Estratto da “I Figli del Disastro” di Dario Degliuomini – Scheda del libro
9 DICEMBRE 2013
ITALIA, ORE 13:01
«Solo per le prossime cinquanta telefonate, avrete in regalo, assieme alla mountain bike-»
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«Non possiamo arrenderci, dobbiamo sconfiggerlo per la salvezza dell’umanità! Uniamo i nostri-»
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«Sale, olio, un goccio di aceto e mettiamo in forno a 180 gradi per due-»
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«… e pertanto il primo ministro ha ribadito con forza che la disoccupazione giovanile è uno dei punti chiave… scusate, mi comunicano dalla regia che abbiamo un collegamento urgente con il nostro inviato Furio Morelli. Mi senti Furio? Sei in diretta!»
«Sì Giorgia ti sento, voi mi sentite? Il segnale è molto disturbato, le immagini vi arrivano?»
«Sì Furio, per il momento le immagini ci giungono abbastanza nitide, dicci cosa sta accadendo alle tue spalle!»
«Ecco, sì, mi trovavo in prossimità di quest’area boscosa con la mia troupe, nel paese subito adiacente, per un servizio sulle prospettive di lavoro per i giovani nei piccoli centri rurali, quando dagli alberi qui vicino ha iniziato a propagarsi una misteriosa luce, di colore giallo-arancione, molto intensa. Subito abbiamo allertato le autorità competenti e ci siamo diretti verso questo singolare fenomeno. Abbiamo cercato di addentrarci il più possibile nella vegetazione, ma oltre un certo punto tutta la nostra strumentazione andava inesorabilmente in tilt. Questo è il massimo a cui siamo riusciti ad avvicinarci e a stabilire un contatto con voi in studio.»
«Molto bene Furio. Vedo che le forze dell’ordine sono già arrivate, al tuo fianco è presente una squadra del corpo forestale e una della polizia locale.»
«Ugo! Ugo vieni a vedere!» gridò la signora Marta dalla cucina. Il signor Ugo, imprecando, si alzò dalla poltrona su cui stava schiacciando un sonnellino in attesa che fosse pronto da mangiare.
«Che succede?» domandò seccato.
«In tivù parlano di cose strane nei boschi, sembra importante!»
«Sarà un incendio appiccato da qualche giovane drogato» tagliò corto.
«Ma no, i pompieri stanno dicendo che non ci sono né fiamme né fumo, ascolta!»
«Quindi nemmeno con gli elicotteri è stato possibile avvicinarsi?»
«Purtroppo no, poiché anche le strumentazioni di bordo, una volta entrati nella zona sensibile, impazzivano e rendevano impossibile qualsiasi manovra. Siamo comunque riusciti a calcolare approssimativamente l’estensione di quest’area “anomala”: circa tre chilometri quadrati.»
«Avete quindi intenzione di procedere a piedi verso il centro dell’anomalia?»
«Stiamo valutando questa possibilità, ma prima vogliamo sincerarci di non correre rischi inutili. Non sappiamo cosa stia generando quella luce, per quel che ne sappiamo potrebbe essere un materiale radioattivo, o tossico, non…»
«Mi scusi se la interrompo capitano, sta accadendo qualcosa! Giorgia, riuscite a vedere?»
«L’immagine è parecchio disturbata; Furio, dicci quello che vedi!»
«È… difficile da spiegare… sono come delle sfere… sembra proprio che provengano da dove si trova la luce… salgono in cielo e si disperdono velocissime in tutte le direzioni! È incredibile, non ho mai visto niente del genere Giorgia, il cielo è letteralmente…………………….»
«Furio? Furio mi senti? Furio? Scusate, ci sono dei problemi con il collegamento…»
«Hai visto che roba Ugo? Ma che cos’è? Ugo? Ugo perché non mi rispondi?» La signora Maria diede un forte strattone a suo marito, che inebetito osservava fuori dalla finestra migliaia di sfere luminose sfrecciare a pochi metri dai tetti delle case.
