Nessuno fa un favore a un nobile per affetto o stima. Credevo che lo sapessi.
Gemma non è una principessa, non è bellissima, non è gentile. È burbera come il nonno, che la vorrebbe sistemata a 18 anni. Ma dopo un’infanzia ad arrampicarsi ovunque e ad allenarsi in vista di un futuro da boscaiola, Gemma ha un piano un po’ diverso. Protagonista dell’esordio di Ester Trasforini, La principessa sbagliata (edito da Gainsworth publishing), progetta di uccidere il drago che imprigiona la principessa del regno di Nonsodove, a mo’ di cavaliere splendente, e con questa abile mossa intascarsi la ricompensa del re, come nella più veniale delle favole. Ma nemmeno la dolce principessa in questione è quello che dovrebbe essere secondo canoni sempre più obsoleti: al posto della solita biondina svenevole sua altezza mostra delle caratteristiche un po’ anomale. E anomalo sarà il viaggio della coppia in fuga dal drago non del tutto annientato, attraverso valli e altipiani che li metteranno a dura prova e in compagnia di personaggi con una storia tutta da scoprire.
Con il suo temperamento (e linguaggio poco forbito) da nano munito di ascia, Gemma è agguerrita ma allo stesso estremamente ingenua. La “principessa” Leonarda ride sotto i baffi – e non è solo un modo di dire – stuzzicando le sue tendenze più infantili. Gemma, che si esprime senza mezzi termini, entra in un conflitto di odio-amore che risolverà in qualcosa di più di un’amicizia.
A stravolgere il loro cammino l’incontro con un personaggio, un ex-spaventapasseri-ormai-zombi che diventa comprimario d’eccezione in funzione comica, ma che rivela anche un lato drammatico mano a mano che la storia continua. Non potendo permettersi di credere in nessun un Dio o in un qualsiasi tipo di Aldilà in quanto non-morto, in compenso si aggrappa ai migliori tempi andati, quando era tutta campagna e i giovani non erano come quelli di oggi, in un’invettiva contro il presente degna dell’anziano più duro di comprendonio.
Poi ovviamente c’è un po’ di magia, ma non troppa: niente si risolve in un baleno per Gemma, che si ritrova a dover allenare i suoi poteri magici – apparentemente – poco utili, donati dagli elfi del bosco, gli stessi che l’hanno messa di fronte ad una difficile scelta nondiròquale per non anticipare troppo. C’è umorismo non solo nel racconto, ma anche disseminato nei titoli dei capitoli, tra citazioni di libri e fumetti che ammiccano al lettore più appassionato del genere fantasy.
Questo racconto vuole sbarazzarsi di certi cliché (sì, sono d’accordo, sarebbe un nome bellissimo per un fiore) e lo fa appoggiandosi comodamente sulla struttura della fiaba tradizionale, sovvertendone alcuni schemi e mantenendone altri, con un sempre apprezzabile tocco romantico di fondo. I “per sempre” non suonano più magici e auspicabili come una volta. I “per sempre”, oggi, sanno di prigione, di ostacolo a qualcos’altro-non-si-sa-bene-cosa. Il romanticismo di un attimo ha qualcosa di più vero e intenso di tutti gli happy ending di repertorio. Morale della favola: meglio assecondare la propria natura che incanalarsi in rotte stereotipate imposte da terzi.
Questo primo romanzo di Ester Trasforini si colloca perfettamente in quel filone che immagina una donna diversa dall’aspettativa dominante, una donna che controlla la propria vita. E di esempi nella cultura contemporanea ce ne sono da vendere, in ambito letterario (di genere e non) come in quello cinematografico. Dalle produzioni più mainstream come Hunger Games, fino alla Maya di Zero dark thirty o le protagoniste di Grandma, film di Paul Weitz. Ma tutte hanno in comune qualcosa, rifuggire la protagonista di disneyana memoria e appropriarsi di tutto ciò che è stato interdetto loro fino a quel momento: le decisioni sulla propria vita.
In questo romanzo c’è un ribaltamento di caratteristiche: la goffaggine e l’aggressività tipiche maschili sono prerogativa del personaggio femminile, mentre il lato più fragile e gentile è lasciato al personaggio maschile.
Le principesse di oggi sono più simili a rami selvatici, dure nella corteccia. Femminili, fragili, ma forti. Lo scopo della missione non è più un bel principe che le protegga per tutta la vita, ma il punto più alto e più splendente: quello in cui non si deve rinunciare a niente per raggiungere la propria felicità. Valori come l’autoaffermazione sono portanti in questo viaggio verso la maturità, che non può che portare in un unico luogo esotico e nascosto del mondo: se stessi. E questo è il lieto fine più soddisfacente.
Recensione a cura di Alessandra Testa
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