Estratto gratuito da “novantaquattro”, romanzo pop-nostalgico di Matteo Giordano.

Dani era lì che masticava grissini quando all’improvviso, mentre si stava guardando intorno, aveva avuto la sensazione che il suo cuore avesse smesso di battere per qualche secondo; una roba tipo la Madonna di Fatima che appare ai pastorelli. Sei persone erano appena entrate nel ristorante ed il cameriere li stava accompagnando ad un tavolo lontano dal caos. Erano passati proprio accanto a Dani che aveva riconosciuto tre di loro. Uno era altissimo e si chiama Christ, l’altro più piccolo e con una coda di capelli alla Fiorello di chiamava Dave e il terzo, il più basso di tutti, biondo, con i jeans strappati, un cardigan nero e i Rayban si chiamava Blake. Blake Bain. Dani era rimasto interdetto qualche minuto, zitto, come fuori da mondo. Nessun altro al tavolo sembrava essersi accorto di nulla, ma a quegli sfigati piacevano i Guns N’ Roses e quindi non meritavano niente.
“Oh, tutto a posto?” Gli aveva detto Ste a un certo punto. “Cosa fai? Dormi?”
“Oh vieni qua, ti devo dire una cosa…” Dani gli aveva fatto segno di farsi ancora più vicino a lui. “Giamma, anche te… Ma avete visto chi è appena entrato?” Aveva detto Dani sottovoce.
“Chi?”
“Guardate il tavolo là, dietro la colonna.”
“Come faccio a vederlo se è dietro la colonna…” Aveva sottolineato giustamente Ste.
“Minchia… Nooooo!” Giamma si era messo le mani in faccia.
“Shhhhhhhh zitto!! Discrezione…” Aveva detto Dani mettendosi a sua volta un dito sulle labbra.
“Oh, ma che è, io non vedo niente.” Ste vedeva sempre e solo la colonna.
“Minchia alzati, passa di qua che li vedi. Sì, ma non farti sgamare che li stai guardando.”
“Minchia, i Nirvana…”


