Per quelli nati dopo il disastro della seconda guerra, Italia – Germania del ’70 era stato il momento fondante di un’intera esistenza: un lampo di luce nel buio e nella polvere carica di detriti che da Piazza Fontana in poi avrebbe ricoperto tutto il decennio. Un’esperienza da raccontare con orgoglio, ognuno con il proprio carico di ricordi e di dettagli personali. I giocatori sull’attenti durante l’inno, i tagli di capelli, i baffetti di Mazzola e le basette di Boninsegna.
Io c’ero: chi aveva avuto la benedizione di essere nato in tempo poteva dirlo ad ogni occasione utile. L’invidia dei bambini venuti al mondo in pieno riflusso era grande: che cosa potevano raccontare loro che all’epoca erano stati troppo piccoli persino per sapere chi era Paolo Rossi e del perché quei tre gol al Brasile erano entrati nella leggenda?
Loro, al massimo, avrebbero potuto ricordare con nostalgia quando all’asilo, nella primavera che aveva preceduto il mondiale di Maradona, dovevano lasciare le scarpe fuori dal portone perché in URSS era esplosa una centrale nucleare. Ma non era la stessa cosa, e poi se avessimo dovuto parlare di morti e di catastrofi, stragi e quant’altro, gli stessi che avevano avuto il privilegio di assistere alla diretta via satellite da Città del Messico, avrebbero fatto polpette di quella nube tossica.
C’era stato più piombo negli anni 70 che in tutto il fumo che si era alzato dal reattore sovietico in fiamme.
Ad USA 94 le cose non è che stessero andando proprio per il meglio, anche se i più accorti vedevano assonanze con l’inizio stentato del mondiale 82. Agli ottavi di finale avremmo dovuto giocare contro la Nigeria, squadra rivelazione che aveva estromesso dal torneo l’Argentina, facendo dire ai soliti pseudo esperti del settore che era finalmente arrivato il tempo che una nazionale africana vincesse il mondiale.
I luoghi comuni si sprecavano:
Questi corrono il doppio degli altri, hai visto quanto sono grossi? E c’hanno pure i piedi buoni.
“Ma sì, ma noi siamo l’Italia…perderemo mica con questi qua del Burundi…” Il nonno di Ste ne stava facendo un fatto personale, complice una mentalità mai del tutto aperta, qualche deriva nostalgica e la recente fascinazione per la Lega Nord che lo faceva guardare con crescente sospetto chiunque rispondesse alla generica definizione di negher, che raccoglieva in sé i vucumprà, i marocchini (che erano tali anche se venivano dal Senegal) e in generale tutti quelli arrivati, chissà come, anche lì nel profondo nord con i loro berretti di lana pure a luglio a vendere accendini e cassette pirata.
“Abbiamo già perso una volta, ad Adua, contro questi qua… stavolta li dobbiamo massacrare, ce lo impone la storia.”
La disamina tecnica del nonno sulle reali possibilità che aveva l’Italia di battere la Nigeria avrebbe fatto impallidire Farinacci.
Abbiamo pazientato novantacinque anni, ora basta.
“Ma nonno, cosa c’entra? Questi mica sono abissini…” Ste, fresco di esami amava di tanto in tanto sparare qualche cartuccia che all’orale non era stato necessario utilizzare.
“Una faccia, una razza.” Risposta lapidaria da parte del nonno mentre si accendeva l’ennesima Muratti.
“Va beh, no dai nonno questi sono nigeriani: voglio dire l’Africa è un continente mica una nazione sola.” Aveva azzardato Ste che non riusciva a guardare con sospetto nemmeno i bambini stranieri che partecipavano allo Zecchino d’oro cantando in un italiano stentato.
“Eh, te sei giovane e non puoi capire, ma arriverà la guerra, e allora forse un giorno capirai…” Uno dei classici finali sibillini del nonno, che risuonava sempre nelle orecchie di Ste più sinistro di una tromba dell’apocalisse.
Italia – Nigeria iniziava alle cinque ora italiana. Ste era sul divano di casa in una di quelle fasi di oblio di cui spesso accusava Dani di cadere preda. Aveva deciso di non separarsi dal suo soggiorno nemmeno in occasione degli ottavi di finale. Gli mancava Vale, e come poteva essere altrimenti? L’aveva vista praticamente gran parte dei giorni negli ultimi tre mesi, senza mai rendersi davvero conto di quanto gli piacesse passare il tempo con lei. Non l’aveva più cercata dopo la sera di Italia Eire: non aveva avuto il coraggio di chiamarla né tantomeno quello di affrontare il suo sguardo nemmeno il giorno della prova di matematica.
