A beneficio di coloro che seguono poco le “polemiche di internet” o che non hanno una memoria da elefante, lo spunto di questo articolo è un tweet dell’On. Carlo Calenda, ex-ministro dello Sviluppo Economico.
Sempre più raramente mi faccio coinvolgere dal “tema del giorno” sui social, perché so che l’immediatezza di questi canali (e la “lapidarietà” di Twitter in particolare, anche con il limite di caratteri allargato) rischia spesso di stimolare il litigio fine a se stesso invece del confronto e dell’arricchimento reciproco. E poi, con un’attività da gestire e un bimbo piccolo, arrivo sempre tardi, e anche in questo caso sono già usciti vari articoli che rispondono perfettamente all’On. Calenda dalla prospettiva di un videogiocatore (e magari anche di un papà dei nostri tempi), ad esempio su IGN e su Wired, giusto per citarne due.
D’altro campo, credo anche che questi polveroni mediatici un po’ pretestuosi costituiscano, almeno in certi casi, l’occasione per riflettere su questioni che magari davamo per scontate e che, evidentemente, non lo sono.
Perché se un padre ha tutto il diritto di non far entrare a casa sua i “giochi elettronici” (non ricordo nemmeno l’ultima volta che i videogiochi sono stati definiti così), posso fare tutte le obiezioni del mondo sull’opportunità di una posizione di chiusura netta invece di una presa di coscienza magari un po’ più approfondita su quei “giochi elettronici” che da ormai quasi 40 anni fanno parte della vita quotidiana di sempre più bambini, ragazzi e adulti, ma rimarrebbe comunque una questione di opinioni.
Pertanto la mia prospettiva non è né da gamer (sarebbe per definizione faziosa) né da neo-padre (ho decisamente ancora troppa poca esperienza in questo campo), ma da piccolo editore di libri, cioè da chi dovrebbe essere tutelato dai “giochi elettronici” che instupidirebbero i giovani, disincentivandoli dalla lettura. Partiamo dai dati di mercato: il settore dei videogiochi, un’industria che a livello mondiale macina oltre 90 miliardi di dollari all’annno, è in continua crescita anche in Italia. Di contro, se il mercato dei libri italiani negli ultimi anni sembra in lieve ripresa dopo la crisi post-2007, il numero di lettori è in continua diminuizione, soprattutto tra i maschi dei giovani. Colpa dei videogiochi, quindi? Beh, è da quando sono bambino che sento critiche più o meno uguali a quelle dell’On. Calenda da giornalisti, intellettuali, insegnanti e, genitori (per fortuna, non i miei): sono servite a qualcosa? I dati ci dicono di no…
Proviamo allora a “ruotare la scacchiera”, come mi hanno insegnato a fare Kyrie e Battler di Umineko… sì, i personaggi di un videogioco. E quindi, se è vero che un ragazzo appassionato di videogiochi non si dedicherà alla lettura, perché succede ciò? E, soprattutto, come e possibile evitarlo senza ricorrere a misure “proibizionistiche” la cui scarsa efficacia è stata già dimostrata praticamente in tutti gli ambiti?
Perché sì, è facile pensare al tipico nipote/cuginetto decenne che passa l’intero pranzo di famiglia con lo sguardo fisso sul tablet, disinteressandosi alla conversazione dei grandi (e forse non ha tutti i torti) ma anche ad altri tipi di stimoli e addirittura al gioco con i coetanei. Penso che sia a qesto tipo di situazione che si riferisca l’On. Calenda, e da questo punto di vista il suo ragionamento effettivamente quadra; tutti i videogiocatori più o meno incalliti sanno bene che questo medium più di ogni altro favorisce l’immersione in un mondo virtuale, con i pro ed i contro del caso. Sì, avremmo ragione a dire che giochi con dall’ottimo storytelling come To the Moon o Undertale stimolino ad apprezzare testi letterari complessi, o che Civilization rafforzi il ragionamento strategico… e si potrebbero fare centinaia di altri esempi, ma non credo che il tipico decenne tablet-dipendente abbia anche solo sentito nominare questi giochi.

Questa potrebbe essere una valida risposta all’On. Calenda.
Se un certo tipo di “chiusura” verso i videogiochi poteva avere un senso negli scorsi decenni, oggi è sempre più evidente che la “cultura pop” in tutte le sue sfaccettature faccia parte della nostra vita, in un calderone di serie tv, film, videogiochi, fumetti e, per fortuna, anche libri, rappresentato nel bene e nel male da quella che è sempre meno una fiera per interessi di nicchia e sempre più un fenomeno di costume come il Lucca Comics. Come genitore, è più che giusto che ognuno faccia le sue scelte; ma se si vuole che i propri figli abbiano un arricchimento culturale un po’ più vario di quello che offrono i canali più seguiti di Youtube, credo che sia più che giusto accompagnarli allla scoperta di libri e giochi “tradizionali” e, perché no, videogiochi un po’ più stimolanti. E che abbia più senso ragionare sulla qualità dei prodotti che porre barriere di formato: io per primo so bene come a dodici anni un videogioco possa avere molta più attrazione di un libro. Ma so anche come la passione per storie affascinanti, coinvolgenti ed emozionanti possa benissimo passare dai videogiochi, ai film, ai libri e a qualsiasi modalità di espressione. Perché una bella storia è una bella storia, e una brutta storia una brutta storia… punto. O almeno, così la penso io.
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