“Via dell’Abbazia” – Letizia Bognanni

“Via dell’Abbazia” – Letizia Bognanni

3.99

 “La verità è che tutti vogliamo essere Paul McCartney, anche se vorremmo voler essere John Lennon. Per questo il povero Paul sta antipatico a tutti: perché non è morto, perché è vivo e contento di esserlo, come noi.”

Formato: Ebook (epub, pdf, mobi) e cartaceo

Genere: Narrativa Contemporanea, Young Adult

Lunghezza: 150 pagine (circa)

Pagina dell’Autrice

COD: 3457 Categoria:

Descrizione

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“Se la tua giovinezza coincide con una delle giovinezze della tua città, puoi dirti fortunato. Puoi raccontare di aver avuto diciott’anni a Seattle nel ‘91, di essere stato adolescente a Londra nel ‘77, di aver ballato all’Hacienda di Manchester, cose così. Io posso dire di essere stato fortunato.”

“Benvenuti nel 1999, a Parcopiano,la piccola Liverpool senza porto. Grazie al successo del romanzo “Via dell’Abbazia”, una cittadina come tante nel centro-sud Italia vive una nuova gioventù, con una scena musicale vivace e tanti concerti, proprio nell’Abbazia. Ed è qui che si incontrano Jacopo e Carla, che sembrano destinati a superare ogni ostacolo e coronare i propri sogni con la musica e con il loro amore. Ma la giovinezza non può durare per sempre, per loro… e anche per Parcopiano.

Con “Via dell’Abbazia”, Letizia Bognanni intreccia abilmente tematiche eterogenee come musica, politica e cultura giovanile, dando vita a una malinconica ma appassionante “piccola epopea rock”.

Informazioni aggiuntive

Un estratto dal libro:

1999

Is there something you need from me?
Are you having your fun?
I never agreed to be
Your Holy One