Mentre sullo schermo le due squadre stavano entrando in campo, Ste era ancora negli spogliatoi in compagnia di pensieri lontani. Papà Berti invece, appena tornato dal lavoro, sedeva già nel suo solito angolo in canottiera e con una espressione rilassata dipinta sul volto: la nazionale non gli suscitava le stesse emozioni da orto del Getsemani come quando giocava il Milan. Intanto il nonno sulla sua poltrona stava mischiando vino rosso e acqua frizzante nel bicchiere che aveva sul tavolinetto.
L’Italia giocava in maglia bianca ed i giocatori per la prima volta correvano per il campo con il loro nome scritto sulla schiena. Marchegiani 12 era ancora in campo al posto dello squalificato Pagliuca 1; Baresi 6 era appena stato operato al menisco e seguiva l’evolversi della gara dalla panchina; R. Baggio 10 si aggirava per il terreno di gioco come un fantasma, trasparente ad ogni pallone che gli passava vicino, bianco di quel pallore che non lascia scampo.
“Questi qua corrono il doppio di noi, hanno fame, voglia di vincere altroché…” Papà Berti aveva già iniziato ad agitare la mano verso il televisore in segno di resa. “Poi non dite che non ve l’avevo detto, non fatevi illusioni.”
Non erano passati che pochi secondi da quel monito sinistro.
Calcio d’angolo per la Nigeria: la palla era carambolata sullo stinco di Maldini per poi rotolare lentamente verso Finidi che con un tocco di piatto aveva superato Marchegiani lanciato in un uscita alla disperata: la palla era entrata in porta così piano che Bruno Pizzul avrebbe avuto il tempo di correre giù dalla tribuna stampa e spazzare via sulla linea come avrebbe fatto Baresi. Ma il capitano era infortunato e quello che stava guardando Ste era semplicemente il replay al ralenti. Era andato in cucina a prendere del Beltè ed aveva perso la diretta del gol.
Ste era andato via da una partita della nazionale durante un calcio d’angolo. Nulla da dire: non era lui, irriconoscibile come Baggio in campo.
Forse quello era davvero il mondiale delle africane, almeno di una, peccato solo che fossimo noi la vittima europea sull’altare degli dei del calcio. Ste aveva già perduto ogni speranza: eravamo già stati fortunati ad arrivare fino a lì. E poi una nazionale così scarsa non si era mai vista, una squadra fondata sul blocco Parma: Bucci, Apolloni, Minotti, Mussi, Dino Baggio e Zola. Una volta c’era il blocco Juve, ma come si fa ad andare ai mondiali con sei giocatori di una provinciale? E con un centravanti come Massaro che è andato in rete per la prima volta con la maglia azzurra la partita precedente e schierando Signori, che ha fatto caterve di gol in campionato, come esterno di centrocampo. E poi Baggio, si va beh, Baggio…
La faccia di Arrigo Sacchi in panchina appariva senza idee, con il sole che gli si rifletteva sulla fronte pelata. Le labbra serrate, incapaci anche solo di richiamare Benarrivo. Giochiamo male, giochiamo malissimo. Scaletta dell’aereo, si torna a casa.
“Dai su, usciamo e che sia finita, non ne posso più di questo strazio.” Ste si era alzato dal divano lasciando il segno delle chiappe sudate, per andare vicino al ventilatore che girava a forza quattro sparando in giro per il soggiorno surriscaldato sprazzi di aria tiepida ad intervalli regolari.
“Va beh, vado a fare una doccia.” Aveva detto poi appoggiandosi sconsolato con i gomiti allo schienale del divano. Sacchi stava facendo entrare in campo Zola.
E avanti, un altro del Parma.
Ste si era trascinato fino al bagno con finta indifferenza e l’orecchio sempre teso a cogliere un grido o un qualcosa che gli segnalasse anche a distanza l’avvenuto pareggio. Aveva aperto il rubinetto ed era rimasto in attesa che l’acqua raggiungesse la temperatura di suo gradimento. Magari se avesse distolto per un attimo l’attenzione dalla partita l’Italia avrebbe pareggiato, o semplicemente si sarebbe svegliato tutto sudato da un brutto sogno. Era già nella doccia con la porta chiusa e la testa sotto l’acqua quando aveva sentito dei rumori provenire dal soggiorno. Aveva udito distintamente una bestemmia di suo nonno. Un’imprecazione secca, convinta, non come intercalare alla maniera che il padre di suo padre sovente utilizzava, ma l’esplosione precisa e sintetizzata del marasma che lo stava scuotendo in quel momento.