GERMANIA, ORE 13:05
«Franz! Torna subito qui! Sei impazzito?» disse la signorina Maier al bambino che, al grido di «Le luci! Le luci!», era appena uscito dall’aula, seguito a breve distanza da tutti i suoi compagni. La signorina Maier, furibonda per quell’insensato ammutinamento nel bel mezzo di un compito in classe, si mise a inseguire i suoi alunni più veloce che poteva, sollevando con entrambe le mani la sua lunga gonna per non inciampare. Li trovò nel cortile della scuola, tutti col naso all’insù e le bocche spalancate. La signorina Maier avrebbe voluto afferrare Franz per un orecchio, dirgli che quella era l’ultima volta che causava problemi, che avrebbe comunicato tutto al preside e quindi ai suoi genitori, ma non fece nulla di tutto ciò. Si limitò a fissare in silenzio, con la bocca spalancata, ciò che stava succedendo sopra la sua testa.
«Fico! Franz, secondo te cosa sono? Secondo me sono alieni» disse Frida.
«No, non sono alieni.»
«E allora cosa sono?»
«Sono angeli» rispose Franz.
«A me non sembrano angeli. Dove sono le ali? Quelle sembrano più delle astronavi.»
«Un angelo può avere molte forme sai? L’ho letto su un libro! E poi non si mostrano mai chiaramente alle persone!»
«Boh! Secondo me sono alieni, anche Peter dice che sono alieni.»
«Ti dico che sono angeli! Maestra!» Franz si avvicinò alla signorina Maier e le strattonò la gonna, facendola uscire dal suo stato di trance.
«Maestra, quelli sono angeli, vero?» La signorina Maier si guardò intorno. La gente si era riversata nelle strade, in bilico tra la curiosità e la paura. In quanto a lei, l’ago pendeva nettamente dalla parte di quest’ultima.
«Bambini, torniamo dentro per favore, qui non è sicuro.»
«Ma maestra, quelli sono angeli vero?»
«Non sono angeli, te l’ho detto, sono alieni, anche Peter dice che sono alieni, vero?»
«Sìsì sono alieni!» gli fece eco Peter.
«Io non lo so, ma non credo che dovremmo stare all’aperto, quindi per favore, da bravi, mettetevi in fila indiana e rientrate in classe.»
Franz sbatté i piedi per terra con violenza.
«Io voglio vedere gli angeli!»
«Li potrai vedere da dentro, non fare i capricci» disse sforzandosi di apparire lucida e tranquilla, mentre le sue gambe, nascoste dalla gonna, tremavano come due ramoscelli al vento.
«Io resto fuori» disse Franz, gelido. La signorina Maier spalancò gli occhi così tanto che per poco non le uscirono dalle orbite.
«Franz, tu adesso ti metti immediatamente in fila con gli altri bambini e torni dentro assieme a me, o giuro che… io… giuro su Dio che ti prendo e-»
«Si sono fermati! Si sono fermati! Gli alieni hanno smesso di muoversi!» gridò Frida, bloccando sul nascere l’insana minaccia della maestra.
«E ora che succede?» chiese Peter.
«Ora scendono!» rispose Franz, tutto eccitato.
CINA, ORE 20:15
«L’aria è stranamente immobile, per essere sul tetto di un grattacielo, ci hai fatto caso?» domandò Cheng a Li.
«Già» rispose secco Li senza badare troppo all’amico. Ciò che stava accadendo sopra le loro teste meritava la sua più completa attenzione. «Con tutte quelle lanterne sospese per aria non sembra neanche che il sole sia tramontato, se mi fossi svegliato ora avrei pensato che fosse mezzogiorno.»
«Era meglio restare a casa a dormire» Cheng tirò un pugno stizzito allo sportello della centralina guasta. «Che dici, lo ripariamo oppure no?»