Depeche Mode – Barrel of a gun

«Io penso che le città siano vive, e che non siano tanto diverse dalle persone,» dichiarò Jacopo scompigliandosi nervosamente il ciuffo sulla fronte. «Le città hanno il loro carattere, non ce n’è una uguale all’altra. Ci si innamora di loro, oppure le si detesta, oppure le si ama e odia allo stesso tempo. Ci sono storie d’amore con le città che durano tutta la vita, e infatuazioni passeggere. Di diverso dalle persone hanno che possono vivere più di una vita. Certe volte le città crescono, poi invecchiano, poi sembrano morte e invece ringiovaniscono e poi invecchiano un’altra volta e così via. Se la tua giovinezza coincide con una delle giovinezze della tua città, puoi dirti fortunato. Puoi raccontare di aver avuto diciott’anni a Seattle nel ‘91, di essere stato adolescente a Londra nel ‘77, di aver ballato all’Hacienda di Manchester, cose così. Io posso dire di essere stato fortunato. Certo, non è stato sempre facile. Per quanto vivace, Parcopiano resta una piccola città, e un’infanzia e un’adolescenza come le mie, in una piccola città significano… sì, la musica mi ha salvato la vita. È un cliché, me ne rendo conto, ma ehi, a cosa puoi aggrapparti quando tua madre ha abbandonato la famiglia che avevi cinque anni per andare a vivere a Berlino con la sua nuova fidanzata, quando tuo padre reagisce iniziando a bere alle otto di mattina? Puoi diventare uno sbandato, puoi aggrapparti alla droga, e c’ho provato, sì, con l’unico risultato di sentirmi peggio e finire guardato a vista dagli assistenti sociali. A un certo punto ho trovato la musica. O la musica ha trovato me. Mi ha tirato fuori dal baratro in cui stavo precipitando. Sì, è stato dopo… questo. Questa cicatrice è il mio memento, quello che resta della mia vita precedente. Un pomeriggio, ero solo in casa, mio padre era a bere da qualche parte, amici non ne avevo più, eravamo io, una bottiglia di Jack Daniel’s e una lametta. Sono vivo perché avevo dimenticato di avere un appuntamento con l’assistente sociale. Quando ho sentito bussare con insistenza ho avuto come un risveglio, la sensazione di non voler morire. Sono riuscito a trascinarmi alla porta prima di perdere i sensi. Quando mi sono svegliato in ospedale, ancora intontito, ho sentito la voce di mia madre che quando ero piccolo continuava a ripetere quanto fossi bravo a cantare. Non so cos’è stato, un segno divino, una connessione spirituale con mia madre, so solo che sono vivo, mi è stata concessa una seconda mano e voglio giocarmela al meglio. Non mi sento un predestinato o qualcosa del genere, e non sono certo diventato un santo, ma adesso fumo solo sigarette e bevo per il piacere di un buon bicchiere di…»
«Jacopo! Vuoi uscire da quel bagno? Si mangia!»
«Che palle! Eccomi!»
Compiaciuto per il discorso, si mise un altro po’ di gel nei capelli, si studiò un brufoletto sul mento e uscì. I genitori erano già a tavola, il padre intento a guardare Un posto al sole, la madre a servire frittata e insalata.
«Ma’, è tardi, c’è Ivan che mi aspetta, mangio qualcosa fuori.»
«Pure stasera? Ma a casa non ci stai mai? Poi la mattina ti svegli coi cannoni. Mi sa che dobbiamo mettere qualche regola, eh. Riccardo, tu non dire mai niente mi raccomando, guarda Un posto al sole, guarda.»
«Eh? Che c’è?»
Lucia sospirò sedendosi e iniziando a servire l’insalata. «Niente c’è. Jacopo, almeno non fare le tre come ieri. E non andare…»
«…in motorino.» Jacopo concluse la frase della madre uscendo dalla sala da pranzo. «No, no, tranquilla, vado a piedi. Ciao.»
Lucia lo vide allontanarsi sulla strada bagnata in sella al motorino dell’amico e tornò a sedersi senza più nessuna voglia di mangiare. Continuando a chiedersi, come faceva ossessivamente da ormai quasi due anni, com’era possibile che Jacopo non fosse terrorizzato dai motorini come lo era lei. Era lui che aveva fatto un volo di cinque metri da quel coso uscendone vivo per miracolo, perché non dava mostra di nessun trauma, come quelli che vengono morsi da un cane e poi ne diventano fobici? Voleva farla uscire di testa dalla paura, lasciandola ogni notte sveglia, in attesa del rumore delle chiavi o di una telefonata dall’ospedale?