“Eh…due a zero.” Ste aveva richiuso l’acqua prima ancora di insaponarsi, si era infilato l’accappatoio azzurro ed era tornato in salotto per inghiottire anche lui il suo boccone amaro.
“Espulso Zola.” Aveva detto freddamente suo padre prima ancora che Ste avesse potuto chiedere conto di quanto accaduto.
“Ma come? È appena entrato?”
“Sì, e nemmeno gli ha rotto una gamba a quel negher.” Aveva commentato il nonno scuro in volto più dei nigeriani.
“È l’arbitro che è scemo, adesso come minimo Sacchi si aggrapperà a questo per giustificare la sconfitta.” La disamina di papà Berti non faceva una piega.
Ste era ritornato sui suoi passi lungo i quali aveva seminato goccioline di acqua. Niente più rumori dal soggiorno. Si era rimesso sotto la doccia avvolto da un senso di indifferenza nei confronti del mondo come mai prima.
Era tornato in soggiorno in tempo per gli ultimi cinque minuti della disfatta con i capelli bagnati e l’odore di borotalco addosso.
Giochiamo questi ultimi minuti in un clima sconfortante…Stava dicendo la voce rotta di Pizzul mentre i nigeriani correvano ancora molto più noi anche a fine partita. Un difensore in maglia verde aveva spazzato via un pallone alla vecchia maniera in fallo laterale il più lontano possibile.
Si perdono secondi preziosi, ormai è finita.
Rimessa laterale: da Dino Baggio a Mussi che incredibilmente era riuscito ad andare via sulla destra fino ad arrivare in area. Finalmente un po’ di fortuna, un rimpallo favorevole e la possibilità per il terzino del Parma di appoggiare con la punta del piede il pallone a Roberto Baggio. Era quasi un rigore in movimento, sembrava l’azione del 4 a 3 alla Germania segnato da Rivera se non fosse che il pallone stava arrivando dal lato opposto e che il numero 10 era qualche passo indietro rispetto a dove aveva calciato il numero 14. Forse si trattava più di una punizione in movimento che di un rigore, ma il tocco di Baggio era stato chirurgico, millimetrico, nemmeno troppo forte ma perfettamente indirizzato laddove il portiere non ci poteva arrivare.
Attimi interminabili e poi la liberazione nella voce di Pizzul e nel cuore degli italiani
E gol di Roberto Baggio! Al quarantatreesimo, proprio Roberto Baggio rimette in parità le sorti di questo confronto…
“E ci voleva tanto, ma mi so minga…” Il volto di papà Berti si era sciolto in un sorriso che sapeva di liberazione.
Gol di Baggio, era ora, ho sempre creduto in te! Dai Roberto! Un improvviso cambio di prospettiva si era impadronito di Ste e di tutta l’ Italia: un attacco di trasformismo Giolittiano sfrontato.
“E Grande Mussi…”Aveva detto Ste mentre andava il replay. Alla fine aveva rivalutato anche la presenza in nazionale del blocco di giocatori del Parma.
Uno a uno e tempi supplementari .
La partita stava prendendo le tinte epiche dell’epopea calcistica tanto attesa: ora mancava solo il gran finale.
E ai supplementari loro non ne avevano più .
Al decimo minuto Roberto Baggio in versione Siddharta aveva fatto una cosa vista soltanto sulle rive del Gange: aveva scucchiaiato la palla da fermo, infilandoci sotto il piede e spedendola dritta sul Benarrivo lanciato in area di rigore. Un armadio a quattro ante nigeriano era piombato addosso al terzino schiacciandolo al suolo: Benarrivo non era nemmeno riuscito a divincolarsi da terra dal peso che gravava su di lui, aveva soltanto potuto alzare un braccio in segno di protesta.
La madre di tutti i calci di rigore.
Un film già visto, ma con un finale talmente thrilling che si ha sempre paura che le cose non vadano come pensiamo.
Ma questa volta no: Baggio, palo gol.
Il rigore chi l’ha visto? Già si prendeva per il culo il portiere nigeriano Rufai: Donatella Rufai, quasi come la conduttrice del programma sulle persone scomparse.
Italia ai quarti di finale grazie al culo di Sacchi e al karma di Baggio.
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