«Per oggi faranno a meno dell’aria condizionata.» Li si sporse oltre la ringhiera che delimitava il tetto. «Da questa altezza il colpo d’occhio ti toglie il fiato, quelli in strada non sanno cosa si stanno perdendo.»
«Ah perché tu riesci davvero a goderti questo panorama?»
«Beh, devi ammettere che è suggestivo.»
«E secondo te è normale che quando eravamo nell’ascensore era tutto tranquillo, e una volta usciti il cielo era coperto da quelle… cose?»
«A me ricordano delle lanterne nella forma, no?»
«Per me quelle sono solo un sacco di guai. Starei più tranquillo in strada, qui siamo troppo esposti, e se dovessero-»
Il boato fu di una violenza inaudita. Un lampo di luce candida ferì gli occhi dei due uomini, che si buttarono a terra coprendosi il volto con le mani.
«Cosa diavolo è stato?»
«Un’esplosione!»
«Da che parte?»
«Di là!» Li si alzò e corse sul lato sud del tetto, seguito da Cheng. Il fungo di fumo si ergeva dinnanzi a loro imponente e terribile, circondato da lingue di fuoco.
«Oh merda! Ma cosa-»
La terra tremò una seconda volta. Il grattacielo oscillò come una canna che si oppone alla tempesta.
«Un’altra!» gridò Li. I due ritornarono rapidamente al lato nord, dove un altro fungo iniziava a prendere forma.
«Questo era più vicino! Ma che sta succedendo, Li? Tu ci capisci qualcosa?»
«Sono le lanterne» disse Li.
Una dopo l’altra, le lanterne avevano iniziato a cadere al suolo con la delicatezza di una piuma, producendo un sibilo acuto. I funghi divennero decine, centinaia, migliaia. Cheng si inginocchiò ai piedi di Li con le mani tra i capelli.
«È un incubo, è un incubo!» disse singhiozzando.
Li alzò lo sguardo al cielo, in direzione di un sibilo che diventava sempre più forte.
«Dobbiamo andarcene,» disse all’amico strattonandolo per una manica della tuta da lavoro «ce n’è una che punta dritto verso di noi, Cheng! Dobbiamo andarcene ora!» Cheng ritrovò sufficiente lucidità per alzarsi e correre insieme all’amico verso l’ascensore. Lì premette il bottone del pian terreno. Prima che le porte si richiudessero, fece in tempo a intravedere la lanterna posarsi lentamente sul pavimento.
«Un sole…» bisbigliò.
La discesa procedette tranquilla fino al settantaduesimo piano, poi l’onda d’urto investì in pieno la cabina.
AUSTRALIA, ORE 22: 20
«Levatevi dalle palle!»
Gli anfibi di Roy, senza troppi complimenti, correvano sui corpi di tutti quelli che si frapponevano fra lui e l’uscita del pub, alla cui destra era parcheggiata la sua motocicletta. Il terrore aveva reso la gente un agglomerato indistinto di braccia, gambe e bocche urlanti, incapace di prendere qualsiasi decisione. Roy, al contrario, aveva ben chiaro in mente cosa fare: uscire dal locale prima che una di quelle palle luminose lo disintegrasse, salire in sella al suo bolide e allontanarsi il più possibile dalla città. Tra lui e il suo piano, però, c’era un muro di carne formato da almeno trenta persone. La sua voglia di vivere ebbe facilmente il sopravvento sulla sua già scarsa cavalleria. Dopo una combinazione rozza ma efficace di pugni e calci, inflitti senza distinzione di sesso e d’età, Roy si fece strada fino al marciapiede e raggiunse la moto. Prima di sfrecciare via fece ancora in tempo a lasciare l’impronta delle sue nocche sulla faccia di un uomo che lo supplicava di portarlo con lui.
«Niente passeggeri» disse Roy, sgommando.