***

«Oh, vai più veloce che è tardi.»
«Madonna che ansia Ja’, tanto lo sai che prima delle dieci non cominciano a suonare. E poi che vuoi, io era mezz’ora che aspettavo, ti stavi a fare il trucco delle grandi occasioni?»
«Cretino. Stavo lavorando per noi.»
«Noi chi?»
«Tua sorella! Per il gruppo, no? Intanto,» disse scendendo dal motorino e incamminandosi verso l’Abbazia senza aspettare Ivan, che dovette corrergli dietro per sentire di cosa stesse parlando, «prima di tutto ci serve un nome. Sono quattro mesi che suoniamo e non abbiamo ancora un nome, dimmi tu se è normale. E poi ci sto creando una storia.»
«Che storia?»
«Madonna Ivan, stai sveglio! Qualcosa da raccontare nelle interviste, no?»
Igor e Sandro li stavano aspettando davanti al locale, saltellando per il freddo. Jacopo li salutò in fretta ed entrò. Gli amici lo seguirono mentre andava dritto al bancone e senza consultarli ordinava quattro birre.
Il gruppo spalla aveva già iniziato a suonare.
«Cazzo che pippe che sono questi,» commentò Jacopo.
«Non è vero dai, secondo me promettono bene, il chitarrista è forte,» ribatté Sandro.
Jacopo fece una smorfia. «A me fanno cagare. Vado fuori a fumare, chi viene?»
«Con questo freddo? Perché non fumi qua?»
«No, devo prendere aria.»
Mentre si allontanava, Ivan e Igor si scambiarono uno sguardo d’intesa. Sapevano benissimo perché non voleva restare a sentire i Countryside: lui avrebbe negato fino alla morte, ma era evidente che non gli era mai passata la cotta che aveva da anni per la ragazza di Andrea, il chitarrista che Sandro, incolpevole in quanto nuovo della banda, aveva appena lodato. Lei era seduta con alcune amiche a un tavolino non troppo vicino al palco, ostentando un atteggiamento da moglie della star, del tipo “i concerti del mio uomo ormai sono routine, mi faccio i fatti miei mentre lui lavora”. Una posaiuttosto eccessiva, secondo Igor e Ivan, visto che i Countryside erano al loro quinto concerto. In realtà Carla non stava ostentando niente, quel pomeriggio aveva avuto un litigio violento con Andrea e la loro storia era probabilmente finita, ma loro non lo sapevano e continuarono a guardarla con il consueto sentimento di antipatia.
Jacopo rientrò più di mezz’ora dopo, quando i Countryside avevano concluso i loro venti minuti di esibizione e i Marlene Kuntz stavano salendo sul palco.
«Che cavolo hai fatto fuori tutto questo tempo?» chiese Ivan mentre Jacopo prendeva un’altra birra.
«Niente. Ho pensato.»
«Cazzo c’avrai da pensare sempre.»
«Provaci anche tu qualche volta, male non fa,» fece Jacopo spingendolo più vicino al palco. Non gli sarebbe dispiaciuto poter dare una volta una risposta seria a quel genere di domanda, che gli veniva rivolta molto spesso, ma avrebbe dovuto stare a parlare per ore, e alla fine non sarebbe riuscito comunque a farsi capire. Non ci riusciva nemmeno con se stesso. Non c’era riuscito con la psicologa da cui l’aveva trascinato sua madre per due sedute in cui se n’era rimasto lì a rispondere a monosillabi, men che meno con il prete da cui l’aveva portato con l’inganno sua zia. Chissà se un giorno avrebbe finalmente incontrato qualcuno che sarebbe riuscito a sciogliere quei nodi ingarbugliati che aveva in testa. Qualcuno come Jolanda, la protagonista di Via dell’Abbazia, qualcuno con cui non avrebbe nemmeno dovuto parlare, perché avrebbe capito tutto solo guardandolo. Si sentiva molto stupido quando si lasciava andare a queste fantasie, però aveva trovato qualcosa di consolatorio in quel libro, la sensazione di non essere così desolatamente solo: se qualcuno aveva descritto quel genere di sentimenti, evidentemente non era l’unico a provarli. A pochi passi di distanza, Andrea cercava maldestramente di abbracciare e baciare Carla, che lo respingeva senza tanti complimenti. Jacopo la vide uscire quasi correndo, seguita dalla sua migliore amica, e vide Andrea farle una specie di boccaccia e tornare a seguire il concerto. Che cafone, pensò prima di andare a prendere la terza birra e tornare anche lui a concentrarsi sulla musica.

1993/1994

On the corner is a banker with a motorcar
The little children laugh at him behind his back
And the banker never wears a mac
in the pouring rain
Very strange
Penny Lane is in my ears and in my eyes
there beneath the blue suburban skies