“Shhhhhhhh!!! Allora!!” Dani non voleva che quella notizia diventasse di dominio pubblico.
I loro cervelli e loro cuori erano in fermento: avrebbero dovuto uscire da lì almeno con un autografo. Giamma avrebbe voluto andare direttamente a cenare con loro.
“Oh, you know…” Giamma si stava già immaginando cosa dire. “Anche noi siamo una band, anche noi siamo in tre… anche noi…” ma si era reso subito conto che non avevano nient’altro in comune. I Nirvana erano la più grande rock band del pianeta, a Roma per una tappa del loro tour mondiale, loro erano tre sfigati che suonavano la domenica a messa.
Nonostante ognuno continuasse a ripetere agli altri di smetterla di guardare verso il tavolo dei Nirvana, erano sempre tutti e tre con lo sguardo che fingeva di cadere per caso in quella direzione. Nemmeno la gigantesca porzione di cozze che era stata servita a Dani fra lo stupore generale gli aveva fatto smettere di guardare in direzione di Blake Bain nella speranza di incrociare il suo sguardo. Sembrava che si fosse dimenticato persino di Flors, intenta a chiacchierare fitto fitto con Vale seduta accanto a lei. Ma si era trattato di pochi secondi: Dani dopo aver mangiato convulsamente cinque cozze una dietro l’altra era stato lesto ad approfittare di un momento di distrazione di Vale che aveva smesso un attimo di parlare per masticare una forchettata di rigatoni. Con la bocca ancora sporca di sugo si era sporto, sdraiandosi sopra Ste, e allungando il collo il più possibile fino a raggiungere l’attenzione di Flors.
“Oh.” Le aveva detto.
“Oh.” Aveva risposto lei stupita per quella intrusione.
“Ti piacciono i Nirvana?”
Due secondi di nulla.
“No.”
“Ah…” Dani nonostante il troppo peperoncino nelle cozze, si era sentito la gola congelata come se avesse appena mangiato una Golia Bianca.
“No, niente…” Ritirata strategica.
“A me piacciono i Nirvana!” Aveva gridato di botto la Pianigiani dall’altro lato del tavolo alzando addirittura una mano.
Giamma aveva lanciato un’occhiataccia interrogativa a Dani che aveva risposto imbarazzato a Nicole: “Ah… ok…”
Peggio di così era dura. Dani aveva sprecato malamente un’altra buona occasione, anche solo per stare zitto.
A quel punto l’unica cosa che gli rimaneva da fare era tuffarsi a capofitto nel piatto di cozze ingozzandosi come se non ci fosse un domani. E così aveva fatto, in un moto convulso di autodistruzione. Si era sentito sazio già a metà piatto, ma un po’ per gola e un po’ per il troppo orgoglio e la volontà di non essere vittima di qualche battutina di Monti, aveva stoicamente ripulito il piatto con tanto di scarpetta finale.
Bruciore di gola, bruciore di stomaco e anche più giù. Per un attimo Dani aveva pensato che il principio attivo del confetto Falqui doveva essere estratto dalle cozze e non dalle prugne. Sudore freddo e un rutto soffocato dopo l’altro. Mentre Giuliano stava cercando di capire quante panna cotta ordinare per dessert, un tumulto intestinale molto più forte di quello che aveva avuto nel cuore negli ultimi tempi lo aveva infine travolto. Il suo stomaco stava facendo più casino della terza G nell’ora di religione.
“Oh… vado un attimo in bagno.” Aveva detto a Giamma alzandosi e sparendo più veloce della luce come quando, subodorato il rischio di una interrogazione inopportuna, chiedeva strategicamente il permesso di andare ai servizi.
Il bagno era old fashion, un solo gabinetto, lavandino, saponetta; unico segno di modernità: l’asciugamani con l’aria calda tipo phon. Aveva abbassato la maniglia con la stessa espressione di Maria sull’asino a Betlemme: Giuseppe mi si sono rotte le acque. La porta era chiusa e non c’era nemmeno una mangiatoia nei paraggi.
“Cazzo figurati….” L’incubo di quella volta in cui praticamente si era cagato addosso al campo di tennis era ancora vivo in lui. Oramai era troppo tardi anche per prendere la pastiglia contro la diarrea: era una questione di vita o di morte, chiunque fosse stato chiuso nel cesso avrebbe dovuto uscirne in tempo zero. Dani era sul punto di mettersi a piangere mentre si teneva lo stomaco con entrambe le mani. Era rimasto quasi un minuto a soffrire, con la sua vita a scorrergli davanti agli occhi. Aveva pensato di tutto: a correre fuori per strada a cercare il primo angolo appartato, o a farla nel bagno delle donne, ma alla fine non era stato necessario. Proprio mentre stava per cedere allo sconforto, la serratura era scattata con un rumore secco che a Dani era sembrato bellissimo.
Ma si era trattato di un sollievo breve ed effimero, durato giusto il tempo di rendersi conto che ad essere appena uscito dal bagno era stato Blake Bain.
Dani era da solo nel bagno di un ristorante con il leader del Nirvana e stava davvero per farsela addosso.
“You’re right dude?” Aveva detto Blake andando a lavarsi le mani.
Dani si era sforzato di richiamare a sé tutto tutto l’inglese scolastico di cui era in possesso. Pensava al suo prof. di Inglese invasato per il Milan e alle numerose discussioni extra scolastiche che prendevano piede nella sua ora tutti i lunedì mattina. Dani da juventino era uno dei suoi antagonisti più forti e questo forse influiva un po’ in negativo sui suoi voti rasenti al distinto che però spesso, inspiegabilmente, si fermavano un passo prima. Un po’ più di diplomazia da parte di Dani su qualche rigore o fuorigioco dubbio e avrebbe anche potuto aspirare ad un voto migliore. Ma il calcio era una cosa seria. Nella sua testa in quel frangente stava frullando di tutto: le decine di brani che gli aveva assegnato di compito: copiare, tradurre e studiare a memoria. Hello Brian. Hello Mrs Hill how are you? Le frasi da tradurre dall’italiano all’inglese, la tabella dei verbi irregolari, to go went gone. Qualsiasi cosa gli fosse potuta servire a reggere una conversazione in una lingua straniera, con Blake Bain e soprattutto con il cagotto che premeva forte come le truppe piemontesi a Porta Pia.
“Hello Blake.” Aveva detto Dani, come se stesse ripetendo una lezione studiata a memoria.
Blake Bain aveva sorriso.
“Hello… how are you?”
“Fine thank you” Era quasi più in imbarazzo di quando aveva a che fare con Flors.
“Shit man, those fuckin mussels are killing me… what’s wrong with you guys in Italy? Why is everything so spicy?”
“Ah… ok…” Aveva risposto Dani sorridendo. Non aveva capito mezza parola, of course, l’accento di Seattle era ostico.
“Eh… excuse me… can you… autograph?”
“Sure Dude… have you got a piece of paper on you?”
Dani di nuovo non aveva capito nulla mentre Blake Bain aveva tirato fuori un pennarello dalla tasca.
“Ah… certo… un pezzo di carta…” Dani si era messo a frugare disperatamente nei pantaloni, niente. Aveva gettato via il biglietto dei musei vaticani e tutte le altre cartacce che aveva con sé prima di entrare al ristorante. Ma quando uno era un genio come lo era Blake Bain bastava poco per tramutare un problema in una opportunità.
“Hold on my man” Blake si era infilato di nuovo nel gabinetto per riemergerne un secondo dopo. “Here we go…” Aveva in mano un rotolo quasi finito di carta igienica.
Dani era scoppiato a ridere, saltellando e battendo le mani.
“Oh figata… this is very punk rock!”
“Of course it is!” Poi Blake aveva tolto il tappo al pennarello con i denti e aveva iniziato a scrivere.
“What’s your name kid?”
‘My name is Daniele.”
“Danieli… cool.”
Dani non poteva credere ai suoi occhi e alla sue orecchie. Stava accadendo davvero? Stava pensando a quando lo avrebbe raccontato ai ragazzi al tavolo, oppure a Cristiano. Suo cugino si sarebbe mangiato le mani.
“Done.” Blake gli aveva passato il rotolo, più prezioso di tutti quelli trovati a Qumran.
Lunga, resistente e morbida.
“Thank you.”
“Happy?”
“Very happy!”
Blake aveva sorriso dandogli la mano.
“See you dude…”
“Bye bye.” Aveva risposto Dani ancora incredulo, poi si era affrettato a srotolare la carta igienica per leggere quello che Blake Bain ci aveva scritto.
Teenage angst had paid off well, now I’m bored and old… Il primo verso di Serve the Servants. To Daniel who I met in a restaurant loo in Rome. Blake.
Poi di nuovo una fitta terribile allo stomaco si era impossessata di lui e davvero questa volta non poteva più resistere. Si era precipitato nel gabinetto, quasi dimenticandosi di chiudere la porta. Un po’ l’emozione e un po’ di più le cozze. Si era tirato giù i pantaloni più veloce della luce: il Big Bang doveva essere stato una roba del genere.

“To be continued”: scopri di più su “novantaquattro” di Matteo Giordano!