Dani aveva rapidamente sbaraccato il tavolo da squadre e compassi con l’animo più sollevato. Era passato da tecnica a storia così come da Non è la Rai era passato a Videomusic. Mentre stava girando le pagine del libro usato pieno di insopportabili sottolineature di interi paragrafi con l’evidenziatore rosa, la sua attenzione era stata subito dirottata dal riff di chitarra del video che stava andando in onda. Sullo schermo c’era un tipo che camminava con il volto sfocato; la telecamera traballava come se l’operatore fosse ubriaco. Poi lo stacco di inquadratura in bianco e nero di una cassa da morto e di nuovo sul tipo che camminava, questa volta inquadrato di fronte. Indossava una maglietta gialla, anzi una maglietta a maniche lunghe gialla e sopra una dello stesso colore ma a maniche corte.
“Figata… devo farlo anche io.” Aveva detto Dani ad alta voce perché le sue orecchie recepissero a pieno il suo pensiero.
Poi il tipo si era tolto fisicamente l’effetto che gli stava sfocando la faccia come fosse un cappuccio e aveva iniziato a cantare. Assomigliava al cantante dei Nirvana, stesso taglio di capelli, ma non erano i Nirvana quelli, e poi la faccia di Blake Bain la conosceva bene. Il video era assurdo: il biondo faceva cose strane, trascinava la bara nel bosco e aveva un copricapo indiano. Poi altro stacco su di un auto da corsa tipo Nascar, ma auto vecchie, anni settanta, poi di nuovo su quella cazzo di bara, stavolta in piedi: il coperchio si era aperto e ne era uscito un vecchio con la chitarra piena di adesivi. Sembrava un barbone e stava facendo finta di suonare. Era chiaro che non sapeva nemmeno dove mettere le mani. Poi era partito il ritornello. Assurdo: adesso c’erano due tipe impegnate in una specie di coreografia dentro un cimitero e poi ancora il tipo che stava canticchiando poco convinto, con un berretto colorato in testa e gli occhiali da sole.
Stracrasto il berretto, altro che quel cavolo di cappello con le orecchie che ho io… aveva pensato Dani.
Poi il ritornello della canzone già al secondo passaggio aveva iniziato a girargli in testa domandando spazio alla foto mentale di Flors.
Soy un perdedor… i’m a loser baby, so why don’t you kill me?
Dani era reduce da un bel voto in inglese e senza fatica aveva colto il significato delle parole; era la prima volta che riusciva a capire al volo il significato di un brano in inglese solo ascoltandolo, senza bisogno di andare a cercarsi il testo su qualche libro nel garage di Cristiano o direttamente nel database mentale di suo cugino, più potente di un 386.
Sono un perdente baby, allora perché non mi uccidi? Ecco che cosa avrebbe dovuto dire a Flors dopo averla centrata con una pallonata.
Dani aveva aspettato con ansia la fine del video per leggere in sovrimpressione titolo del brano e nome dell’artista: due parole – Beck, Loser. Album Mellow Gold.
Aveva deciso immediatamente di lasciare l’Italia poco prima che il nemico irrompesse a Caporetto (erano indietrissimo con il programma) per correre in camera. Troppe cose da fare e troppo poco tempo. Aveva aperto l’armadio sicuro che da qualche parte ci fosse una maglia a maniche lunghe, magari riciclata, di quelle che a suo papà non andavano più bene. Maglia corta sopra maglia lunga: aveva deciso che quella sarebbe stata la sua nuova divisa. Jeans e poi Airwalk.
Aveva aperto il cassetto del comodino dove teneva i soldi raccattati da paghette varie, resti di sigarette comprate per la mamma al negozio sotto casa e cento lire. Totale sedicimila trecentocinquanta lire. Ancora troppo pochi per comprare la cassetta, e poi figurati se lassù, dove a malapena arrivavano i film in prima visione dall’America, il negozio di dischi ce l’aveva. Era una roba troppo alternativa perché si potesse spingere fino a quei lidi lontani. Ma forse Cristiano ce l’aveva e per una volta Dani non si stava trovando nella scomoda posizione di dover temere il suo giudizio a fronte di un palese interesse per un gruppo o un artista che suo cugino avrebbe bollato inesorabilmente come commerciale.
Ma la decisione di sterzare di netto e di rivedere le proprie scelte stilistiche andava portata fino alle estreme conseguenze. Diventare grandi non voleva dire soltanto prendere a calci nelle palle uno che ti ha rubato la bici oppure iniziare a vestirsi come Beck. Fondamentale era anche un po’ di autocritica; e così, intenzionato a fare pulizia, si era avvicinato al ripiano dove teneva tutte le cassette, quasi esclusivamente pirata. Sembrava Paolo appena riavutosi dal trip sulla via di Damasco. Un uomo nuovo. “Masini Marco è stato un piacere. Carboni Luca… va beh dai, però Luca Carboni… no, bisogna essere forti, ciao anche a te. Questa cos’è? Oddio… Francesco Salvi, ma come faccio ad avere sta roba? Elio e le storie Tese li tengo, ovviamente. Gli 883? Mmmh… no dai li tengo… se vedi una che in meno di un mese esce con due diversi è una troia è una troia… no dai non si possono eliminare, Max Pezzali uno di noi…
“Ruggeri?” Si era domandato a voce alta Dani.
“Ruggeri era figo con i Decibel, adesso ha rotto il cazzo…” Un diavoletto con le sembianze di Cristiano gli era apparso per ammonirlo.
“Ma sì, anche Ruggeri via…”
Ovviamente Dani buttava il cartoncino con il titolo dell’album e dei brani in esso contenuto, le cassette le avrebbe riciclate per della musica più adatta al suo nuovo status di teenager.
I cantautori aveva saggiamente deciso di salvarli tutti: Battiato, De Gregori, Guccini, Tenco e Rino Gaetano erano il background che aveva accompagnato ogni viaggio in macchina di media lunghezza e anche Cristiano li riteneva imprescindibili.
Aveva salvato per il rotto della cuffia pure Vasco, ma solo fino a Gli spari sopra: perché secondo gli insegnamenti di Cristiano tutto quello che aveva prodotto dopo era soltanto cacca allo stato liquido.
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