The Beatles – Penny Lane

Al terminal degli autobus mancavano i bagni e l’edicola. La tettoia di plexiglass riparava dalla pioggia, ma quando c’era il sole (evento raro da quelle parti, in verità) creava un effetto serra che inacidiva gli animi già provati dalla mancanza di un display che indicasse dove attendere il proprio mezzo. Il bar c’era. Seduti all’unico tavolino, Lorenzo e Francesca stavano prendendo un caffè.
«Rispetto a quando avevo dodici anni,» disse lei, «l’unica novità è il busto di Padre Pio lì in mezzo alla rotonda. Doveva essere il fiore all’occhiello della città, il terminal dico, non Padre Pio, invece sono passati più di quindici anni e non ci sono nemmeno i bagni.»
Lorenzo finì il caffè prima di commentare.
«Meraviglioso.» Il suo sguardo vagante si soffermò un secondo su una donna molto anziana che aspettava l’autobus mangiando un panino, poi sulla scritta sul muro Se ti svegli e non vedi il sole, o sei morto o sei il sole. Jim
«Oppure sei a Parcopiano,» rise Francesca, indicando il grezzo murale.
«Già. Azzeccatissimo direi,» disse Lorenzo. «È incredibile quest'atmosfera. Davvero è sempre così il tempo?»
«Praticamente sì, estate compresa. È uno dei motivi per cui ti ho portato qui, no? E adesso ti mostro gli altri. Andiamo.»
Il cortile era uno spiazzo di cemento triangolare, delimitato da un muro e da due palazzi degli anni Cinquanta.
«Quella,» Francesca indicò una finestra al quarto piano, «era la mia camera delle vacanze, cioè la vecchia stanza di mia madre. C’era ancora un poster di Mal sopra il letto,» rise e indicò un balcone al secondo piano dell’altro palazzo. «Lì abitavano Stefano e Roberta, i miei amici dell’estate. Erano gemelli. La mattina, chi si svegliava prima si affacciava ad aspettare gli altri, poi scendevamo in cortile. Dopo pranzo, stessa cosa. Per tutto il mese di agosto. Stefano, ovviamente, è stato il mio primo amore. Quando sono venuta per il funerale di Nonna lo sapevamo che era l’ultima volta che ci saremmo visti, e ci siamo detti addio con il primo bacio. Addio all’infanzia, e per me addio a Parcopiano e alle vacanze in cortile.»
«Romantico,» commentò Lorenzo con tono leggero. Non voleva passare per un sentimentale sulla via della senilità, ma pensava davvero che ci fosse qualcosa di poetico e struggente in quelle estati monotone e lunghissime che quando si è ragazzini sono il massimo della vita.
«E adesso arriva la parte migliore. Sei pronto?»
Strada facendo, Francesca rallentò davanti al piazzale della stazione.
«Qualche volta venivamo qui a giocare a pallone, e tutti mi trattavano male e nessuno mi voleva in squadra perché mi distraevo col rumore dei treni e perdevo la palla. Sono cose che segnano. Ah, siamo arrivati.»
Lorenzo scese dall’auto e vide, dall’altro lato della strada, le case che Francesca gli stava indicando. La guardò e sorrise, incredulo, grato e soddisfatto.
«Cazzo se avevi ragione. È incredibile.»
Nel 1947 Anthony Page, un ex soldato inglese, sposò Luisa Di Giorgio, una ragazza di Parcopiano conosciuta quattro anni prima, durante la liberazione della città dai tedeschi. Poco dopo il padre di lei, Angelo Di Giorgio, vendette alcuni terreni per investire nella ricostruzione: aprì un’impresa edile che in breve tempo divenne la più importante della città, vincitrice fra l’altro dell’appalto per un nuovo complesso di case popolari. La progettazione delle abitazioni venne affidata al genero, che prima di arruolarsi aveva frequentato il primo anno di architettura a Cambridge. Anthony ignorò la tendenza italiana dell’epoca in materia di edilizia popolare, e progettò di testa sua le villette bifamiliari che stavano allineate di fronte a Lorenzo.
«Ti presento la mia piccola Liverpool,» disse Francesca.
Lorenzo si avvicinò a una delle case, sfiorò pensoso la cassetta delle lettere e alzò lo sguardo verso il comignolo. Un ragazzo uscì dalla villetta accanto e lo fissò con curiosità e un’ombra di sospetto, prima di allontanarsi senza rispondere al sorriso incerto che lui gli rivolse. Tornò alla macchina e stette ancora qualche minuto a osservare le costruzioni di mattoni rossi, con i piccoli giardini che costeggiavano il vialetto d’ingresso, le staccionate e i cancelletti, le finestre a bovindo e le doppie porte a vetri.
«Dietro hanno anche il backyard. Andiamo che ti faccio vedere. Ti aspetterai di veder uscire bambini coi capelli rossi e le lentiggini.»
«Ti amo. Grazie. Sei l’editor migliore del mondo.»
«Lo so. Ma prima c’è la cosa più importante. Tieniti forte.»
Lorenzo scattò una foto e la seguì lungo la via poco trafficata. Francesca si fermò davanti alla targa su cui era inciso il nome della strada e gli fece cenno di avvicinarsi.
Durante la guerra, i soldati alleati di stanza a Parcopiano avevano tradotto in inglese i nomi delle vie. Alcune scritte erano ancora visibili, pur coperte d’intonaco o cancellate quasi del tutto dalla pioggia e dagli anni.
Lorenzo si avvicinò e lesse la scritta incisa sulla targa: Via dell’Abbazia. Poi abbassò lo sguardo verso il punto che gli indicava Francesca e vide le altre lettere, sbiadite e scrostate ma leggibili. Restò a bocca aperta, poi scoppiò a ridere, mentre Francesca annuiva, divertita anche lei.
«No, non ci credo. Ma io ti amo davvero. Mi hai portato…»
«Ad Abbey Road.»