Le strade erano in preda all’anarchia. Le macchine ribaltate o in fiamme superavano di numero quelle ancora in grado di muoversi. Cumuli di macerie ostacolavano lo scorrimento del traffico, se non lo impedivano del tutto. Intanto, le esplosioni non cessavano di martoriare il terreno, aggiungendo devastazione su devastazione. Roy, in mezzo a quell’inferno, guidava senza pensare. Non pensava alla morte che avrebbe potuto coglierlo in qualsiasi momento se una di quelle maledette palle avesse deciso di cadergli in testa, non pensava alla sua casa, che probabilmente era già stata rasa al suolo, non pensava nemmeno ai suoi genitori, che in quella casa ci abitavano. L’unica cosa a cui pensava era il percorso più rapido per raggiungere lo svincolo che conduceva al deserto. Roy con la sua motocicletta aveva attraversato il Paese in lungo e in largo, a volte percorrendo quasi mille chilometri in un solo giorno, ma dopo soli dieci minuti trascorsi a scappare per salvarsi la vita, era già esausto. I lampi di luce e il fumo lo costringevano a guidare praticamente alla cieca; l’asfalto, ridotto a un colabrodo, metteva a dura prova il suo equilibrio; l’aria, divenuta rovente, gli bruciava gli occhi e la gola.
«Eccolo!» Come una visione, lo svincolo apparve davanti a Roy, ormai prossimo al punto di rottura.
Malgrado il rombo del motore tra le sue gambe, udì perfettamente un sibilo alle sue spalle. Roy aprì il gas al massimo.
Per qualche secondo, il volo della motocicletta sembrò così perfetto nel suo assurdo equilibrio da non doversi interrompere mai.
Durante la caduta, Roy potè godersi con tutta calma lo spettacolo della sua città che cessava di esistere, sommersa da una foresta di funghi di fumo.
10 DICEMBRE 2013
STATI UNITI, ORE 10:00
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«Buongiorno a tutti i telespettatori che sono riusciti a sintonizzarsi. Vi trasmettiamo il seguente notiziario da uno dei pochi studi televisivi della nazione rimasti in piedi dopo il tremendo attacco che nella giornata di ieri ha messo in ginocchio il mondo intero. Da ogni angolo del globo continuano ad arrivare immagini sconcertanti, che testimoniano una devastazione che non ha precedenti in tutta la storia dell’umanità. Non è ancora possibile fare una stima del numero delle vittime, ma siamo senza dubbio nell’ordine dei milioni. A breve è previsto un discorso del Presidente, miracolosamente scampato alla morte grazie al tempestivo intervento dei servizi segreti. A raccontarci il tutto, la nostra inviata presente sul posto, Brenda Collins. Brenda, sei in onda.»
«Grazie Mark. Sono Brenda Collins e vi parlo a pochi metri da dove, fino a ventiquattro ore fa, si ergeva la Casa Bianca. Non riesco a descrivervi il mio stato d’animo nel trovarmi qui, soprattutto se penso a tutti i miei colleghi che non ci sono più. Non credo di esagerare, Mark, se dico che questa è la nostra ora più buia. Ieri, abbiamo scoperto, nella maniera più drammatica, che l’uomo è solo un granello di polvere in balìa di forze ben più grandi di lui, così grandi da poterci spazzare via in un istante. È difficile poter immaginare un futuro per tutti noi, ora che abbiamo questa consapevolezza a pesarci sulle spalle, ma è nostro dovere andare avanti, ricostruire, tornare a vivere, senza arrenderci mai. Per rispetto di coloro che sono morti, e per onorare la loro memoria, noi dobbiamo resistere!»
«Certo Brenda, hai perfettamente ragione, e credo che anche i nostri ascoltatori non possano che condividere il tuo pensiero.»
«Grazie, Mark. Ora però lascio la parola al nostro presidente, che sta per iniziare il suo discorso, che sono sicura saprà ispirare i nostri cuori e le nostre anime infinitamente meglio di quanto potrei fare io.»
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