiere, più concretezza”, per coerenza vi racconto come ho fatto io a lanciare una community… senza nemmeno volerlo. Sto parlando di “Il meglio di Internet”, fondamentalmente un gruppo di fan della “sottocultura di internet”, per capirci: i meme e tutto quello che ci gira intorno.
- Nel 2010 creai una pagina Facebook per poter condividere e pubblicare un certo tipo di umorismo demenziale che non ritenevo opportuno diffondere dal mio profilo personale.
- Dopo alcuni mesi di relativa oscurità, la pagina iniziò improvvisamente ad avere molto seguito, con oltre 1000 mi piace nuovi al giorno.
- Impossibilitato a moderare tutti i commenti e a pubblicare nuovi contenuti costantemente, affidai il ruolo di amministratore a due tra i “seguaci” più attivi (uno dei quali conoscevo solo online).
- La popolarità della pagina crebbe nel tempo, raggiungendo quasi centomila mi piace: fu lanciato anche un sito, sempre a tema umoristico ma con contenuti dal taglio più “serio”, che in breve tempo superò le centomila visite mensili.
- Nel 2013, quando lanciai Nativi Digitali Edizioni, abbandonai il mio ruolo da “boss” della community a vantaggio di nuovi amministratori, più adatti di me a comunicare con un pubblico più giovane.
- Tre anni dopo, dopo un periodo di scarsa attività, la community è tornata più attiva che mai, con un gruppo Facebook con quasi diecimila membri selezionati (entrateci a vostro rischio e pericolo se non conoscete la sottocultura del web), un nuovo progetto editoriale, e raduni di fan in varie città italiane.
In questo caso, il successso iniziale è arrivato in quanto ero stato, per puro caso, tra i primi in Italia a usare una pagina Facebook per un certo tipo di umorismo “da nerd”, mentre ciò che ha garantito la sopravvivenza della community nel tempo è stata la “staffetta generazionale” a persone affidabili che condividevano la vision originale.
Anche per questo motivo, non ho mai voluto creare davvero una community associata a Nativi Digitali Edizioni: mi sembrerebbe pretestuoso, meglio piuttosto partecipare a gruppi e forum già attivi e farmi conoscere negli ambienti giusti. Il consiglio finale che posso dare è quindi questo: invece di sforzarsi tanto per lanciare una community, spesso è più premiante partecipare ad altre già avviate.
E quali sono le community che fanno per te? Beh, questa è una domanda che dovresti rivolgere a te stesso! E se proprio non lo sai, inizia dalle pagine social che ti piacciono e non aver paura di esplorare… le cose migliori che il web ha da offrire spesso sono le più nascoste, almeno all’apparenza.
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