***

Gianni ha sedici anni e sogna di scappare. Il villino di mattoni rossi e la periferia della periferia italiana in cui vive diventano, nella sua fantasia, un villino e una periferia di quell’Inghilterra che gli ha regalato la musica che ama, quella che ascolta quando va a passeggiare sulla banchina del terminal che lui chiama “il porto senza mare della mia piccola Liverpool senza porto”.
Jolanda ha sedici anni e ha deciso di scappare. La sua “buona” famiglia le sta stretta, la città le sta stretta, le sta stretto un mondo in cui la sua intera esistenza è già stata pianificata.
In un’alba gelida, in un terminal deserto, un ragazzo con le cuffiette e una ragazza con lo zaino si incontrano e scoprono di non essere poi così soli.
(Via dell’Abbazia – quarta di copertina)

Con una sensibilità davvero fuori dal comune, Lorenzo Carreri ci insegna che sull’adolescenza non è ancora stato raccontato tutto.
(Corriere della sera)

Carreri sfoggia uno sguardo su certi stati d’animo che non ha niente da invidiare a quello del De Carlo di Due di due e, azzardiamo, a quello del Salinger del Giovane Holden.
(l’Espresso)

Una storia dalla profonda e autentica anima rock.
(Il mucchio selvaggio)

11567 hanno questo libro. Voto medio: 4/5
(aNobii, quindici anni dopo)

In “Via dell’Abbazia”, il suo brillante romanzo d’esordio, il ventottenne Lorenzo Carreri, già apprezzato nelle antologie “Futuro prossimo – venti scrittori per un decennio” e “Voci bastarde”, non parla di ragazzi straordinari, non racconta storie di principi belli e dannati e principesse attratte dal lato oscuro, non ha scritto un trattato di patologia psichiatrica adolescenziale. Eppure, in pochi mesi, questa storia d’amore “normale” fra due ragazzi “normali”, venata di rock e inquietudine di provincia, è diventata il libro cult della nuova generazione. Per la capacità dell’autore di tratteggiare con delicata efficacia il carattere dei personaggi e rendere reali i sentimenti, e per l’abilità di far sentire il lettore fisicamente parte della città che un ruolo tanto importante riveste nella storia. La città, lo diciamo non senza orgoglio per i pochi che non lo sapessero, è Parcopiano, e questa sera è lieta di ospitare Lorenzo Carreri, che alle 19:00 presenterà il suo libro nella sala Dante della Biblioteca Comunale. Un’occasione per conoscere più da vicino lo scrittore del momento e, perché no, ringraziarlo per aver regalato un po’ di fama alla nostra città.

«Che articolo di merda.» Francesca chiuse il giornale e lo buttò sul divano. «Ma che cavolo, non ci vuole Indro Montanelli per sapere che la notizia non si mette in fondo all’articolo.»
«Dai, tranquilla,» ribatté Lorenzo, «tanto non può andare peggio dell’altra volta.»
«Chi vuole un’altra birra?» urlò Roberta dalla cucina.
«Io,» gemette Francesca buttandosi sul divano.
«Io. Le presentazioni vengono meglio se lo scrittore è un po’ ubriaco.»
«Davvero? Allora due per te. Intanto facciamo un brindisi al successo di Lorenzo e all’amicizia ritrovata?»
«Ottimo. A un’autentica amicizia ritrovata.»
Francesca e Roberta fecero tintinnare le bottiglie.
«E un altro alla presentazione,» propose Roberta.
«Che non somigli alla prima,» rilanciò Lorenzo sollevando la bottiglia.
«Che non somigli per niente alla prima,» gli fecero eco le ragazze.
Lorenzo scoppiò a ridere al ricordo della presentazione, anzi della mancata presentazione di dieci mesi prima: il libro era uscito da due settimane e Francesca era riuscita a mettersi in contatto con Stefano e Roberta. Stefano si era trasferito a Torino, Roberta invece viveva ancora a Parcopiano e l’aveva aiutata a organizzare la serata. Paolo, amico di un’amica, aveva messo a disposizione il suo locale, l’enoteca-bruschetteria “Il Posto”. Alle 19, ora prevista per l’inizio, Lorenzo, Francesca, Roberta, il ragazzo di Roberta, i genitori di Roberta, il dj che aveva preparato una selezione Liverpool e dintorni ciondolavano per il locale sorseggiando vino, in attesa degli spettatori. Alle 19,30 era entrata una coppia che aveva indugiato un po’ davanti alla locandina dell’evento. Lei aveva chiesto a lui chi fosse Lorenzo Carreri, lui senza rispondere aveva preso un libro dalla pila sul bancone e l’aveva sfogliato.
«Guarda, è ambientato a Parcopiano.»
«Ah sì? Ma lo scrittore è di qui? Non l’ho mai sentito.»
«No, dice che è di Asti.»
«Mmh. Beh, che facciamo?»
«Andiamo al Fiction?»
«Ok.»
Mentre la coppia usciva, era entrata Luisa, compagna di scuola elementare di Roberta e collaboratrice dell’inserto locale del Tempo. Circa due ore e molti bicchieri dopo, avevano deciso che sul giornale, al posto della cronaca dell’evento, sarebbe apparsa un’intervista all’autore. Avevano scelto di usare il microfono, nel caso i cinque avventori del martedì sera fossero interessati. Non lo erano. Quanto agli amici di Roberta che avevano garantito la presenza, le giustificazioni dell’indomani erano state: palestra, stanchezza, dimenticanza, raffreddore, compleanno del nonno, sveglia presto la mattina, leggo solo thriller, stanchezza, stanchezza.

***

Quando arrivarono alla biblioteca, questa volta la sala era già quasi piena. Francesca e Roberta occuparono i loro posti riservati in prima fila mentre Lorenzo prendeva accordi con la presentatrice, presidentessa del locale circolo di lettura che non sembrava aver amato particolarmente Via dell’Abbazia. Almeno, questa fu l’impressione di Lorenzo. Che però, da quando era diventato famoso, aveva spesso l’impressione di essere diventato anche un po’ paranoico.
«Buonasera, benvenuti a tutti. Io sono Assunta Di Giorgio e in qualità di presidentessa del circolo di lettura della biblioteca, che ha organizzato questo ciclo di eventi, ho l’onore di condurre questa chiacchierata con lo scrittore più amato del momento, soprattutto fra i giovani. Infatti vedo che ci sono tantissimi giovani nel pubblico. È una cosa meravigliosa. Allora, Lorenzo, io comincerei subito con la domanda che tutti qui vorrebbero farti, e cioè: perché Parcopiano, e perché Liverpool?»
«Beh, intanto buonasera a tutti e grazie per la presenza così massiccia, grazie. Per quanto riguarda Parcopiano devo ringraziare Francesca, la mia editor nonché amica e confidente. Prima di iniziare a scrivere le ho detto che ero alla ricerca di una piccola Liverpool dove ambientare la mia storia, e lei mi ha portato qui, dove da bambina trascorreva le vacanze a casa della nonna. È stata una folgorazione. Parcopiano è proprio una perfetta piccola Liverpool senza porto. Perché Liverpool? Perché ho sempre pensato che i Beatles non sarebbero diventati i Beatles se fossero stati di Londra. Voglio dire, naturalmente anche da città grandi e vive sono venuti fuori meravigliosi artisti. Però penso che a gruppi come i Clash, o… non so, i Velvet Underground, per fare solo i primi esempi che mi vengono in mente, manchi quel… quel… quell’epicità un po’ ingenua, quella sete di scoperte, quella curiosità più istintiva che intellettuale, quel senso della meraviglia che può animare solo chi è cresciuto guardando certe luci da lontano. Gianni, il protagonista del romanzo, ascolta i Beatles e si identifica con loro, e vive la sua città come immagino che loro vivessero Liverpool negli anni Cinquanta: un posto da cui scappare.»
«Quindi secondo te una piccola città è solo questo, un posto da cui scappare?» chiese la signora Assunta in quello che a Lorenzo sembrò un tono di rimprovero.
«Certo che no. Ma Gianni è un ragazzo inquieto, afflitto da una costante sensazione di trovarsi nel posto sbagliato. Si sente diverso e, a parte la musica, il suono che preferisce è il rumore dei treni in partenza che sente dalla sua camera. Va a passeggiare al terminal degli autobus perché nella sua fantasia è il posto che più si avvicina a quello che secondo lui era il porto di Liverpool, e l’unica persona che capisce le sue stranezze, chiamiamole così, è Jolanda. Gianni e Jolanda sono spiriti affini, uniti dalla voglia di fuggire.»
«Forse però…» Lorenzo avvertì ancora un tono di rimprovero. Si sentiva uno studente che sta andando male a un esame. Guardò Francesca, che osservava la Di Giorgio con le sopracciglia leggermente aggrottate. Quando si sentì i suoi occhi addosso ricambiò lo sguardo e sorrise incoraggiante. «Forse la voglia di scappare è nel DNA di questi ragazzi. Forse non è colpa della città. Parcopiano è molto bella.» Sì, era senza dubbio un rimprovero.
«Ehm, Parcopiano è una città stupenda, ma non è questo il punto.»
«E qual è?»
«Non credo che abbia molto senso parlare di colpe. Certamente credo che, crescendo in una piccola città, sia più facile che ti venga voglia di uscire a vedere il mondo di quanto non lo sia vivendo in una città in cui è il mondo a venire da te.»
«Io penso,» insistette la presidentessa, sempre più severa, «che una piccola realtà possa regalare molte cose belle ai giovani. Qui a Parcopiano si mangia benissimo. Ma a questo punto lascerei spazio alle domande del pubblico. Ci sono domande?»
Lorenzo aveva le mani sudate. Non si sentiva in questo modo da quando aveva preso diciotto all’esame di paleografia. Una ragazza piena di anelli e bracciali chiese il microfono. «Sì, buonasera. Innanzitutto complimenti.» Lorenzo accennò un grazie e un sorriso. «Volevo chiedere: quanto c’è di autobiografico nel libro?»

Formato;

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  1. Marco “Frullo” Frullanti

    >a target=”blank” href=”http://theparallelvision.com/2016/03/09/via-dellabbazia-esce-oggi-il-nuovo-romanzo-di-letizia-bognanni/”>Presentazione su “The Parallel Vision”

  2. Marco “Frullo” Frullanti

  3. Marco “Frullo” Frullanti

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